Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 12 - 30 dicembre 1895

RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI 183 ANTISEMITISMO (Continuazione e fine) Il genio della razza. Nel vasto campo dell'istorografia scientifica la teoria antropologica delle razze fu a lungo considerata, come la teoria unicamente capace di spiegare tutta la complessa fenoqienologia della storia. Esagerando si è detto: la razza è un certo tipo primitivo invariabile, nel quale è virtualmente contenuta la intera natura fisica e morale dell'uomo; onde la razza fa. la storia di un popolo, come le varie razze fanno la storia universale dell'umanità. Oggi, dal punto di vista del trasformismo e dell'evoluzionismo sociale questa teorica delle razze va mang mano perdendo tutta quella esagerata importanza attribuitale. I caratteri psico-fisici delle razze umane non sono più considerati come il prodotto genuino, originario delJa primitiva loro costituzione, ma piuttosto come il prodotto di cause storiche e sociali, che concorrono ora a fissare, ora a modificare, 01·a a trasformare le loro attitudini. Ciò posto, da molti antropologi moderni si attribuisce erroneamente agli Ebrei, che sono i rappresentanti più puri della razza semitica, il genio particolare e caratteristico del commercio e dell'usura. Su questa pretesa originaria tendenza all'arte feneratizia, si fonda la terza forma del!' antisemitismo: l'economica. Ma le attitudini speciali dogli Ebrei al commercio, alle speculazioni bancarie, all'aggiotaggio, all'usura non sono il prodotto naturale del genio della razza semitica, ma piuttosto debbono considerar$i come una conseguenza necessaria di fattori storici e sociali, come dimostrò con molta dottrina e con prove esaurienti il nostro Cattaneo, or è più di mezzo secolo (1). « L'arte usuraia, afferma il grande pensatore italiano, non è affare di sangue, ma di educazione e di posizione, e gli Ebrei sono capaci di altri generi di bene e di altri generi di mali. » Gli Ebrei furono, in tempi remoti, un popolo di pastori. Dopo il loro esodo dall'Egitto e la successiva conquista della Palestina passarono dallo stato di pastori nomadi allo stato di agricoltori fissi. La legislazione attribuita, comunemente a Mosè, tendeva mediante le sue istituzioni e le sue prescrizioni, a concentrare l'esistenza d'Israele in Palestina da un canto, dall'altro a consacrarlo in uno stato di perfetto isolamento dai popoli circonvicini idolatri. La Palestina è la terra dei giusti, la terra d~i viventi ( Salmi), la terra straniera è polluta e profanata, e lo straniero, l'incirconciso é impuro. (Ames, V, 17, Isaia, III, 1). (I) Cattaneo - lnterdi.;;ioni lsraelitiehe, voi. IV delle Opere eclit• ed inedite, pag. 23-180. I commentatori, i dottori, i rabbi, gli interpreti della Tora (la legge) e del Talmud, considerano come apostati, adoratori delle stelle coloro che si allontanano dalla Terra Santa. Ed è per ciò, come scrive Spinoza, che nessun cittadino ebreo poteva esser condannato all'esiglio, per non esser costretto a sacrificare agli Dei stranieri ( 1). « Io sono l'Eterno che vi ho separati da tutti gli altri popoli, perchè siate miei » ( Levitico, capo XX, 24, 26). « L'ideale d'Israele, scrive il Renan, stava nel passato, in una vita che esso considerava come solamente degna dell'uomo libero, vita patriarcale ed agricola, senza grandi città, senza armata regolare, senza potere centrale, senza corte nè aristocrazia principesca, senza lusso nè commercio .... » (2). Alla vigilia della distruzione di Gerusalemme lo storico ebt·eo Gloseffo Flavio diceva: « Siccome la terra che abitiamo è lontana dal mare, non ci dedichiamo al commercio e non abbiamo nessuna comunicazione con le altre nazioni. Ci contentiamo di coltivare le nostre terre e lavoriamo principalmente a ben educare i nostri figli e a praticare la nostra religione » (3). Il legislatore ebreo aveva voluto far del suo popolo un popolo isolato all'agricoltura e al puro culto monoteistico dell'Eterno. Tale completo isolamento, entro del quale visse a lungo confinato il popolo d'Israele, legato indissolubilmente a.Jla sua terra, lo rese non solo straniero a qualsiasi commercio, ma lo rese ancora inviso a tutti i popoli circonvicini. Perchè è precisamente da questo isolamento materiale e morale, per niantenere puro il culto dell'Eterno in mezzo alle idrolatrie religiose, che trasse origine l'accusa lanciata dagli scrittori pagani contro gli Ebrei, di esser nemici del genere umano; accusa formulata nettamente persino da S. Paolo nel Capo IV 15 della prima sua lettera ai Tessalonicesi. Diodoro racconta che gli amici consigliano Antioco, all'assedio di Gerusalemme, di prender d'assalto la città e sterminare gli abitanti « perchè fra tutti i popoli erano i soli che non volessero rapporti di alleanza con le altre nazioni, che considerano come nemiche, e perchè si distinguono sopratutto per il loro odio al genere umano. » Giovenale, Svetonio e Tacito parlano dei Giudei come dei nemici dell'umanità, e Quintiliano considera Mosè come il legislatore di una banda di briganti. Roma nel suo secolare lavorio di assimilazione dei popoli, che cadevano sotto le sue conquiste; non arrivò mai ad assimilarsi gli Ebrei. Restarono i veri (1) Traetatus theologieus-politicus. Capo XV/!. (2) llistoire du Peuple cl'ls,•ael. I. IV citar VI, pag. 267 del voi. 2. (3) Contra Apio11e, I, 12.

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