il Potere - anno II - n. 6-7 - giugno-luglio 1971

6 DA un po' di tempo in qua (non molto a dire il vero) alcuni fra gli amici e non amici del nostro foglio ci muovono l'appunto di non aver fatto, come dicono loro, esplicite scelte in merito alle vicen– de del .. dissenso cattolico •. I meno be– nevoli si lasciano andare a varie conget– ture. Incertezza? Prudenza? Formale os– sequio alla gerarchia o, invece, sostan– ziale subordinazione ad essa? Suppergiù sono le accuse che da alcune settimane la stampa comunista (come .. Rinascita • J e la stampa borghese (come • Il Mondo • e • Panorama .,) muovono alla sinistra dc; e ciò dimostra che a qualcuno fa comodo prendere il dissenso cattolico come la cartina di tornasole con cui verificare la buona fede e l'autenticità delle correnti più avanzate dei cattolici in politica. Bisogna del resto osservare che per codesta stampa la verifica è già bella e fatta, e che la sinistra dc con le sue re– ticenze in pratica avrebbe già palesato a sufficienza qual'è la sua scelta: sicché per certi versi la questione potrebbe considerarsi già chiusa se, oltre ai non amici, non ci fossero anche alcuni amici con i quali, prima o poi, bisognerà intrec– ciare un discorso di riflessione e di ri– cerca. L'azione delleAcli Intanto è bene osservare che, per quan– to riguarda il nostro foglio, non è esatto parlare di reticenza. Ad esempio, più di una volta, abbiamo discusso l'azione del– le Acli: e questo è un fenomeno del dis– senso cattolico che da cartina di torna– sole - in quanto espressione immediata e politicamente organizzata dei lavorato– ri cattolici - poteva funzionare benissi– mo. Ma in quel caso si trattava di un fatto prevalentemente politico e una ri– sposta collettiva era possibile darla. Più difficile se non impossibile è dare una risposta collettiva di fronte a fatti preva– lentemente religiosi, come quello di Ore– gina: tant'è vero che questa nota non im– pegna tutta la redazione ma unicamente colui che l'ha scritta. In realtà solo gli spiriti più grossolani possono scorgere nella protesta di un gruppo religioso solo le motivazioni e le finalità di un qualsiasi altro gruppo so– ciale che scelga il terreno del conflitto e della rivendicazione per conquistare più spazio e più potere. Forse è esagerato dire, con Silane, che i ribelli di oggi sono coloro che in altra età della Chiesa avreb– bero scelto il monachesimo, ma è vero nondimeno che una parte del dissenso cattolico è attraversata da aspirazioni ed intenzioni che non si riducono alla scel– ta di una posizione in uno schieramen– to di partiti. Se così fosse il dissenso cattolico non avrebbe senso, sarebbe un fatto politico straminoritario, minuscolo e insignificante fra le gigantesche contrap– posizioni di potenze, di classi, d'inléréSSi che dominano la scena storica del mon– do. Ad essere precisi, non si potrebbe neppure parlare di dissenso cattolico. Certo, anche nelle assemblee ecclesia– li del dissenso possono rieccheggiare i motivi e sventolare le insegne di altri scontri. Può perfino capitare di trovarsi di fronte a chi cerca di far passare il Vangelo per il prologo del •Capitale•. Nonostante ciò, il dissenso cattolico ri– mane un fatto essenzialmente religioso, imprevedibile nei suoi svil~ppi, rispetto al quale una risposta collettiva e univoca oggi non può essere pretesa. Di risposte ne abbiamo già sentite pa– recchie: quelle dei credenti e quelle dei non credenti, quelle dei cattolici e quel– le dei non cattolici. Quelle cosi politi– che da tingersi di opportunismo e quelle così teoriche da essere astratte, astori– che ed elusive. E allora il dissenso cat– tolico non è la cartina di tornasole buo– na per certe verifiche. Una cosa sono gli atteggiamenti ed_ i giu_dizi di f:onte agli scontri econom1co-soc1ali e un altra cosa gli atteggiamenti e i giud!zi di fron– te agli scontri religiosi, per vistoso che sia il loro risvolto sociologico. Dopo tut– to non è all'interno dei gruppi confes– si~nali che oggi si combattono le lotte per il potere nella