Una città - anno II - n. 9 - gennaio 1992

B BIOETICAI. Intervista al Rabbino Luciano Caro UN MONDO SOLO IN AFFIDAMENTO Abbiamo incontrato il doti. Luciano Caro a Ferrara, negli uffici della Comunità Ebraica, di cui è Rabbino Capo. Ha partecipato all'intervista anche ilprof Germano Salvatorelli, medico, ferrarese, esperto di problemi di bioetica. Caro: premetto che non sono un esperto nella materia, sono unrabbino,equestoèuncampo vastissimo, coinvolgente, pericoloso ed anche relativamente recente. Non esiste una posizione univoca da parte dell'ebraismo. Anche noi ci stiamo dibattendo su questi problemi. E d'altra parte va anche detto che l'ebraismo non è un sistema piramidale, con un pontefice o un'istituzione che dica "questa è la norma". L'ebraismo lascia un amplissimo margine di interpretazione. Nulla vieta, quindi, che nel campo ebraico tradizionale si possa dare una risposta diversa dal la mia. Forse la cosa più seria è non dare delle risposte, ma porre dei principi generali che ci guidino nella soluzione dei singoli problemi. Per esempio, nei confronti dei trapianti il principio generale è che non abbiamo assolutamente il diritto di interrompere la vita umana a nessun livello. Dal punto di vista ebraico, possiamo dichiarare giuridicamente morto un essere umano quando documentatamente cessano tutte le sue funzioni, in particolare quella respiratoria e quella cardiaca, dopodiché si può eventualmente servirsi di parti del suo corpo per uno scopo nobile. Senza queste condizioni non si può fare il trapianto perché, anche se il suo encefalogramma è piatto, per noi è un essere vivo e anche se le sue prospettive di vita dovessero essere solo di un decimo di secondo o di una vita del tutto vegetale, chiunque manipolasse questo signore commetterebbe nientemeno che un omicidio. Detto questo abbiamo già detto molto perché quasi tutti i trapianti oggi sono fatti prelevando organi da persone che secondo questi criteri sono ancora vive. L'unica cosa su cui non c'è discussione è la cornea, perché può essere prelevata anche dopo un certo periodo di tempo dopo la morte. Non solo, ma abbiamo dei grossi dubbi se si possa fare il trapianto anche dal punto di vista del ricevente. Sottoporsi ad una operazione di trapianto, soprattutto quelli del cuore, del fegato, eccetera, comporta dei rischi. E il ricevente ha il diritto di sottoporre se stesso ad un rischio di morte, quando le prospettive di sopravvivenza sono al di sotto di una certa percentuale ragionevole? Di fatto, se la cosa fallisce non è che si dice "beh, è andata male", quello è morto. Poi c'è il caso del trapianto tra donatore vivo e ricevente malato. Io sano posso donare una parte del mio corpo per guarire un altro? Anche qui ci sono dei grossi dubbi: io posso disporre del mio corpo? Regalo una cosa mia o no? Ho il diritto, diritto giuridico, di sottopormi ad un rischio anche se le motivazioni che mi guidano sono di un altruismo eccezionale? Il corpo è mio, ne faccio quel che mi pare, oppure non posso? Un uomo ha il diritto di mettere a repentaglio in qualche modo la propria esistenza? La problematica cadrebbe del tutto ove i medici ci dicessero che la cosa non presenta rischi particolari. Ora, quando secondo noi queste cose non sono permesse, tutti coloro che compiono queste cose sono colpevoli: il donatore, anche se prima di morire ha lasciato detto che era disponibile, il ricevente, l'operatore e tutte quelle persone, infermieri, che, direttamente o indirettamente, hanno aiutato a compiere questa cosa. meno clte meffere a repentaglio un'altra vita Ma perché non posso disporre del mio corpo? Caro: Perché non è una cosa mia, è una cosa che mi è stata affidata. Non ho chiesto io di venire al mondo, la vita è qualcosa che mi è stata data, ma non è una cosa mia. L'unico dovere primario che io ho è quello di conservare questa