il Potere - anno II - n. 6-7 - giugno-luglio 1971

MENSWE - CASEL!JA POST<ALEJ665 - 16100GENOVA Dopo il voto del 13 giugno I RISULTATI elettorali del 13 giu- gno non possono essere inter– pretati al di fuori della concreta realtà che li ha espressi né isolan– doli dalle polemiche politiche che ricoprono quasi un arco di tre an– ni a partire dall'estate del 1968. Le dichiarazioni rilasciate • a cal– do • dai leader dei diversi partiti, hanno rischiato invece di apparire soprattutto « difensive » (nel caso in particolare della Dc) o • trionfa– listiche •; queste dichiarazioni ri– specchiavano ancora il clima elet– torale, ma da esse (ed in particola– re dai commenti della grande stam– pa) è emerso, quasi per inerzia, il disegno di utilizzare la radicalizza– zione del voto conservatore (dal Pdium, dal Pii e dalla Dc al Msi) per frenare la politica delle rifor– me e per spostare verso destra l'asse politico del paese. Deve però essere chiara che questa osservazione, per altro già sviluppata dalla sinistra dc nella direzione e nel consiglio nazionale del partito, in contrasto con la li– nea che si era andata delineando sin dall'autunno, è svolta nel con– testo di una analisi politica pro– priamente diversa da quella, a mio giudizio contraddittoria, elaborata dai « gruppisti », che sostengono • logico ed inevitabile» lo sposta– mento a destra della Dc (ed in ba– se a questo ragionamento svaluta– no la funzione della sinistra dc). mentre fanno dipendere da questa eventualità una definitiva crisi delle istituzioni democratiche, sen– za elaborare alcuna alternativa. Per la sinistra dc il giudizio cri– tico sulla strategia moderata de– finisce un concreto terreno di im– pegno e di confronto politico, che è stato verificato anche nella bat– taglia elettorale del 13 giugno. In sintesi le elezioni di giugno hanno registrato, sulla destra, uno slittamento dell'elettorato conser– vatore verso le posizioni « dure », sia per reazione alle riforme fatte o promosse (e non tutte elaborate nel modo migliore); sia per una più generica sensazione di « crisi di autorità », connessa con le dif– fuse tensioni sociali che riguarda– no soprattutto i grandi centri ur– bani. Questo slittamento è però diven– tato una vera frana in Sicilia, dove le ragioni generali si sono congiun– te con altri dati locali, quali le gravi responsabilità della gestione regionale, la crisi della classe po– litica (e la polemica sulla mafia], il fallimento della politica meridio– nalista soprattutto in rapporto al problema del livello di occupazio– ne delle regioni del sud. Si può an– che riflettere sulla ipotesi che il voto a destra di strati popolari del sud contenga una protesta contro la linea « nordista » dei sindacati operai. Sarebbe peraltro assai grave se il disegno di « recupero a destra » (che si sta facendo strada nella Dc) ignorasse questi dati politici, permettendo una rivincita dei grup– pi di potere che sono stati para– dossalmente sconfitti proprio dal qualunquismo che hanno alimenta– to per anni. L'operazione che l'ono– revole Almirante cerca di realizza– re, laddove sono falliti per diver– se ragioni Lauro e Malagodi, è quella di stabilizzare la spinta a de– stra dandole una strategia • nazio– nale »; un altro paradosso, sul qua– le è necessario riflettere, è il fat– to che il neofascismo si presenta come l'alternativa del « buon sen– so popolare• contro I'• avanguar– dismo » dei gruppetti estremisti di sinistra, proponendosi come l'inter– prete, credibile ed efficace, delle prediche inconcludenti dei partiti del la maggioranza. La presenza del generale monarchico De Lo– renzo a fianco del repubblicano Almirante significa, in questo qua– dro, la mano tesa verso l'armée e verso le strutture burocratiche del sistema. Sulla sinistra si è confermata la tendenza già emersa con le elezio– ni regionali del '70: il Pci è riusci– to con difficoltà a contenere la cri– si dello Psiup, ma è ormai sempre più chiaro ciò che anche • Rinasci– ta » ammetteva alcuni mesi or so– no, cioè che non vi è una meccani– ca trasposizione politica delle lotte sociali e che, anzi, le interne con– traddizioni del