il Potere - anno II - n. 6-7 - giugno-luglio 1971

4 il POTERE MOMENTI D LOTTA NELPROCESSO DI DECENTRAMENTO POLITICO L'ente regione di fronte aUe camere dicommercio L'ESPERIENZA di attuazione regio- nale sta attraversando una delica– ta fase al termine della quale, bene o male, dovranno configurarsi nuovi rap– porti tra enti e funzioni che, diretta– mente ed indirettamente, interessano l'organizzazione basilare della vita po– litica, amministrativa ed economica del nostro paese. L'emanazione dei << decreti delegati)), ad esempio, costi– tuisce una formidabile occasione per incidere sulla struttura dei rapporti tra amministrazione statale ed ente re.. gione da un lato e tra quest'ultimo cd enti locali di varia natura dall'altro. La tendenza in atto non sembra dif. ficile da interpretare: nel primo caso il processo di decentramento di una serie di funzioni amministrative è con– cepito dalla burocrazia statale come un momento di «lotta» alla dimensione regionale. Nel secondo caso si tende ad adottare la linea di minor resistenza; nel mentre si trasferiscono una serie di compiti alle regioni attraverso lo strumento dei « decreti delegati», si la– sciano immutate le funzione di altri enti, teoricamente ed operativamente conflittuali con i nuovi compiti regio– nali, in attesa di successive disposizio– ni di legge. In altri termini: la fase apparente– mente « tecnica» (copertura ad una SO· stanza politica tra le più rilevanti) del trasferimento alle regioni delle com– petenze sta avvenendo in wia atmosfe– ra di guerra all'autonomia regionale e secondo una metodologia che rischia di creare una rete inestricabile di con– flittualità. E' necessario, quindi, essere estrema– mente chiari: in primo luogo non si può e non si deve prescindere, special– mente in questa fase, da una corretta valutazione «politica» di cosa deve in– tendersi per esperienza regionale; in secondo luogo è necessario approfon– dire caso per caso secondo quali dire– zioni e con quali modalità, tecniche e politiche, potranno conf.igurarsi i nuo– vi rapporti tra amministrazione cen– trale, regioni ed enti dotati di autono– mie e di potenzialità conflittuali più o meno radicate nella tradizione poli– tica ed amministrativa del paese. turiscono si presentano di una com– plessità veramente notevole. Ci sem– bra pertanto importante segnalare un recente contributo che esemplifica quanto sin qui accennato, con riferi– mento ai rapporti tra ente regione e camere di commercio. Su questo piano l'Ilres (Istituto li– gure di ricerche economiche e sociali) ha pubblicato uno studio nell'ultimo numero del suo bollettino mensile. Organismi ibridie bivalenti Il problema esaminato dall'Ilres è quello dei rapporti, in atto o potenzia– li, tra ente regione e camere di com– mercio. L'analisi, rivolta ad individuare eventuali conflitti tra i due enti, ha ri– chiesto l'approfondimento di tre aspet– ti di particolare interesse riguardanti le camere di commercio: a) i compiti istituzionali ed i ruoli svolti realmente; b) le caratteristiche strutturali; c) la natura rappresentativa degli organi del– l'ente. Questi tre aspetti sono strettamente connessi ed un loro esame interrelato fornisce una serie di necessarie preci– sazioni, e complicazioni, all'argomento della conflittualità con la regione. Per ognuno di essi lo studio Ilres propone stimolanti osservazioni che ricordiamo sinteticamente. Le camere di commercio svolgono tre ordini di compiti fondamentali nel– l'ambito di ognuno dei quali può darsi una conflittualità con l'ente regione: compiti istituz10nali, compiti sviluppa– tisi per autogenesi che sono stati as– sunti nell'ambito di una interpretazio– ne estensiva delle leggi ,istitutive, com– piti delegati dall'amministrazione cen– trale in ordine ai quali si assiste ad un chiaro disegno di valorizzazione de• gli enti camerali in aree di futura com– petenza regionale. La sommatoria di questi compiti costituisce un coacervo quasi inestricabile, reso ancora più complesso dalla particolare natura del– le camere di commercio. L'Ilres le de– finisce come organismi ibridi e biva– lenti, quasi un moderno Giano bifron– te, legato da una sorta di « contratto