vita e la mia salute fisica più che posso. Faccio un esempio: un tale che si sia ammalato e non si voglia curare contravviene a un principio fondamentale dell'ebraismo. "lo non voglio curarmi, sono fatti miei". No, non sono fatti tuoi. Vi sto dicendo dei principi, non delle risposte pratiche. Se da me viene un padre con un figlio che sta per morire a cui vuol donare un rene e mi chiede cosa deve fare, non posso subito dire "daglielo". Bisogna calcolare i rischi del donatore, ma anche del ricevente, parlarne con i medici ... E abbiamo il diritto di decidere se qualcuno deve vivere di più odi meno? Il fatto è che stiamo manipolando una materia che ci può sfuggire facilmente dalle mani perché ci mette nelle condizioni di giudicare delle cose che non possiamo giudicare. Questo per l'oggi, non escludo che domani cambi tutto. Se si affina la tecnica o se si scopre ... che so, che l'aspirina insieme alla coca cola elimina tutti i rischi dei trapianti, del donatore, del ricevente, beh, allora basta, si deve dare, perché quando si tratta di salvare una vita umana, non solo la propria, si può, si deve far tutto. Meno che metterne a repentaglio un'altra. Non possiamo mettere una vita contro un 'altra. E' pericolosissimo, ci mette in condizione di giudicare chi è degno di vivere e chi no. Un discorso che ci porta molto lontano. Un'altra considerazione sulla genetica. Teoricamente l'ingegneria genetica ha uno scopo di miglioramento. Questo è il punto: miglioramento della salute dell'essere umano o miglioramento del genere umano? Il confine è molto labile. Il genere umano migliore è quello che invece di avere una vita media di 80 anni ce l'ha di 85, oppure che sono migliori gli uomini che hanno i capelli biondi e gli occhi azzurri? Cosa vuol dire migliorare? Ma mettiamo che intervenendo nel genoma sia possibile combattere, che so, l'emofilia ... Salvatore/li: C'è un esempio abbastanza indicativo: la talassemia o anemia mediterranea. Il talassemico oggi riesce a vivere fino a quarant'anni. Ma ora è possibile fare un trapianto di midollo. Si distrugge il midollo delle ossa, perché per trapiantare bisogna prima distruggere quello che c'è, dopodiché si trapianta il midollo del donatore che si spera compatibile. Ora, c'è una percentuale di bambini che nmoiono perché sopravvengono infezioni, poiché le difese del midollo trapiantato sono ancora estremamente deboli oppure perché le cellule trapiantate vengono rigettate. Allora uno si trova di fronte a due strade: gli trapiantiamo il midollo e lo guariamo, o lo portiamo a quarant'anni con una qualità di vita sicuramente inferiore a quella dei suoi coetanei sani? E' una grossa decisione da prendere. Trapiantandogli il midollo puoi uccidere tuo figlio, però gli puoi anche dare una qualità di vita migliore e guarito può vivere fino a 90 anni. Sono valutazioni difficili. • siamo a metà strada, • quasi associati alfa divinità Caro: dal punto di vista ebraico, si parte dal principio che il medico abbia ricevuto una specie di patente divina ad operare; il medico deve sentirsi sempre agente di un ente superiore. Il vero guaritore è Dio, è lui che ha in mano le chiavi della salute, della malattia. Però Dio ha dato al medico la facoltà di poter operare in questo settore: "io sono quello che manda i malanni e manda la salute, però demando a te, uomo che hai fatto certi studi, il compito di fare qualcosa che sarebbe mio". Questo entro determinati limiti. Quali sono i limiti? Facile a dirlo, ma difficile da applicare. Il medico può muoversi fino a quando il suo scopo è esclusivamente quello di guarire un qualcuno che soffra di qualche malanno. Se esce da questi limiti, è fuori dalla norma. Per esempio, un medico che facesse determinate cose non per guarire, ma a scopo sperimentale, per la scienza, per saperne di più, senza l'interesse per una qualche