Una città - anno II - n. 9 - gennaio 1992

RICETTEC,ERTIFICATI, RICHIESTE DI ESAMI intervista al doff. Mario Bartoli, medico di famiglia Com'è nata la passione? Ha sempre pensato che 'da grande' avrebbe fatto il medico? Beh, non ho avuto fin da piccolo l'aspirazione a fare il medico, non avevo una particolare attitudine. Avevo interessi più letterari o per la biologia. Fra l'altro ero un tipo anche molto chiuso, non mi sentivo adatto per questo mestiere, mi sentivo più portalo verso lo studio che non verso un continuo rapporto con le persone... Lei un tipo chiuso?! ... Sì, chiuso, timido. Forse proprio la timidezza mi ha spinto a forzare il contatto con gli altri. Adesso, invecchiando, forse mi sento più disponibile, si perdono gli interessi un po' fittizi propri dei giovani e ci si trova con meno cose da fare, lo dico in senso negativo, e si ha più voglia di essere disponibili con gli altri. Però quando quest'estate c'erano i concerti a Sadurano ho lasciato tutto! Anche perché Forlì è una città che dal punto di vista culturale offre sempre meno, pensa al cineclub della Taverna Verde, quanti film abbiamo visto lì? Adesso non c'è più nulla, c'è disgregazione culturale. C'è un po' di rimpianto anche per la professione scelta? Non rimpiango proprio niente, anche perché bisogna poi vedere se le mie attitudini vere erano verso altre cose, se davvero sarei riuscito in qualcos'altro e anche se ho finito col fare il medico mi son rimasti altri interessi e, quando posso, mi ci dedico. Mi affascinaquello che non si conosce, mi sento attratto da ciò che c'è da scoprire. La biologia, ad esempio, che è ancora una scienza in fasesperimentale, si hanno delle idee, ma non si possono provare ...Mi piace insomma quello che non conosciamo, cosa c'è sotto, la parte misteriosa della realtà. Quando siete arrivati stavo guardando un libro sulle lingue egee...non si sa nulla, è una specie di enigmistica. Ritornando alla sua professione, che riflessione fa dopo 30 anni? Cos'è cambiato, come ci si ammalava aJlora? E oggi? Intanto, i bambini non li vediamo più, perché fino ai 10-12 anni sono di competenza del pediatra. Quello che ho notato, soprattutto in campagna, èstata l'esplosione di malattie tumorali, certamente legate al periodo dell'uso indiscriminato degli anticrittogamici. L'agricoltura è stata una vera e propria fabbrica del cancro. In un certo periodo ci sono stati in percentuale più cancri alla vescica fra i contadini che non fra chi lavorava in fabbriche di prodotti chimici o coloranti anilinici. Adesso il fenomeno sta regredendo ... Meno gente che lavora in campagna ...Sì, ma anche una maggiore attenzione delle case produllrici. Nel passato ci son state vere e proprie ondate di linfomi e tumori alla vescica. Oggi si vedono tumori anche in persone in età giovanile, sono abbastanza strani, non se ne saquasi niente. Del resto non si sa dopo quanto tempo si manifesta un cancro, unamalattia: 1 O, 15,20 anni? Quel che si raccoglie ora può esseredovuto a quel che si è seminato anni e anni fa. Ad esempio, c'è stato un periodo agli inizi degli anni 60 in cui, per l'embargo allo zucchero cubano, è stato usato in modo forsennato un dolcificante di sintesi, il ciclammato: l'han messo a dosi massicce negli alimenti, nelle bibite, nei dolci, persino come dolcificante delle medicine! E i più esposti sono stati i bambini. Questo ciclammato ha certamente inciso sul genoma, sul cromosoma delle cellule, anche se è difficile stabilire con certezza quali coloranti o conservanti siano più responsabi1 i, conoscere i meccanismi precisi dei loro effetti sugli individui. Entriamo un attimo nel campo del comportamento sociale. Lei entra tutti i giorni nelle case della gente ... Il comportamento è cambiato e le cause sono molte. Non c'è mai una sola causa. Oggi c'è l'esplosione di un 'quid' irrazionale sulla parapsicologia, sugli stregoni. Aumentano le persone