mezzadrile» con l'amministrazione cen– trale. nee ad operare in tal senso in ragione del rapporto « mezzadrile » che le col– lega all'amministrazione centrale e della non democraticità dei loro orga– ni decisionali. A questo punto siamo in grado di cogliere nella sua rilevanza eifettiva il problema della possibile conflittualità tra regione e camere di commercio. Il quadro è quello proposto al punto pre– cedente: i conflitti emergono con rife– rimento ad un ente di natura ibrida e strutturato in modo non-democratico. Le aree di possibile conflitto sono fondamentalmente due: a) possibilità di conflitto diretto nei casi in cui le attività svolte dalle camere di commer– cio (e/o dalle unioncamere regionali) «coprono» o « attengono» funzioni rientranti nell'area di competenza del– l'ente regione; b) possibilità di conflit– to « indiretto » nei casi in cui, pur non ravvisandosi una sovrapposizione for– male di competenza fra le funzioni dell'ente regione e quelle delle camere di commercio, queste ultime svolgono attività che di fatto possono condizio– nare l'operato della regione, ovvero - e più precisamente - possono ostaco– lare il ruolo di coordinamento e di pro– grammazione di tutte le attività socio– economiche locali, proprio dell'ente re– gione. Le materie che rientrano nella prima o nella seconda area sono numerose e sono esaminate in dettaglio dallo stu. dio Ilres cui rinviamo il lettore (agri– coltura e zootecnia, artigianato, turi– s!Ilo, trasporti e comunicazioni, istru– z10ne professionale, urbanistica, incen– tivazione di attività economiche, ecce– tera). In questa sede può essere sufficiente ribadire l'estrema pericolosità di simi– li occasioni conflittuali e l'esigenza di dirimere una materia tanto complessa sulla base di un ctuaro obiettivo di ri– ferimento. Come osserva l'Ilres « l'obiettivo de– ve essere quello di trasformare gra– dualmente i compiti delle camere di commercio nelle materie di specifica competenza regionale, in attività ese– cutive o comunque sottoposte al con– trollo programmatico e quindi al coor– dinamento dell'ente regione, in armo– nia con il principio fondamentale che la dimensione regionale è una dimen– sione di governo e non una dimensione di amministrazione». Le caratteristiche strutturali delle camere di commercio e l'insieme delle possibili conflittualità propongono per. tanto un quadro di riferimento che de– ve essere attentamente esaminato in vista di una sostanziale riforma. L'Il· res propone in questo senso due indi– caz;ioni di carattere generale alle quali occorrerà rifarsi per consentire alle camere di commercio di assolvere un ruolo positivo nell'ambito dell'esperien. za regionale: innanzi tutto dovranno diventare efficaci strumenti esecutivi per l'attuazione di date iniziative re– gionali; in secondo luogo, in relazione ad un preteso ruolo consultivo (tipo Cnel-regionale), che le camere di com– mercio vorrebbero assolvere, occorre sia ben chiaro che a meno di profonde modifiche nei criteri di rappresentati– vità che abbiano a garantire una reale dimensione democratica all'istituto ca– merale, non è possibile che l'ente re– gione abbia a valutare eventuali fun– zioni consultive, se non come manife~ stazione di interessi di « parte>>e più precisamente degli interessi delle sole forze che detengono il potere econo– mico locale. Un impegno per il futuro Le osservazioni e le conclusioni cui perviene l'Ilres con riferimento alle ca– mere di commercio sono forzatamente interlocutorie e problematiche (in que– sto senso esiste però l'impegno alla prosecuzione del discorso J ed banno una portata generale. Non si riferisco– no cioè al comportamento effettivo delle camere di commercio liguri, ed in particolare di quella genovese. Ci sembra che a questo riguardo possa costituire <( impresa » utile proporre al– le forze politiche un'attenta verifica di que_IJoche ha significato per Genova, e d1 quello che potrà significare per la regione Liguria, 1a gestione «tavianea>) delle camere di commercio cli Genova. Il discorso è complesso e concerne l'ar– co delle posizioni che la carnera di com– mercio genovese ha costantemente as– sunto: dalla difesa