società. Le varieforme del dissenso Del resto, tutti converranno sul fatto che neppure il dissenso cattolico è so– stanzialmente omogeneo ed univoco. Con un'analisi attenta si potrebbero indivi– duare numerose, diverse e a volte anta– gonistiche forme di dissenso: alcune ormai definite, concluse, superate talo– ra già nel punto stesso di farsi, per l'ane– lito vano a modelli, contenuti e compor- tamenti della Chiesa primigenia; altre in via ancora di determinarsi, ricerche ar~ due ed inquiete (così mi dice un amico che c'è dentro) di " un nuovo modo di essere chiesa •. Comunque, la distinzio– ne che più conta è quella fra dissenso che unisce alla polemica contro le ideo– logie conservatrici surretiziamente intro– dotte nella prassi ecclesiale la contesta– zione della società costituita, del suo or– dine materialistico, e dissenso che sem~ bra invece animato dalla tendenza a con– formarsi ~i valori • borghesi • antispiri– tuali della cultura dominante. E' il caso, quest'ultimo, che si osserva in talune • società del benessere •, dove un cat– tolicesimo minoritario vorrebbe attenuare çerto rigorismo etico al fine di togliere, anche all'interno del gruppo confessiona– le, carattere di devianza a comportamen– ti che devianti non sono più ritenuti per il sistema di valori imposto alla più gran– de società. Questo dissenso - che in realtà è ossequio ad altra specie di con– formismo, ricerca di " integrazione nel sistema • - è in 1generale il meno la– cerante, perché trova spesso un avallo nelle gerarchie nazionali ed è quello che più si dà da fare per inventare una nuo– va teologia. Non così il dissenso in una società come la nostra, dove, da un tempo ster– minato, dramma sociale e dramma reli– gioso intrecciano le loro trame compli– cate fino - in qualche luogo - a con– fonderle. Non così in una società dove al millenarismo è succeduta la profezia gioachimita e dove il cristianesimo di trat– to in tratto si conferma quello che apparve ai potenti della terra nel suo primo dif– fondersi: un fatto genuinamente rivolu– zionario (o se si preferisce, •uno scoppio di idee sociali •, come ebbe a definirlo, in anni parecchio lontani, un prete che aveva lasciato l'abito e perduto la fede, ma non la venerazione per i valori sto– rici della rivelazione cristiana). Ecco allora un dissenso che, sia pur tra incertezze ed errori, cerca di ordinarsi alla negazione di una società di inegua– li, dove l'attesa del Regno si spegne nel– la superbia e nella violenza: e per que– sto qua e là riscopre le vene popolari del dramma religioso e fa ripalpitare in più di una coscienza, incredibilmente, nel colmo della nostra civiltà scettica e scientifica, il cristianesimo profetico ed escatologico. E qui una domanda crucia– le. Fino a che punto il dissenso può evi– tare la pesante ipoteca di ideologle seco– larizzate e contribuire a rievocare dalla sostanza del mondo cristiano forze au– tentiche e originali di rinnovamento ci– vile? Unamorale familistica Per troppo tempo nelle società occi– dentali il cristianesimo è stato vissuto soprattutto come una morale privata, tra individualistica e familistica, che alla fi• ne si piegava benissimo all'egoismo dei singoli e dei gruppi. Per troppo tempo il cristianesimo è stato vissuto dalla maggioranza come un etica della fami– glia e del rapporto tra le famiglie. Nes– suno nega, neanche in mezzo ai marxisti più aweduti, che dietro i movimento so– ciali rinnovatori ci sia la spinta rivolu– zionaria del messaggio evangelico. Ciò non toglie però che in Occidente il cri– stianesimo è stato soprattutto vissuto come un'etica della famiglia. Da qui, non dall'impatto della cultura scientifica sul– le verità della fede nasce la crisi della Chiesa nel mondo contemporaneo. Inteso così riduttivamente il cristiane– simo riesce a far sentire, malgrado tut– to la sua presenza fin quando la famiglia può essere rappresentata, biologicamen– te, come la cellula elementare della so– cietà. Ma ora questa immagine non è più vera, o almeno non è più completa– mente