momento sociale ed il rifiuto estremistico del siste– ma, portato avanti da alcune fran– ge giovanili ed operaistiche, ri– schiano di allargare un vuoto a tut– to vantaggio delle forze che vo– gliono tornare indietro ristabilendo i vecchi rapporti di potere e di reddito. Dopo le elezioni, la tensione cri- tica nella Dc si è tradizionalmente scaricata sul governo mentre avrebbe dovuto essere equamente ripartita anche sul partito: in que– sto caso, peraltro, i risultati, in complesso positivi, degli altri par– titi di centro-sinistra hanno creato una situazione diversa. Il confron– to e il dibattito sta avvenendo so– prattutto tra chi sostiene che gli elettori di destra hanno ragione, e che quindi il partito deve segui– re la loro indicazione, e chi so– stiene invece che lo sbandamento a destra è la conseguenza di una politica contraddittoria e di predi– cazione che lo ha legittimato: quin– di il problema è di ricostruire una linea democratica e popolare nel– la Dc. La sinistra dc nello svolge– re questi ragionamenti si appog– gia anche ai risultati dai quali emerge una buona affermazione dei candidati che l'elettorato co– nosceva come schierati sulle po– sizioni di sinistra. Bisogna però mettere nel con– to che il dibattito è ancora una volta influenzato dalle forti corren– ti sotterranee che preannunciano le giornate «presidenziali• di di– cembre. Guido Bodrato La strategia della tensione IL tentativo di attribui~e una va_Ienz~nazion~l_eal _voto missino in S_i~ilia fa sempre da sfondo ali attuale s,tuaz,one pohllca: 11 fatto che i partiti della destra intermedia stiano scomparendo e che in città come Genova il Msi, pur con il crollo liberale, non sia arrivato ad ottenere i suffragi conquistati negli anni cinquanta è ignorato da chi sta abilmente tessendo una strategia della tensione. E' certo possibile, a questo punto, che una frazione più larga del corpo elettorale si concentri sull'estrema destra anche in qualche città del nord: ma tale radicalizzazione, per la carica di anacronismo che presuppone, non è suscettibile di condizionare il naturale evolversi della politica italiana. Se la fiammata missina dovesse estendersi a tutto il paese, ciò potrebbe parados– salmente segnare, a non lungo termine, con l'annientamento dei monarchici e il rinsecchimento del Pii, la consunzione della destra partitica in Italia. Le fortune elettorali del Msi sono per molti aspetti troppo simili a quelle che stannodecretandoin Germaniail declinodei neo-nazisti. li voto neo-fascista, inoltre, è segnato dalla provvisorietà che contraddistinse, per opposte ragioni, l'a– vanzata del Psiup e dei liberali. Sarà quando Almirante cercherà di volgere in segno positivo le « schede bianche » andate in premio al qualunquismo del suo partito, che scoppieranno le contraddizioni caratterizzanti l'esistenza stessa del Msi. Allora affioreranno i vuoti e le confusioni nelle idee, nei programmi, nelle prospettive politiche serie di un « movimento», chiuso fra un legalitarismo borbonico e un estre– mismo fine a se stesso, propugnatore di un ordine fondato sul puro disordine degli interessi «corporativi» e di settore. La carta del « partito della nazio– ne » non è oggi proponibile e l'onorevole Almirante non è De Gaulle: ha le qualità di un leader, ma alla Poujade. E' facile poi notare come, prima delle elezioni, il Movimento sociale ab– bia avuto in Sicilia dei grandi sostenitori, occulti ma non troppo, in coloro che de– nunciano oggi il pericolo della destra fascista per bloccare le riforme. Per l'ope– razione è stato scelto il terreno propizio: una regione che ha conosciuto tutti i fenomeni del deterioramento politico, il milazzismo, il formarsi in un partito « nazionalista » regionale, che paga duramente per una piaga che travalica i confini del paese. Se il Msi può, dunque, ricevere credibilità attraverso silenziosi appoggi, lauti finanziamenti, cauti avvalli, non può però trovare una sua utilizzazione politica. Lungi dall'aprire uno spazio a destra, lo chiude irrimediabilmente. essuno dimentica che il Msi bruciò in un baleno le esperienze di Zoli, di Segni, di Tambroni. Nessuno ha dimenticato