e/o incentivazione dello sviluppo abnorme dell'edilizia re– sidenziale ad alto costo, alla « seconda casa» come modalità di sviluppo turi– stico (dimenticando il rovescio della medaglia: la distruzione dei valori am– bientali e la saturazione della capacità ricettiva); dall'inconcepibile disat– tenzione nei riguardi dei problemi rea. li delle grandi industrie a partecipazio– ne statale ,all'«ottimismo diffuso» sui problemi occupazionali; dalle concezio– ni provinciali e tradizionali dello svi– luppo dei porti liguri, alla difesa de– gli insediamenti petroliferi; dalla « mi– tologia» delle infrastrutture alla deli– mitazione dei problemi di sviluppo in– dustriale alla classica forma « quanto scioperano questi operai! ». Non è certo in una breve nota che possono essere approfonditi questi spunti: il discorso è aperto, gli interes– si e le formule da sottoporre ad esa– me critico sufficientemente scoperti, non resta che impegnarsi ad appro– fondire i problemi ed a trasformare la realtà. Giorgio Giorgetti Come può essere concepito l'ente re– gione? Da un lato come centro di ini– ziativa politica in grado di condurre un'azione di governo, un'azione cioè di programmazione e di coordinamento di un insieme complesso di attività la cui esecuzione potrà anche essere de• mandata ad altri. Dall'altro lato come centro che promuova e valorizzi la partecipazione di tutte le forze sociali operanti nell'ambito regionale in una visione pluralistica. E' evidente che tutto ciò configura l'esperienza regionale come un esempio di sostanziale decentramento « politi• co » e non amministrativo, la dimen– sione regionale come nuova area di comportamento politico e di occasione democratica. Esse, infatti, sono dotate di un certo grado cli autonomia che dovrebbe ma– nifestarsi nell'assunzione di iniziative tese a valorizzare e difendere gli inte– ressi delle forze produttive locali, nel contempo però devono conciliare tale autonomia con l'esistenza di un cor– done ombelicale, strutturato di fatto sulla legislazione fascista, che le colle– ga a vari ministeri ed in particolare a quello dell'industria. l DOPO LACADUTA .l Dar contenuto all'esperienza regionale Le conseguenze sono ovvie, anche se non di agevole attuazione; la soluzione di fenomeni conflittuali tra regione ed enti locali di un certo tipo dovrà av– venire previlegiando la responsabilità politica dell'ente regione in tutte le materie cli sua competenza e trasfor– mando graduaimente i compiti degli enti locali, che dovessero rientrare nel– la sfera di competenza regionale, in attività esecutive (e comunque sotto– poste al controllo programmativo del– la regione), di attuazione delle diret– tive politiche e programmatiche defi– nite a livello regionale. E' evidente che tale concezione (che si riferisce in particolare ai rapporti tra regione ed enti locali non eletti vi) trova il suo completamento nella defi– nizione dei rapporti tra regione ed enti locali rappresentativi (comune, provin– cia). In questo senso va osservato che una corretta concezione di tali rappor– ti deve preoccuparsi di non vanificare, a scala territoriale inferiore, il discor– so di «rifondazione» democratica del– lo Stato che, iniziato con l'attuazione dell'ordinamento regionale, non può non trovare uno sbocco nella valoriz– zazione dell'ente rappresentativo come effettivo centro di iniziativa politica e non soltanto amministrativa. I termini del problema possono es– sere condivisi o meno, la problematica che ne emerge però è senza alcun dub– bio di un rilievo fondamentale se si vuole dar contenuto all'esperienza re– gionale. Va anche sottolineato che i rapporti e le interrelazioni che ne sca- Il rapporto tra dipendenza funziona– le ed autonomia si risolve il più delle volte in un condizionamento formale, in una copertura sostanziale ad inizia– tive autonome sul merito delle quali vanno espresse numerose riserve, in una strumentalizzazione del potere cen– trale per condurre azioni anche con· trastanti con i reali interessi locali. Va infine osservato che la contrad– dittoria natura delle camere di com– mercio si enfatizza con riferimento al– la « non-democraticità )> dei suoi orga– ni