vera. Ora accanto alla società co– me universo di famiglie cresce e si ingi– gantisce un'altra società, fatta di orga– nizzazioni, che non solo si distingue da quel primo universo, ma gli si pone con– tro, lo subordina, lo aggredisce e lo tra– sforma, svuotandolo di contenuti essen– ziali. Bisogna dire allora che il cristiane– simo deve far proprio il problema della libertà dell'uomo nelle organizzazioni e dalle organizzazioni se non vuol essere subordinato e svuotato, in una prospetti– va storica, insieme ai piccoli gruppi nei quali era venuto configurandosi? E biso– gna dire che dal cristianesimo familisti– co deve riemergere il cristianesimo so– ciale, non come vago populismo etico ma come impegno, progetto ed azione per la pienezza umana dell'uomo e della socie– tà? Se la redenzione dell'uomo si confon– de con la redenzione della società e del– la storia un nuovo modo di essere cri· stiani è l'unico modo per continuare ad essere cristiani. bibliotecaginobianco il POTERE Su questo piano dl considerazioni si riesce a comprendere la tormentosa ri– cerca di legittimazione di alcune forme del dissenso e a riconoscerle come ne– cessari fattori del rinnovamento cattoli– co. Il rimprovero agli uomini di Chiesa per le loro compromissioni con le élites del potere è la denuncia di pesanti limi– ti oggettivi alla fecondità storica della fede; il rifiuto del formalismo e dell'auto– ritarismo è il bisogno di liberare l'azio– ne ecclesiale dalle sovrastrutture inutili; e di rendere operanti ogni giorno e in ogni circostanza i valori della fraterni– tà e della benevolenza; il rammarico per certe assenze dell'azione pastorale, l'esigenza di una piena e totale presenza ecclesiale in ogni settore della società. Ma questa è ancora la dimensione della protesta. Un amico, che ha l'abito, la fe– de e l'obbedienza mi dice: " occorre una ricerca globale di un volto rinnovato della Chiesa che riproponga ad una umanità giunta al vertice della sua grandezza e della sua miseria la figura del Cristo come figura contemporanea •. Ma la ricerca è possibile se alla di– mensione della protesta subentra la di– mensione della creatività, se i cattolici del dissenso non si renderanno subal– terni di ideologie e culture che cancella– no dal cuore degli uomini - insieme al– l'immagine del Cristo - anche la spe– ranza. Gianni Tamburri Q UASI tutti i quotidiani di venerdì 9 luglio informavano, pur senza rilievo, che la Camera aveva appro– vato lo stato giuridico degli insegnanti. La notizia nelJa sua incompletezza di– venta falsa. In realtà si tratta di una legge che delega il governo a definire, entro un anno, lo stato giuridico degli insegnan– ti. Ma di mezzo c'è un altro importante fatto: la legge deve ancora essere ap– provata dal Senato, il quale può mo– dificarla o anche affossarla. Nella sua formulazione il testo co– munque non è soddisfacente: si limita a pochi principi, in particolare si basa su una conclamata e generica libertà di insegnamento, che non viene defi– nita, attenendosi alla quale il governo in pratica può stabilire quello che vuo· le su concorso, assegnazioni provviso– rie, congedi, collocamenti a riposo, di– sciplina e relativi provvedimenti, ora– rio di servizio. Uno dei punti principali dello stato giuridico è quello retributivo, non cer– to però quello qualificante e che co– munque rimane subordinato al mini– stero delle finanze. I socialisti avevano avanzato interes– santi proposte in ordine agli organi col– legiali ed alla democrazia della scuola, quali l'abolizione delle qualifiche, isti– tuto veramente superato e che può di– ventare facilmente arma repressiva, e la elettività del preside e del direttore scolastico; non sono state accettate, ma hanno votato ugualmente a favore. Tut– tavia sono riusciti a spuntare l'abolizione dei centri didattici nazionali, istituiti, durante il fascismo, dall'allora ministro Bottai; non è conquista da poco, la Dc insieme al Msi ha tentato di difenderli con fermezza. Grossa novità della legge è che tutti gli insegnanti dovranno