i fatti del luglio 1960: neanche, pensiamo, il partito socialdemocratico che il voto troppo a destra del 13 giugno ha colto in contropiede e che sembra ora ritrovare, almeno in sede nazionale (con chiaro riferimento alle elezioni presidenziali), un'anima meno maccartista. E' probabile che le elezioni politiche confermeranno al Msi un buon numero di parlamentari in più: ma ciò significherà soltanto rendere politica– mente indisponibile una parte del parlamento. Naturalmente non è un bene che il Movimento sociale aumenti: ma guai a farsi ipnotizzare da esso. Il voto missino, in passato, aumentò quando la Dc considerò i neo-fascisti come potenziali alleati, decrebbe quando ne decretò l'inutilizzabilità. Per questo, occorre che la Democrazia cristiana persegua una chiara po– litica riformatrice che ponga definitivamente ai margini coloro che intendereb– bero farne il partito conservatore italiano. Occorre che tutto il paese conosca una Dc schierata senza equivoci a favore delle classi subalterne, a conferma della sua natura di partito « popolare, democratico, antifascista», cancellando nell'elettorato l'impressione che le riforme vengano strappate a forza dai par– titi di sinistra. Alberto Gagliardi b10110 ecag1nob1anco Sped. abb. post. gr. III (70%) - Anno II - N. 6-7 - Giugn<>-Luglio 1971 - LIRE 100 Lettera a Forlani CARO Forlani, durante l'ultima cam- pagna elellorale mi sono trovato a ricordare il clima del tuo arrivo alla segretaria della Dc: il taglio di molli tuoi discorsi mi rendeva difficile pen– sare che avevi sostituito l'onorevole Pic– coli. Poi sono venuto ad ascoltarli a Genova, dove la Dc non aveva certo creato, neanche qui, un'atmosfera capa– ce di entusiasmare i giovani e i ceti popolari. Forse avevi subito delle « in– fluenze» prima dell'inizio del comizio: il tuo discorso non aiutava, infalli, a pensare al ruolo popolare del partilo. Ma quando ti ho sentilo parlare di s/reì– toie costituzionali, credevo di aver mal capito. Purtroppo non era così; un ami– co mi ricordò che già Scelba aveva un po' più rozzamente dello che « la Co– stituzione è una trappola ». Quel giorno rammentai che, per certe somiglianze di caral/ere, qualcuno ti aveva paragonato a/l'onorevole Moro: un'intelligenza coperta da una buona dose di distacco e di apparente pigri– zia tu/la funzionalizzata alla volontà di esercitare un ruolo decisivo nella realtà politica del paese. La stampa che aveva diffuso quell'immagine e, soprallullo, lo stesso Moro, il quale in alcuni casi ave– va accreditato questa tua potenziale ca– pacità, hanno visto durante la campa– gna elettorale smentita tale ipotesi. E' in quel periodo che la Dc « ufficiale» ha dato, infalli, fiato alla strategia del– la tensione e siamo in molti a credere che la linea adottata dalla segreteria non sia staia quella che la Dc avrebbe dovuto seguire. Oggi i lavori parlamentari risentono del colpo subito il 13 giugno. Sul go– verno Colombo grava il peso di discor– si che possono ricordare gli « errori di direzione politica» per i quali anni or– sono fu attaccato un altro governo. Di– fendere, quindi, oggi la coalizione non può far dimenticare le differenze tra i discorsi ufficiali della Dc e quelli del presidente del consiglio: differenze da cui trasparivano evidenti i tratti di due diverse linee politiche. Quella di Co– lombo, che consentiva una certa auto– nomia ai partiti di governo nel prefi– gurare equilibri più articolati, pur nel quadro degli alluali impegni politici, e quella della tua segreteria che - deli– neando un centro-sinistra in ferri, sor– vegliato dalla socialdemocrazia - ne– gava al Psi il ruolo di forza di frontiera impegnata in un continuo confronto con i partiti marxisti d'opposizione. In questo modo il centro-sinistra per– deva quel respiro politico che l'onore– vole Moro aveva saputo dare all'inter– no della stessa gestione moderata della formula, mentre gli ultimatum ai socia– listi finivano per portare acqua alla tesi, cara a Ferri, del centro-sinistra aperto ai liberali, che, come ben sai, gli stessi saragalliani di prima obbedienza hanno sconfessato. Tale tendenza riprendeva vigore do– po