direttivi che di fatto costituiscono strumenti al servizio degli interessi di determinate forze produttive, non di tutte le forze sociali a livello locale che le camere di commercio pretende– rebbero invece di rappresentare attra– verso le loro azioni. Il presidente della giunta, di nomi– na governativa, costituisce di fatto lo strumento attraverso il quale l'ammi– nistrazione centrale influisce ed avval– la le direttive di comportamento a li– vello cli tutte le funzioni svolte dall'en– te, tanto nell'ambito della sfera discre– zionale quanto in quella di più diretta funz;ionalità governativa. L'esperienza, inoltre, sta a dimostrare che il massi– mo organo decisionale camerale è in pratica il rappresentante delle classi dirigenti ed imprenditoriali con la rigi– da esclusione di tutte le altre. Osserva– zioni analoghe valgono per la giunta, nella quale, paradossalmente, le dispo– sizioni di legge successive alle nor– me fasciste hanno sortito l'effetto cli peggiorare la già scarsa rappresenta– tività in tale organo della classe lavo– ratrice, cli fatto riducendo il rapporto tra lavoratori subordinati e datori cli lavoro ad 1:4. La contraddizione appare evidente: da un lato le camere di commercio svolgono od intendono svolgere com– piti autonomi su scala regionale e/o provinciale quali rappresentanti a li– vello locale delle forze produttive, dal– l'altro lato sono strutturalmente inido- bibliotecaginobianco L A foto grande di Einaudi, il da- gherrotipo di Cavour furono coperti con panni neri; gli spec– chi con drappi viola. Smorzarono le luci. In un angolo, gli impiega– ti piangevano sommessamente. Gli altri non parlavano neppure. Die– tro la scrivania, già appartenuta a Locke, l'avvocato Giorgio Cassi– nelli, l'unico liberale che deten– ga una mezza dozzina di cariche, sussurrò al fedele Mario Bianchi: « La prego, porti via la bottiglia all'Ammiraglio, ha già bevuto trop– po». L'Ammiraglio, infatti, affo• gava il suo dolore nel whisky. Ma– rio Bianchi, la livrea rigata di la– crime, eseguì silenziosamente. Entrò Perri pallidissimo. « Hai saputo? », gli chiese Cassinelli, sempre duro come un baccalà die– tro la scrivania di Locke. « Sì - rispose il senatore con un filo di voce - lo scandalo dell'Anas ... ». Cassinelli non osò insistere. Agitò un campanello che suonava rin– tocchi a morto. Accorse Bianchi. « Mi cerchi Gamalero ». Un atti– mo di silenzio. « Non c'è». « Do– v'è allora?». « Al mare». Allora Cassinelli andò a un ar– madio di stile risorgimentale e trasse una grande bandiera Sa– bauda; vi si drappeggiò e comin– ciò a gemere: « Varo, Varo, rendi– mi le mie legioni! ». Riuscì sol– tanto a far sghignazzare Viziano e Baffigi che fino ad allora erano rimasti zitti, zitti sulla porta. Le loro risate furono coperte tra un tremito del palazzo, un tremito che aveva un moto sussultorio co– me un singulto. « Che c'è?» g~idò Cassinelli che, sempre avvolto nel– la bandiera con lo stemma di Sa– voia, stava entrando in una gran– de bara di bronzo. Arrivò Pizzi/. lo, l'impiegato, tutto trafelato:« E' l'avvocato Valenziano che piange, Eccellenza! ». « Piange! E io che cosa dovrei fare?». « Se Vostra Eccellenza me lo consente - con– tinuò Pizzillo - l'avvocato Valen– ziano afferma sommessamente che lo avete fregato!».« Io? Che scioc– chezze!». Entrò nella bara. Bianchi acce– se otto ceri ai lati e, con una trom– ba, suonò il riposo fuori ordinan– za. Sotto la bara c'era una grande busta di pergamena con sigillo. '.' Ultime volontà», c'era scritto, in lettere gotiche ... Il silenzio calò su via Roma: un silenzio scosso soltanto dai singulti di Valenzia– no. Prima di sera gli dovettero fare un'iniezione ... Giunse da Chia– vari l'avvocato Umberto V. Ca– vassa che non sapeva nulla. Vide la scena e mormorò - come il Piave - queste parole: « E' tri– ste, alla mia età, assumersi altri oneri ». E si nominò, di colpo, se– gretario del partito. Bébert Giugno-Luglio 1971 TAVIANI E LADC Un«ponte» perdividere U 1 A serie di note chiaramente ispi- rate dall'onorevole Taviani, appar– se sul suo settimanale genovese, pon~ gono perentoriamente il prc-blema deUa scissione nella Dc. I ponti di solito sono fatti