applicazione pratica, in questo caso starebbe invadendo un campo che non è il suo. E' difficile scindere leduecose, perché quasi tutti partono dal presupposto che lo fanno a scopo positivo, di trovare nuovi medicamenti, per curare malattie, ma è una domanda che soltanto lui, quel ricercatore, si può fare. "Da che cosa sono mosso?". Il permesso che viene dato al medico non è indiscriminato, assoluto, ma vincolato al fatto di curare la gente. E a questo proposito un'altra considerazione di principio che dobbiamo fare è che noi, medici e non medici, abbiamo il dovere di fornire tutti i tipi di terapia a qualunque essere umano, senza fare alcuna valutazione del tipo "è quasi morto, non è morto, vale la pena, non vale pena, che tipo di vita è la sua". Compito del medico è fornire una terapia a tutti, fino all'ultimo, senza nessun'altra considerazione. "Questo è un povero handicappato, cosa lo tengono in vita a fare, ha una polmonite, forse è un segno di Dio ..." No, lui questo non lo può fare. Tutti gli esseri umani sono uguali e ognuno ha diritto a essere tutelato nella salute con tutti i mezzi possibili. Se il medico, o chiunque altro, non si desse da fare avendo qualcosa a disposizione, sarebbe considerato un assassino. Non dico assassino dal punto di vista giuridico, perché è difficile giudicare una cosa simile, ma moralmente è un assassino. E' un'omissione di soccorso. JI caso dell'accanimento teCO rapeutico? Non c'è una forzatura al corso naturale della vita di cui la morte è un episodio? Caro: abbiamo un atto di accanimento terapeutico quando il nostro scopo non è di migliorare la salute, ma sfidare la natura. Quindi i tubi ad un dato momento si possono staccare? Caro: ma non si può rispondere brutalmente come lo chiede lei. Ogni caso è un caso a sé. Si può staccare tutto quando si ha la certezza che la persona da sola non ce la fa. Se queste cose servono per aiutarlo, allora è terapia, se servono a tenere in vita un tale che praticamente è morto, non è più terapia. Salvatorelli: sono cose molto sfumate. Per esempio, uno dentro il polmone artificiale, è chiaro che se si toglie la spina muore. Però è cosciente, basta soltanto aiutarlo a respirare. E' tutto estremamente sfumato. Penso che bisogna giudicare caso per caso. Vi espongo un caso personale di una mia paziente di 97 anni. Aveva smesso di mangiare, si era messa a letto, era alla fine. E voleva morire nel suo letto, a casa sua, fra i parenti. Io sapevo che in ospedale sarebbe vissuta una settimana in più, idratandola, ecc. Ma poi? Mi sono sentito di dire che se voleva restare lì, poteva farlo, che decidessero loro. Può essere meglio un giorno a casa che una settimana in ospedale. Caro: Sta di fatto che la professione del medico è spaventosamente drammatica. Ci troviamo ai confini di un mondo che non è più il nostro. Siamo a metà strada, quasi associati alla divinità, e dobbiamo avere sempre la percezione di qual è il confine che non possiamo valicare. aveva parlato sempre al singolare • po, "facciamo" Le cose sarebbero tante ... Interpretando il testo biblico sembra che venga fuori che l'uomo non ha assolutamente il diritto di mettere le mani in certi settori. Per esempio ci sono norme che vietano di seminare nello stesso campo due semi diversi. Perché farei una cosa innaturale. Il grano è grano, i fagioli sono fagioli, se io voglio metterli insieme faccio qualche cosa di innaturale anche se il mio scopo è di migliorare la specie. Così come sono proibiti gli innesti, che pur vengono fatti per ottenere un prodotto migliore, più a buon mercato, più resistente, più nutriente. Ma è proibito. Così come sono proibiti gli incroci fra animali. Salva torelli: è il caso del mulo, che nasce da due specie diverse e il prodotto è comunque sterile: per l'ebraismo il mulo è proibito. Caro: tutto questo, secondo alcuni, starebbe