avere una pre~ parazione universitaria. Anche le maestre d'asilo e gli inse– gnanti elementari? Questo non ci con– vince asso!utamente. Ci pare che alla base di questo principio ci sia un gros– so errore di natura pedagogica, che crede di poter migliorare il livello cul– turale e la preparazione specifica, au– mentando gli anni di studio. In que– sto modo si tende a scambiare la qua– lità con la quantità: in realtà conta molto di più la qualità, che la quan– tità. Questa proposta, oltre tutto per ora non accompagnata da un'accorta rifor· ma della scuola, che imposti corretta– mente il rapporto scuola-società, non farà altro che configurarsi come un mezzo per sanare la disoccupazione giovanile, mascherandola con l'educa– zione scolastica, intasando le universi– tà fino a farle scoppiare, scaricando sulle famiglie il costo del mantenimen– to dei giovani improduttivi. Per gli altri punti il progetto codi– fica i principi della politica scolastica governativa, che si è tentato di speri– mentare, con scarsissimo successo, per mezzo di circolari ministeriali e che si configura come un tipo di conduzione cogestionale, che non può permettere di risolvere i gangli nodali della scuo– la, poiché è chiaro che la politica della scuola va collegata strettamente con la politica delle riforme. Rosa Elisa Giangoia L'URBANIZZAZIONE quale oggi va svi- luppandosi ci costringe ad una mo– notonia di ambiente che ci fa perdere il senso del fluire del tempo e del va– riare dello spazio, ci toglie la possibilità di disporre di quel territorio indispensa– bile che tutti i vertebrati reclamano quale esigenza biologica di base. Da decenni antropologi, psicologi, psi– chiatri, psicanalisti, psicologi comparati, zoocultori, zoopsicopatologi vanno stu– diando gli innumerevoli e svariatissimi effetti patogeni del sovrattollamento sui vertebrati, e da decenni si conoscono, per esempio, le dirette analogie fra le anomalie del comportamento che la co– strizione spaziale o la stretta cattività inducono nei vertebrati non umani e quel– le che gli stessi fenomeni inducono nel– l'uomo. Negli ultimi anni hanno avuto ampia eco, per esempio, i lavori di John Bum– pass Calhoun di Washington, autore di • The Ecology and Sociology of Norway Rat •, nonché del Menninger e del per– sonale della Menninger Foundation di To– peka, nonché di J. J. Christian, e di Hall, l'autore di • The hidden dimension • e di Storr, l'autore di • Human aggression •. Sono, questi, tutti nomi ormai indiscu– tibilmente acquisiti alla storia della scien– za, ma le loro ricerche seno state so– stanzialmente ignorate. Molti di essi han– no concordemente affermato che l'ecces– sivo affollamento, indipendentemente dal– le malattie da inquinamenti, provoca gra– vissime alterazioni all'equilibrio psicoso– matico degli individui umani a carico delle sfere neuro-umorale, mentale, ses– suale, affettiva. Calhoun parla chiaramen– te della • fogna del comportamento •. Eppure, l'urbanizzazione esplode in modo tale che, spesso, innumerevoli es• seri umani vivono in condizioni che non sarebbero tollerate dalle autorità depu– tate a far rispettare le norme vigenti di polizia veterinaria. Molti esseri umani guadagnerebbero in igiene mentale e so– matica se fossero trattati come i conigli o i polli di un'azienda zootecnica che si rispetti o di un giardino zoologico mo– derno. Con la densità di popolamento, au– menta costantemente la tensione inte– riore degli individui, che spesso non giunge a livello della loro autocoscienza, ma ne indebolisce la resistenza di fron– te ad altri fattori di turbamento psico– fisico. La somma delle tensioni indivi– duali costituisce la tensione sociale. E' stato fatto notare, paradossalmente, che gas e popolazione sembrano obbedire a leggi analoghe: mantenendo costante lo spazio disponibile, l'aumento della pres– sione demografica porta nd un incremen– to della temperatura sociale. Ma questo è solo uno degli effetti del sovraffollamento sulla società. e ne esistono di ancora più gravi, perché proiet– tano