che contestano la scienza ufficiale. E' vero, la scienza ufficiale ha i suoi limiti, ma almeno usa metodi scientifici. Poi il boom delle lauree ha creato tanti medici disoccupati che, spesso in buona fede, altre volte per trovare un lavoro, si sono buttati sulla medicina alternativa. Sì, uno può fare l'agopuntura seci crede, ma può darsi che ci creda anche poco. C'è tanta elettrauto marzio malpezzi piazzadellavittoria forlì tel. 67077 ~ SERCOM s.r.l. TECNOLOGIA E ARTE NELL'ARREDARE NEGOZI 47100 Forlì - Zona industriale Via Correcchio, 21/A Tel. 0543/722330 - Fax 725483 lafurtma SPI\ BIZERBR liCll'fM.A 1UM lllnM..UCMf gente che arriva a 30 anni con una laurea, non ha un mestiere e adopera quello che sa per crearsi un'occupazione. D'altra parte la medicina interviene sempre in modo effettivamente pesante e c ·è anche l'esigenza di cercare delle alternative. D'altronde la medicina è legata all'industria. La prevenzione non si fa, la cultura della prevenzione non c'è. La prevenzione è una scelta sociale, economica, politica, non la può fare il singolo. Se cammino per la strada respiro tutti i veleni e gasdi scarico, io, individualmente, posso solo smettere di fumare. La prevenzione deve essere una scelta globale. Poi 'la diagnosi precoce': è un inganno! La lasciano ai medici periferici che non hanno nessun mezzo o pochi. Gli strumenti più sofisticati sono nelle grandi cliniche, cui si finisce col rivolgersi quando il male è già in fase avanzata. Per carità, qualcosa di buono è stato fatto: dove si può arrivare con gli occhi o le mani (la cute, il seno) qualcosa s'è ottenuto. Ma per diagnosticare in tempo un tumore ai polmoni occorrerebbe fare, se si è fumatori, degli esami sofisticati una volta ali' anno, che costerebbero un'enormità e quindi non si fanno. La cosa più semplice resta così smettere di fumare! La sta mettendo in politica ... Jofaccio il medico in un contesto sociale e politico, la medicina è un aspetto della società. E il consumismo arriva anche qui. Paradossalmente se uno scienziato scoprisse un vaccino per non ammalarsi più l'arnmazzerebberosubito! Non è che con la medicina non si possa fare del bene, ma indubbiamente c'è una convulsione, uno sperperonella ricerca, nella produzione di medicine che non avrebbero ragione di esistere, perché fra loro esistono differenze insignificanti. A volte le medicine passano di moda dopo appena un paio d'anni. Questo significa che non c'è stato neppure il tempo per una sperimentazione su vasta scala. E' come l'automobile: bastano pochi optional e una vettura è fuori moda! Fra l'altro siamo anche dei _grandiconsumatori di medicine. Purtroppo c'è un terribile 'accordo' fra i consumatori e la grande industria. Perché èvero che il cittadino non paga niente, o meglio crede di non pagare niente, in realtà è una pacchia, è il mercato che tira di più: per le medicine, qualunque prezzo abbiano, non si bada a spese. E i medici, non hanno responsabilità? Non dovrebbero 'educare' i loro pazienti, almeno rispetto all'uso delle medicine? Abbiamo molte responsabilità, però non abbiamo più nessuna capacità di decisione: molta gente viene e chiede già 'quella' medicina. In Jtalia non siamo né ricercatori né sintetizzatori, siamo dei commercianti. La nostra industria farmaceutica è un'industria parassitaria che paga le 'royalties' agli americani e ai tedeschi che fanno la ricerca. Da noi è solo un problema di commercializzazione: si crea il 'bisogno' di una medicina, magari utilizzando i risultati ottenuti in America, epoi, al momento giusto la si immette nel mercato, calcolando bene i tempi per il lancio e per la ricezione del messaggio. Alla fine la gente viene e ti chiede quella medicina. Con questo non voglio dire che si prescrivano prodotti dannosi o inefficaci, ma insomma c'è tutto un condizionamento. Voglio farti un esempio perchénon sembri che 81 lioteca Gino Bianco parlo tanto per