la verifica governativa di metà lu– glio, contraddicendo l'impressione che fosse iniziata una fase di rientro nello statu quo pre-e/ettorale. Quando i pro– blemi che avevano condotto alla veri– fica parevano sdrammatizzarsi, la spirale della crisi cambiava sede: dall'incontro dei segretari a palazzo Chigi passava al Senato, dove la facevano da padroni non solo i capigruppo della maggioran– za ma anche Togni e Trabucchi. E' in questo stato di incertezza che ci si chiede quale strada intendi percor– rere, a meno che non pensi sia possi– bile continuare a bai/ere tutt'e due le strade: allontanare da te le questioni della verifica e non smettere di censu- rare. Una linea inaccettabile, perché si viene a dar vita ad un orientamento interno che recepisce le tue critiche alle forze di movimento presenti nel centro– sinistra e non ti segue nei tentativi di più caute prassi. Insomma, stai creando una situazione deliziosa per i franchi ti– ratori proprio nel momento in cui non hai armi per fronteggiarli, nemmeno lo scioglimento anticipato delle Camere. I franchi tiratori sono, come è nolo, un po' prerogativa della Dc. Sarà un malcostume clericale («obbedienti, non responsabili»: e dunque disobbedienti al coperto), ma ? certo che nessun par– tito ci ha dato tante messi di franchi tiratori come la Dc: e tutti noi ben conosciamo quali zone del partito alle– vano questa specie. La tua doppia cavalcatura fa aumen– tare nella Democrazia cristiana la stan– chezza, il disorientamento, la disgrega– zione. Come Giano bifronte, avalli ora i dissidenti ora i governativi. Cresce co.sì intorno alla coalizione la strana atmo– sfera del « governo amico». Ma, ben ricordiamo che l'amicizia di De Gaspe– ri verso il governo Pelta rappresentò la freccia avvelenala del Parto: il go– verno ne morì rapidamente. Lo spago che si va concedendo alla destra interna è tanto lungo che anche il senatore Togni è 11scitodal ruolo di parlamentare silenzioso, dedito a con– solidare le opportunità del sottogover– no, per opporre a quello governativo un proprio progetto di legge s11llacasa. Di chi aveva il placet? Non penso che il senatore Togni - gli esperti lo dan– no fanfaniano - si sarebbe mosso fino a questo punto, sino a sfidare un ac– cordo di governo, senza una qualche le– gittimazione. Ti accolli tu le responsabilità di tale legillimazione? Perché qui, caro Forla– ni, il cerchio si chiude. L'ambigua e diffusa opposizione di destra, che nel– l'azione di partilo e in quella di go– verno chiede equilibri più arretrati, cer– ca uno sbocco politico: mettere in crisi il governo di Emilio Colombo e da lì riprendere le trame di un dise– gno carallerizzato dalla strategia delle tensioni, che ebbe già un momento di solare manifestazione nelle dimissioni del governo Rumor. Tu ben sai che far cadere da questo versante il governo Colombo significa premiare la destra interna ed esterna al governo e favorire così le spinte di– sgregatrici e qualunquistiche su c11ifon– dare una maggioranza che non sia di centro-sinistra. In questo modo si man– tiene il paese in apprensione e si può cominciare tranquillamente a parlare di Italia ingovernabile (come già fa qual– che giornale straniero). Ma ciò non è vero. Nel '43 Mussolini disse che l'Ita– lia era ingovernabile, solo perché l'ave– va governata male. Viene quindi il dub– bio che si voglia di/fondere un'immagi– ne dell'flalia in crisi per creare una fig11ra di salvatore della patria. li problema è che l'Italia può cresce– re, tranquilla e in pace, se si sme/fe di giocare alla caccia alle streghe e se si considerano le forze politiche per quel– le che sono, non per quello che sono state. E' ovvio che il creare nel paese il clima del regime comunista alle porte è un bluff che giova solo ad Almirante. Dovere del momento, che va ben al di là delle successioni generazionali, pen– so sia delineare il compito democratico e popolare della Dc. Giocare al bluff non è corretto: noi li chiediamo di non assumertene la responsabilità in prima persona e di rompere, anzi, questa spi– rale della provocazione. Luciano Faragutl

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