i loro effetti sul futuro. Per esempio, il professor René Spitz ha ribadito che le madri umane sono gra– vemente condizionate dall'eccessiva den– sità demografica e che questa impedisce loro di intrattenere soddisfacenti rappor– ti affettivi con i figli, il che compromet– te la normalità della elaborazione del ca– rattere nell'infanzia. Ne deriva quanto gravi siano i danni che l'ammassamento eccessivo delle generazioni attuali cau– serà alle generazioni future. In questi ultimi anni si è diffusa una seria diffidenza nei confronti dell'urba- Giugno-Luglio 1971 nizzazione eccessiva, ma sovrattutto in funzione degli inquinamenti dell'ambien– te, non già delle alterazioni etologiche che essa implica. Invece bisogna denunciare che la den– sità va sorpassando i limiti di tolleranza degli uomini, limiti fissati dall'evoluzio– ne attraverso milioni di anni e pertanto non modificabili in poche generazioni né neglegibili senza seri turbamenti nell'e• quilibrio dell'intera specie. Come fa notare il professor Leyhau– sen, il concetto di adattabilità all'am– biente è quasi sempre riferito agli indi– vidui e quando insorge un contrasto tra individuo e società se ne deduce spesso che l'individuo non ha saputo adattarsi anche se, quasi sempre, in realtà è la società ad essere responsabile di un suo mancato adeguamento alle esigenze na– turali dell'individuo. Non possiamo igno– rare, infatti, che la adattabilità dell'indi– viduo non può in nessun caso superare i confini del campo proprio della sua specie. confini abbastanza rigidamente determinati dal patrimonio genetico. Per– tanto è il gruppo sociale, relativamente malleabile, che deve plasmarsi sulle al– quanto poco plastiche esigenze dell'indi– viduo, e non viceversa. La specie umana è strutturata per una vita sociale in piccoli gruppi nell'ambito dei quali gli individui si conoscono tutti personalmente e soltanto in via eccezio– nale essi necessitano di adunate più lar– ghe come pure, al contrario, di restar soli. Quando la vita sociale si fa op– primente, nell'individuo si instaurano •stress•, frustrazioni, paure, che dan– no poi adito ad aggressività eccessive e sono destinate a degenerare in vere nevrosi, psicosi e morbosità di ogni sorta. E', per esempio, estremamente signi– ficativo il ventaglio di forme morbose prodotte dall'eccessivo rumore, tanto che oggi esiste una branca della me– dicina che si interessa della patologia da rumore. In conclusione, il fenomeno dell'ultra– urbanizzazione agisce in senso distrutti– vo sull'individuo e sulla società sinergi• camente attraverso gli inquinamenti di ogni tipo, il sovraffollamento, il rumore, l'alterazione dei bioritmi, l'uniformità at– traverso il tempo e lo spazio. Fenomeni quale l'impressionante estendersi della asocialità, della criminalità giovanile, del– l'aggressività, dell'omosessualità, dell'uso delle droghe, dell'alcolismo, del tabagi– smo, del suicidio, eccetera, denunciano chiaramente che nelle aree fortemente urbanizzate ed industrializzate stanno sal– tando i pilastri fondamentali dell'equili– brio individuale e sociale. Così come si va oggi sviluppando, l'ultraurbanizzazione costituisce un autentico pericolo per la umanità. Non dobbiamo dimenticare che l'affer– mazione secondo la quale l'uomo non vive di solo pane implica sì il riconosci– mento delle esigenze psichiche dell'uo– mo ma senza disconoscerne quelle fisi– che. Non v'è dubbio alcuno che negli ultimi secoli si sia soprawalutata la pos, sibilità che l'uomo ha di sopperire con la volontà a condizioni ambientali nocive, ivi comprese quelle sociali. Oggi, comunque, vediamo chiaramente come, a forza di fare appello alle doti psichiche individuali, in nome della • spi– ritualità• dell'uomo, lo si sia, di fatto, portato spesso a respingere, assieme al– le proprie istanze di tipo intellettuale, anche quello di tipo animale, come pro– vano il 1.200.000tentativi di suicidio che vengono annualmente nelle città degli Stati Uniti. Menico Torchio

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