parlare: la calcitonina è diventato un fannaco quasi obbligato per tutte le donne in menopausa. Appena hanno un dolorino, giù con la calcitonina! Solo che poi dovranno prenderla per almeno vent'anni ...lo dico: quando si usa la calcitonina, che è costosis ima, se ne ha veramente bisogno? Tutti quelli che la usano ne hanno veramente bisogno? E pensareche la mineralometria ossea,unesameche serve a verificare un'eventuale carenza di calcio a livello scheletrico, costerebbe poco più di un flacone di calcitonina che dura una settimana e che, una volta cominciata, va presa per vent'anni. Si dovrebbe organizzare una vera e propria difesa degli ammalati. Non far nulla significa fare il gioco degli speculatori. Non le sembra che ci sia anche un po' la mania di voler curare tutte le malattie, anche le più piccole? Abbiamo un raffreddore, o la tosse o un po' di febbre e subito prendiamo sciroppi, compresse, ecc. E infatti questo è assurdo. Direi che 1'80% delle malattie guarirebbero da sole in pochi giorni. Crediamo che le medicine ci proteggano. Io lo dico sempre: non credete troppo nelle medicine, cercate piuttosto di non ammalarvi. Sarebbe importante un'opera di educazione sanitaria per rendere la gente un po' più autosufficiente rispetto alla gestione della propria salute. Mi pare che una volta si dicesse di star bene anche quando si stava male e oggi si dica di star male anche quando non si ha niente ... Ci sono tanti fattori: le persone anziane sono molto più sole e cercano nelle medicine quello che una volta trovavano nel1' affetto, nella famiglia. Poi siamo anche più insicuri, la quantità di informazioni che ci inviano in realtà non ci servono. A cosa serve vedere in TV un'operazione a cuore aperto? Invece di informarci sulle vaccinazioni, sulle norme di igiene, cioè su cose minime che ci servirebbero quotidianamente puntano di più a farci vedere cose spettacolari che tanto poi non è che possiamo fare da soli. Cos'è che la spinge a fare il dottore nel modo in cui lo fa, praticamente senza orario? Sono tutti fattori negativi, non è una vocazione al martirio! E' semplicemente che mi accorgo che il medico è sempre più lontano dai suoi pazienti, i quali son diventati dei gran consumatori di medicine, ma hanno sempre meno contatto col medico. Quindi per prendere il malato, curarlo e stargli dietro devo dedicare la mattina alle ricette, il pomeriggio alle visite domiciliari e la sera all'ambulatorio. Io non me la sento di chiudere bottega solo perché ho fatto già tante ore. Anche questo, rispetto a trent'anni fa è un bel cambiamento: non si passavano tante ore solo per ricette, certificati, richieste di esami. Sono ritmi assurdi, non si riesce più a parlare con gli ammalati. La seracerco di parlare un po' con la gente, di guardare bene... Lei cura molto il rapporto con l'ammalato, è molto affettuoso, potrebbe sembrare un effetto placebo ... No, non è un effetto placebo, magari! Sarei uno sciamano. Questa è proprio la conoscenza minima che serve per inquadrare un po' un ammalato, per capire cosa gli sta succedendo. Perché io mi sento sempre più lontano dai miei pazienti, non li conosco più. loro. Del resto se vedi le schede che dobbiamo riempire: l'ammalatoèdefinito 'quesito' e perla descrizione del suo problema c'è una riga sola. L'individuo è sparito. Il rispetto per l'individuo non esiste più. Il culmine per questa mancanza di rispetto si hanel certificato che dobbiamo rilasciare per la patente. E' aberrante che io, a pagamento, debba fare la spia ad un ente pubblico di quello che ha un mio paziente. E che potrebbe ancheessereusatoper compromettere il lavoro o la vita di questa persona. Posso capire per gli alcolisti o per chi fa usodi sostanzestupefacenti, ma non vorranno mica farmi Siamo ormai tutti omologati, mi sembra già una società orwelliana: che differenza fa che mi facciano parlare un po' oppure per niente quando tutto