per congiungere ed unire, ma il « ponte » del parlamentare ligure sembra voler fare eccezione e proporsi, invece, la divisione e la rottura. Le affermazioni sono inequivocabili. In una prima nota, Labor e Gabaglio sono citati ad esempio, per la loro chia– rezza, agli uomini della sinistra dc che vengono invitati ad imitarli lasciando così il partito. In una seconda nota si afferma te– stualmente che: « la Dc dovrà pur de– cidere cosa intenda essere: se il par– tito di tutti i cattolici democratici, co– me al tempo di Pio Xl I, oppure un partito di ispirazione cristiana, ma lai– co, di centro, non conservatore, antJ– fascista e anticomunista. Questa secon– da soluzione implica la rinuncia a te– nere nelle proprie file uomini degnis– simi, cattolici di sicura fede religiosa, che per altro, per le loro convinzioni politiche, possono iscriversi. senza nul– la perdere in dignità ed in coerenza. al partito socialista o al comunista, o al socialproletario)>. In un terzo articolo, di lunedì 26 luglio, si attacca la segreteria nazionale perché non ha «chiarito», cioè perché non ha aperto la crisi. E si ritiene che la situazione di autonomia delle correnti nella Dc giustifichi e legittimi le discre– panze nel voto dei senatori democri– stiani. Siamo all'arma segreta, usata sta– volta in modo palese: siamo ai franchi tiratori. Taviani presenta con chiarezza il conto a Fanfani: non promesse ma fat– ti. E' inutile mandare qualcuno in avan– scoperta (Taviani), quando poi, aU'ul– timo momento, Forlani molla. E' CHIARO che queste affermazioni, collocate nel contesto di un fanta– politico discorso neocentrista, non sono occasionali e non possono essere scam– biate per espressioni polemiche di cor– to respiro. Esse esprimono invece il di– segno di vanificare politicamente la si– nistra cattolica.. spingendola ad una scissione che, attestandosi sulle posizio– ni di Labor e su quelle del Gabaglio di Vallombrosa, la riduca ad una en– tità facilmente emarginabile sul piano ecclesiale per motivi dottrinali e sul piano politico per motivi elettorali. I neo-conservatori potrebbero così non solo sperare nel ricupero di voti a destra, ma confidare anche nell'ap– poggio ecclesiastico, considerati i mo· tivi dottrinali che dividono la gerar– chia dalle Acli. Insomma. secondo i loro piani, essi avrebbero il voto degli osservanti e, insieme, la liberazione da ogni residuo vincolo ecclesiastico. evi– dentemente improponibile in un qua– dro in cui l'unità politica dei cattolici fosse definitivamente perduta. Per questo giungono a proporre Ga– baglio e Labor come esempi di coeren– za sperando che il maggior numero possibile di uomini deUa sinistra della Dc li imiti. Sarebbe poi la gerarchia ecclesiasti– ca (e non più il partito) a doversi scottare con l'acqua bollente: la Dc na– vigherebbe al largo, ricca di laicità e di voti parrocchiali. Dobbiamo dare atto che tale disegno politico non è privo di chiarezza, an– che se appare pieno di pericoli sia sul piano ecclesiale che su quello civile. Esso intende infatti pagare il prezzo della presunta maggiore compattezza di una ben oliata Dc conservatrice con l'aggravarsi delle difficoltà sul piano ecclesiale. E, inoltre, presuppone la di– visione del paese in due blocchi, apren– do al Pci la strada del neo-frontismo, con conseguenze inimmaginabili sulla pace sociale e sulle prospettive di cre– scita civile del paese. Taviani è l'unico dei leader dc che prospetta apertamente la divisione del partito: meno adatto degli altri alle sottili diplomazie imposte dagli attuali equilibri politici, vuole la chiarificazio– ne al prezzo della radicalizzazione. Rischia però di avere la seconda sen– za ottenere la prima. Forse che le legislature centriste fu– rano chiare ed univoche? Il ricordo fa sempre cattivi scherzi quando diven– ta nostalgia. A GENOVA, Cattanei è costretto a governare con una maggioranza che ha questo leader e che vuole usare la Liguria come avamposto della crisi. Il continuare a voler essere il luogote– nente di una maggioranza non sua lo costringe ad assistere impotente ai cocci del centro-sinistra in Liguria.

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