ad indicare il divieto di mescolare quello che la natura ha tenuto separato. Nei primissimi capitoli della genesi, quando si parla di Noè, si dice: "tutto quello che è stato creato, è stato dato nelle vostre mani". Questo può avere due significati: "vi è regalato, è vostro", però può anche significare: "affidato alle vostre mani". Il mondo che abbiamo è una cosa che possiamo utilizzare, ma è solo in nostro affidamento, non possiamo andare oltre. E tornando un pochino più indietro, all'atto della creazione, c'è un passo spaventosamente difficile, dove si afferma che, creato tutto quello che c'era da creare, Dio disse: "ora facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza". Perché questo plurale? Prima aveva parlato sempre al singolare e ora "facciamo". "Facciamo" rivolto a chi? Un'interpretazione che viene data a questo passo è che già nei programmi di Dio l'uomo fosse una creatura molto bizzarra, con in sé la capacità, la possibilità, di portare dei mutamenti nella natura. E infatti l'uomo può salvare l'universo o distruggerlo. Allora Dio, creando l'uomo, si rivolse al resto del creato, quasi a chiedergli la sua approvazione: "sto creando qualcosa che ti può cambiare. sei d'accordo?". A proposito di muli nella Genesi, al cap.36, c'è un passo molto strano. C'è un elenco di nomi di personaggi che non dicono assolutamente niente, esisteva questo tale che generò tanti figli, ecc. ecc. Poi all'improvviso c'è una frase che vi cito alla lettera. Nacque un tale chiamato Ana "il quale trovò i muli nel deserto pascolando il gregge di suo padre". Basta. Sembra che il testo ci insegni che questo tale, andando a spasso, abbia trovato, nel senso di "incontrato", dei muli. Oppure si può intendere "trovare" nel senso che osservando gli animali, "inventò", "scoprì" il mulo. Cioè si dette da fare per accoppiare animali che da soli non si sarebbero accoppiati. Ora mentre il testo biblico non dice altro, e non si capisce cosa ci voglia dire, tutti i commentari ebraici, dall'inizio e per tutta la tradizione, commentano questo passo in modo negativo, e con un certo arbitrio perché il passo non lo dice. Cioè che questo tale è stato il primo a fare una cosa contro natura. In tutta la tradizione ebraica c'è questo atteggiamento negativo verso il toccare delle cose che ci sono state affidate. Perché non abbiamo il diritto di entrare nella creazione. Vedete allora quanto è labile il confine? Io devo curare, devo migliorare la salute del malato, ma non devo andare oltre, perché toccare certi tasti non è di mia competenza. Parliamo della fecondazione in vitro allora ... Caro: Sapevo che ci si arrivava. Aiutare a nascere chi naturalmente non nascerebbe, aiutare i genitori in un legittimo desideriodi avere figli, si può fare, ma facendo molta, molta attenzione a determinati principi di carattere generale. Intanto, secondo la normativa ebraica, è proibita la dispersione o la distruzione del seme maschile. Quindi già a livello di diagnosi, per accertare l'infertilità maschile, abbiamo dei grossissimi problemi. Dopo cosa ne faccio del seme? Lo butto, lo distruggo o lo spreco. Per noi questo è già un problema. E' assolutamente proibita l'inseminazione quando il seme non sia del marito della signora, quindi banche del seme, ecc. Poi c'è tutta una serie di problemi che sembrano marginali, ma non lo sono. Ove la cosa sia avvenuta, prima in vilro e poi in utero, oppure in utero "surrogato", oppure con un seme che non è del marito, qual è la posizione giuridica del bambino che è nato? E' figlio del marito o no? Il cosiddetto padre ha il dovere giuridico di mantenerlo? Sono cose che tra vent'anni saranno risolte dalla prassi, ma ora si pongono. Nel caso poi dell'utero surrogato, qual è la posizione di questo ragazzino nei confronti dei due uteri? Ha due madri? Le due cosiddette madri hanno gli stessi