è già stabilito e manovrato? Viviamo in una società lanciata acorsa pazza verso l'ignoto: sperpero di materie prime, inquinamento, emarginazione dei più deboli. O sei sul treno o sei tagliato fuori. Ci sono sempre meno oasi, meno possibilità di vivere in un modo diverso.A volte mi viene dapensare, leopardianamente, che l'unica speranzadi rimettersi un po' in sesto sia di sbattere la testa contro il muro, di andare fino proposta è una società pazza che non tiene conto dell'individuo e dei suoi bisogni, e che ignora la crescita zero. lo penso questo: se ci fosse una società regolata in modo armonico, esisterebbe un limite? Sì. Non può non esistere. O di energia o di popolazione, chiamalo come vuoi. Invece la nostra società è governata da un'economia che non può avere limiti, come un pazzo in predaacrisi psicomotoria. Una società preda della violenza contro se stessa e contro la natura. E si rifugia negli Etruschi ... Gli Etruschi non si sa da dove vengono e, come ho già detto, credere che gli incidenti sono provocati da malati di diabete o di reni!? E poi diciamo dei regimi totalitari. E questo non è un regime totalitario? Solo che invece che politico il potere è innanzitutto economico e si porta poi dietro il potere politico. Questa è unasocietàdove s'è perso il rispetto dell'individuo, ti danno l'impressione che puoi scegliere, in realtà sei libero di scegliere chi vogliono in fondo, e poi ricominciare da capo. D' altra parte la cosa tremenda di cui ci siamo accorti con la crisi dei paesi del1' Est è che a noi èvenuta meno la speranza di poter cambiare il tipo di società. Adesso il ritorno ad una società di tipo capitalista e consumista come unica forma possibile di sviluppo ci ha tolto tutte le speranze. E questo è tremendo, perché l'unica società che ci viene sono affascinato daciò chenon è ancora stato scoperto. Di certo non avevano i nostri problemi, però avevano le idee chiare su quello che dovevano fare. Ad esempio quando costruivano le case: prendevano in considerazione i punti cardinali, le fonti, la depurazione dell' acqua... Come siamo andati a finire! ... a cura di Liana Cave/li e MassimoTesei --------------di Oscar 1a91t· NEL DOLORI DI UNA FIRIFA E' dawero sconcertante il numero di donne che, in fasi diverse della loro vita, hanno praticato una interruzione volontaria di gravidanza: non credo che i dati statistici pubblicati siano attendibili perché a tutt'oggi non è certo raro che ci si affidi a strutture sanitarie di altri paesi o purtroppo ancora si faccia ricorso a più o meno qualificate "mammane". Tali vie vengono seguite in quanto spesso si incontrano difficoltà di accoglimento presso gli ospedali locali o limitrofi, ma anche perché si teme che i percorsi ufficiali non diano adeguate garanzie di segretezza, oltre al senso di umiliazione e di inutile attesa che danno colloqui e confronti non richiesti, che assumono spesso solo il carattere di prassi costrittiva. E ancora come classificare l'assunzione della cosiddetta "pillola del giorno dopo" e quella strana specie di aborto spontaneo, in cui al rifiuto psichico spesso si associa una inconsulta "disattenzione" agli sforzi fisici e all'ingestione di sostanze tossiche e contratturanti? L'aborto è dunque una esperienza che ha coinvolto, con modalità diverse, numerosissime donne. Certo non si può togliere importanza al modo, che in certi casi può diventare di per sé un vissuto con conseguenze drammatiche anche per lavita della persona, né sottovalutare un fattore come il tempo, che determina una convivenza più o meno lunga e quindi un'esperienza corrispondentemente complessa del rapporto con la propria creatura. "Non odo, non vedo, non sento": grande è la tentazione del sollievo di non sapere e la precocità dell'intervento della "pillola del giorno dopo" viene considerata quasi una panacea, proprio perché tende ad eludere la conoscenza e ad evitare perciò