JH\ 18TA POPOJ,AHE 1H POJ,ITIC\ J,F,TTEHE E SCIE:\ZF. 80Cl-\J,f 13 vVorchester, Coventry, Shrewsbury, Chester, Licbfield e che ordinava alla flotta, nell'isola dt vVight, di issare lo stendardo realo e di salutare lei e la figlia c-,i colpi di cannone dovuti all'erede del trono e a sua madre. Nel 1836 il re la invitò al Castello di Windsor - h, rocca dei sovrani inglesi situata all'estremità orientale della contea di Berks - per darle modo di partecipare allc1,cerimonia che doveva celebrare, il 12 agosto, la nascita della regina Adelaide. La duchessa gli rispose che il 15 voleva celebrare il suo a Claremont I - una residenza di proprietà reale, a 14 miglia da Londra, occupata, ora, dalla duchessa d'Albania. Più di una volta Guglielmo le aveva rifiutate diciossdte stanze ch'essa voleva aggiungere a quelle che occupava nel palazzo di Kensington. Voi me le rifiutate? Io le invado e vi rimango. Vedremo se userete la forza per farmene uscire ! 11 re, il quale, come si è veduto, non era un gentiluomo, glie ne fece sco: tare parecchie. Il suo modo di punirla era di costringerla, nelle grandi occasioni, ad ascoltare un suo discorso nel quale erano ullu8ioni che la colpivano direttamente. Al banchetto del suo ultimo compleanno, egli dovette, per decenza, subirsi, a destrà, la duchessa di Kent. Durante il pranzo seguitarono a scambiar3i ingiurie che ioorrid.vano i commensali. Alle frutta, dopo il brindisi alle loro mafstà e le grida, collettive di viva il re! Guglielmo s'alzò, prese il bicchiere e pronu'.lciò queste parole che traduco letteralmente perchè racchiudono la sua ignoranza, la sua impudenza, il suo dolore e il suo rancore: « Confido in Dio che la mia vita verrà risparmiala per altri nove mesi, trascorsi i quali, in caso di mortt>, non sarà più necessaria la reggenza (la quale sarebbe toccata alla duchessa di Kent). In allo1•a io me ne andrò contento di lasciare l'autorità reale nelle mani di qutilla giovine lady (additando la principessa Vittoria che gli stava in faccia), erede presuntiva della corona, e non nelle mani della persona che mi è vicina (la duchessa), la quale è circondata da pessimi consiglieri e sarebbe incapace di occupare degnamente il posto nel quale verrebbe posta. Non esito dire che io, Guglielmo lV, sono stato continuamente e villanamente insultato da questa persona e che sono determinato a non tollerare più a lungo una condotta così irriverente. Tra le molte cose io d!'vo dolermi principalmente del modo con cui que 1la giovane lady (la futura regina) venne tenuta lontana dalla mia Corte. Ella venne ripetutamente tenuta assente dal mio salotto nel quale avrebbe dovuto essere srmpre presente. Ma io sono assolutamente deciso che ciò non avvenga più mai. Voglio ch'essa sappia che io sono il re e che io voglio che l'autorita del re sia rispettata. In avvenire io insisterò e comanderò che la principP.ssa sia prESente in ogni occasione, come è suo dovere». Questa ~cenata reale che fini, naturalmente, con una tempesta dietro le quinte, è nelle memorie del Greville il quale fu uno dei consiglieri della corona da Giorgio lll alla regina Vittoria, Senza di lui Thackeray non avrebbe potuto nausearci col suo Giorgio IV, del quale non ci è rimasb di grande che la sua montura, la sua stella, la bua parrucca. - esposte nel museo di madame Tussaud - una filatessa di calze di seta, un mucchio di guarnizioni, una collezione di busti da donna, un guazzabuglio di ciocche di capelli delle sue amasie, una guardaroba di pellicce delle sue femmine e dei cassoni di nastri, di giarrettiere e di moccichini allegramente profumati. Dietro le quinte, cioè in un salotto, la regina pareva di cera, la principessa Vittoria singhiozza,a, il re passeggiava in su e in giù colle mani sul dorso e la duchessa di Kent, impertubabile, suonò il campanello e ordinò che le si attaccassero i ca valli « per~hè non voleva rimanere un attimo di più sotto il tetto di un re mascalzone ». L'improperio provocò un'esplosione di ingiurie che io non posso sciorinare ai lettori, perchè i valletti che origliavano non ebbero il buonsenso di tramandarle ai posteri che condensate in una frase. Tutti i Brunswick ebbero dei ticchi. Qut:llo di Giorgio III era di imporsi al Parlamento, quello di Giorgio IV di lasciarsi propalare come « inventore » della fit,bia sulla scarpa scollata e quello di Guglielmo di farsi credere oratore. Guglielmo si sfogava dovunque poteva con dei discorsi strampalati, insolenti e senza nessun rapporto colla cerimonia alla quale presiede, a o assisteva. La sua mania era di parlare non imp(-rta su che cosa. Egli invidiava, spesso il deputato olla Camera dei Comuni. Almeno lui, diceva, può f.re dei discorsi che sono letti da tutti i miei sudditi! Mentre il re, che è il re, è obbligato, sovente, a confidare i suoi pensieri a un branco di cretini e di corLigiani ! Quando diceva qualcosa che andava in pubblico, era il suo servo Adolfo che lo informava del!' impressione che producevano le sue parole. Così alla mattina della scenata, il re, conscio di aver fatto un disco1 so coi fiocchi, domandò al fido Adolfo che ne pensava la gente. - La gente, gli rispose, pensa che la duchessa meritava la ramanzina che vostra maestà le ha d1tts; ma crede che sarebbe stato meglio dargliela nel gabi11etto reale. Il re: - Me ne infischio di avergliela inflitta a un banchetto di invitati ! Perdio! sono stato insultato oltre ogni limite e dovevo scoppiare! I commenti del <Jrev!Ile sono che la d ·:chessa di Kent era da biasimarsi. Ma che la forma di correggere del re tra mostrulsa e senza precedenti. Non si era mai veduto un sovrano che fa un discorso a tavola per insultare, dinanzi a tutti, una donna invitata ! Prima di morire glie ne fece mangiare un'altra. Un giorno gli venne in mente che era una crudeltà. lasciare la principessa che doveva succedergli senza un po' di dana.ro per lo spillatico. Ma come darg'ielo senza metterlo sotto il controllo delle duchessa madre, semp:e assetata di sterline? Disse a lord Conyngham: Questo è un assegno annuale di 250,000
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