diritti nei confronti di questo ragazzino? Visto che il seme ha soggiornato nell'utero A e nell'utero B, chi ci dà il diritto di determinare che la madre è l'utero A? E se tutte e due queste signore rivendicano la loro maternità, possiamo negargliela? E a chi dobbiamo negarla? Salvatorelli: un altro problema. Siccome è ebreo il bambino nato da donna ebrea, è l'utero o l'ovulo che decide? Prendiamo un ovulo di una donna ebrea e l'utero di una donna non ebrea o viceversa questo bambino giuridica~ mente che cos'è? uomo è quello che • nasce ,n quel certo modo ••. Caro: qualcuno si è posto addirittura il problema di cosa sia questo essere umano che è nato. Possiamo definirlo uomo? In positivo e in negativo. Uomo è quello che nasce in quel certo modo, questo non è nato così. E se questa specie di "mostro", detto nel senso positivo di diverso dagli altri, che è nato in questo modo, attraverso una volontà della natura, noi diciamo di Dio, più una manipolazione, un intervento umano diretto, senza il quale non sarebbe nato, non è posto su un piano diverso dal resto degli uomini? Un piano diverso, che potrebbe anche essere superiore. Potremmo avere una specie di essere angelico. Comunque abbiamo creato qualcosa che è al di fuori dell' umano. Salvatorelli: e' un po' il problema del golem. Caro: Sì, di questo essere creato come strumento. Chi si pone il problema di avere un figlio in questo modo, attenzione bene, da che cosa è spinto? E' spinto veramente dalla volontà di creare un essere umano, perché Dio vuole che l'uomo si diffonda, si moltiplichi, eccetera, o è spinto da una forma di egoismo? Perché avere un figlio dà una certa soddisfazione, perché tutti hanno figli. Cos'è che lo muove? Sono tutti problemi che ci scuotono profondamente e dobbiamo procedere con estrema cautela e poi, arrivati ad una soluzione, pensarci ancora un pochino. Non dico che dobbiamo fermarci, perché la ricerca non si può fermare, la scienza sta facendo cose molto belle, ma troppo di corsa. E poi dei cadaveri, degli esperimenti non riusciti, chi ne porterà la responsabi 1 ità? Un ultima domanda. Sulla sperimentazione animale e la vivisezione. C'è un limite alla signoria dell'uomo? Anche qui non c'è la regola tranciata ... uno mette il gettone e esce la risposta. Vediamo anche qui alcuni principi. Il primo è che dovere del genere umano è quello di preservare se stesso. Il secondo principio è che tutto il mondo è affidato a noi, cioè che è al nostro servizio, ma in affidamento. Lo posso usare, ma sempre con grande senso di responsabilità. Terzo principio, che scaturisce dal testo biblico, ed è forse il più importante: è assolutamente proibito all'essere umano causare quello che si chiama '·ta sofferenza degli esseri viventi", cioè qualsiasi sofferenza inutile inflitta a un essere dotato di sensibilità. Questo riguarda il mondo animale, ma qualcuno lo spinge anche al mondo vegetale. Ammesso che le sperimentazioni animali servano, e qualcuno lo mette in dubbio, io debbo prendere tutte le precauzioni che la scienza mette a mia disposizione per evitare che questo essere vivente abbia una sofferenza inutile. Inutile per lui, se lo devo curare questo può provocare sofferenza, è ovvio. Sofferenza inutile è anche, e capita a tutti, quella, passando per strada accanto ad un albero, di staccarne un ramo senza pensarci. Ho commesso una cosa che non dovevo fare, una cosa contro natura. Ho visto delle cose orripilanti ali' ospedale di Torino, in un laboratorio sotterraneo, dove si vedevano decine di cani legati a cui qualcuno, con molta freddezza, provvedeva a tagliare le corde vocali. Solo perché per l'esperimento successivo non strillassero. Sono cose da pena capitale, che non nobilitano il genere umano. a cura di Patrizia Beai, Franco Melandri, Gianni Saporefli

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