la responsabilità di una scelta dolorosa. Anche il tempo biologico conduce ad esperienze diverse e in linea di massima la giovinezza dell'età determina una minore durata del vissuto di chiusura e di morte, forse perché si ha di fronte gran parte della propria vita, con tanti aspetti che ancora devono essere vissuti. Ma al di là del modo (anche se talvolta uno svolgimento drammatico dei fatti costituisce una specie di compensazione o di "espiazione") e del tempo, e al di là di eventuali altre gravidanze regolarmente portate a termine (anche se possono dare il senso di aver ottemperato ad una sorta di "dovere biologico", tuttavia l'immagine dei figli viventi evoca spesso il fantasma di quel volto non visto, con interrogativi e paragoni impossibili) e ancora al di là dell'educazione religiosa ricevuta, dal punto di vista della pratica analitica si possono fare alcune osservazioni empiriche che accomunano le esperienze più disparate. - Nella maggior parte dei casi nella donna è praticamente assente il senso di condivisione della responsabilità (quasi che nemmeno esistesse un padre, il cui ruolo è spesso marginale in qualunque direzione eserciti la sua influenza, anche se è effettivamente frequente che demandi la decisione), mentre è dominante la sensazione di solitudine profonda, che ha un carattere di "ineluttabilità". - Sembra che il fatto non possa essere "impunemente" rimosso, anzi è incredibile la sua inesorabilità nel riaffiorare con angoscia anche a distanza di molti anni, fino a che non sia stato vissuto "a sufficienza" nel senso della sua elaborazione ed integrazione. Questo però non consente una liberazione definitiva o una "assoluzione", ma l'acquisizione di una specie di "peso" con cui si riesce a convivere senza angoscia. Come il prendersi sulle spalle un pezzetto di quella croce che ognuno porta con sé. E' l'affermarsi di una "coscienza dolorosa" che riesce a trasformare immagini oniriche drammatiche e persecutorie (omicidio, inseguimento dell'assassino, occultamento, lutto, mutilazione, rumore in cantina come se qualcuno fosse stato murato vivo, sacchetto di plastica nel bidone della spazzatura, terra smossa in giardino, strada sbarrata), come se in qualche modo la perdita dovesse essere riconosciuta nel suo valore e portata alla luce e si dovesse poi concedere una "onorata sepoltura". Come se dovesse essere pagato qualcosa al mistero della vita, che richiede come tributo una sorta di rispetto e di sacrificio, nel senso di riconoscimento della sua sacralità: il rito si compie e la vita ricornineia.__ a rifluire. - La frequenza delle sensazioni di blocco, paralisi, depressione, di impossibilità di dare una svolta, la mancanza di vitalità, di eros nelle esperienze di aborto non sono solo un problema etico (anche se nessuno può pensare di sottrarsi a questo confronto), ma, come ha osservato Hillman, potrebbe trattarsi di un vissuto di morte e di abbandono del Puer, del bambino eterno che è dentro di noi, che in ogni momento può emergere come potenzialità a ricominciare, ad aprire nuove prospettive ed orizzonti. Si soffre l'assenza di un soffio di "slancio vitale", il soffocamento del fuoco della creatività, del rinnovamento spirituale, si awerte la sensazione di inguaribilità che porta con sé ogni ferita archetipica. La nascita e la morte awengono nel sangue, nella lacerazione, nel distacco, sempre nel dolore di una ferita e proprio questa è il luogo che può diventare ricettacolo di un nuovo processo rigenerativo, che richiede cura per frenare l'emorragia, attenzione nella protezione della sua vulnerabilità, pazienza in attesa della crescita dei suoi tessuti e della rimarginazione dei suoi lembi. La ricerca di una nuova sorgente è in questi territori ove regnano il caos e la mancanza, là dove Poros e Poenia possono dare alla luce un nuovo Eros. UNA CITTA' 9

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==