il Potere - anno II - n. 1 - gennaio 1971

pag. 4 CHE COS' E' L'ATTUALE «STABILE» CITTADINO I padroni del teatro CHE cosa è l'attuale Teatro Stabile genovese, quale funzione svolge nella vita culturale cittadina o meglio quale porzione di potere l'ente comu– nale ha acquisito in un settore tutto difficile da esplorare per la sua com– plessità e per le numerose reticenze, tipiche nelle gestioni pubbliche etichet– tate dal centro-sinistra? Scopo di queste note non è tanto ope– rare una moralistica formulazione di generici quanto vacui atti d'accusa con– tro una dirigenza né sciocca né impre– parata (al contrario) quanto di chio– sare alcuni aspetti di una gestione sin troppo abile nella manipolazione del po– tere, nella fattispecie teatrale, nella no– stra città. Lo Stabile celebra i suoi vent'anni e, come la giovane verginella che rap– presentava la Dc nella propaganda elet– torale di una trascorsa competizione po– litica, dovrebbe ancora attendere il prin– cipe azzurro. Naturalmente il principe azzurro è già venuto da un pezzo: un bell'uomo, alto,- con i capelli fascino– samente brizzolati, prestante e sociali– sta, insomma: Ivo Chiesa. Chiesa si è comportato secondo il «cliché» del principe azzurro che si rispetti: il suo matrimonio con lo Sta– bile è stato ed è felice: lei docile e sot– tomessa, lui forte, gentile, fedele e na– turalmente un po' geloso: negli ultimi tempi un po' troppo geloso. Nel mènage matrimoniale si introdus– se, a suo tempo, Luigi Squarzina, inap– puntabile nella veste di amico fedele ed indispensabile; e recentemente nella fa– miglia è entrata una giovane ed attraen– te fanciulla, con la fama di strega cat– tiva, ma che sinora si è comportata co– me una buona zia: zia Mina (Mezza– dri) da Brescia. Vivranno tutti felici e contenti? che da tempo giace in qualche cassetto dell'ufficio del direttore dello Stabile; i giovani ogni tanto fanno qualche spa– rata ma con discrezione ed encomiabile pudore, sempre pronti ad infilare l'u– scita di sicurezza per trovare la loro poltroncina, modesta ma comoda. Ed è l'atteggiamento dei giovani che non piace affatto: quando si parla di Chiesa la cautela è di rigore, come di– re: povero Chiesa, non è tutta colpa tua . dietro ci sono i politici cattivi, oppure: basta con la politica « borghe– se » delle sale del Duse e del Geno– vese, però se ci fosse un posto, natu– ralmente retribuito, al Teatrino di piaz– za Marsala ... Chiesa queste cose le sa benissimo ed è pienamente consapevole che senza il suo consenso a Genova non si può lavorare in un teatro decente, comodo e ben riscaldato. L'uomo. come si di– ceva, è intelligente e si guarda bene dal– l'esasperare una situazione da cui po– trebbe uscire (non si sa mai) con le ossa rotte. Da buon socialista accetta con « fair play» le critiche, nei con– tradditori pubblici (mai rifiutati, anzi il POTERE spesso sollecitati, diamogliene atto) non perde né la calma né la disinvoltura. In pratica non mette mai a repentaglio il suo potere, nemmeno per una qui– squillia. Di fronte ai politici, il nostro si comporta con ancor più sagacia ed oculatezza. Nei suoi collaboratori si pos– sono trovare tutte le componenti politi– che (esclusi naturalmente i fascisti, ci mancherebbe altro). Dai rappresentan– ti del « partito della crisi» all'estrema sinistra psiuppina, in genere tutti abba– stanza d'accordo anche se con diverse sfumature: v'è la democristiana del ge– nere «sinistra moderata», la stretta con– giunta di un segretario provinciale del– l'estrema sinistra, il giovane regista uf– ficiale del Pc genovese, noto per la sua « contestazione rinculante » che esplo– de fuori Genova (in occasione di qual– che convegno teatrale organizzato dai movimenti di sinistra) e si attenua non appena è a contatto con l'atmosfera cit– tadina. Questa fauna, vero esempio di « repubblica conciliare», convive nella medesima gabbia di via Bacigalupo, sot– to gli occhi attenti e vigili del domatore, pardon del direttore. Si diceva dell'ultimo acquisto chiesa– no: zia Mina da Brescia. L'arrivo della Mezzadri, la tigre della Loggetta (una ragazza del resto preparata e molto gra– ziosa, il che non dispiace), costituisce l'ultimo colpo maestro di Ivo Chiesa. Mancava, infatti, nella staff dei colla– boratori dello Stabile un rappresentan– te della sinistra «extraparlamentare» (il che poteva essere pericoloso, di que– sti tempi) e dopo lunga meditazione Chiesa ha optato per una buona co– pertura in quesia direzione, ingaggian– do la giovane regista, munita di ottime referenze per quanto concerne il « tea– tro politico». A Brescia la compagnia della Loggetta aveva fatto scandalo per i contenuti avanzati dei testi elaborati da un colletivo di attori-autori e la scel– ta si potrebbe rivelare azzeccata. Incredibilmente Chiesa ha convinto con successo il collega Squarzina a di– videre con la giovane Mezzadri la qua– lifica di « regista stabile». Fatto inau– dito e che forse alla lunga potrebbe risultare pericoloso: di solito ·i giovani registi nostrani avevano dovuto accon– tentarsi del periferico Teatrino, la Mez– zadri invece ha ottenuto un posto di onore impensabile. Chiesa è sicuro di addomesticare la Mezzadri ma pare che quest'ultima ab– bia da qualche tempo sfoderato gli arti– gli (della contestazione, naturalmente) e che la paziente opera di convinci– mento e di integrazione sia abbastanza difficoltosa. Del resto se Chiesa tornas– se indietro, scatenerebbe una serie di reazioni a catena che sconvolgerebbe la tranquilla routine della vita teatrale e politica cittadina. Franco Cavenaghi Vediamo un po'. In realtà oggi Chiesa e Squarzina esercitano il loro potere con– solare sullo Stabile di Genova senza in– contrare soverchie opposizioni. Mentre il primo cura i rapporti diplomatici e con indubitabile perizia si basculla, me– diante il classico colpo al cerchio ed alla botte, con le centrali politiche, il secondo, abbastanza introverso e refrat– tario alle mene partitiche si limita a svolgere il suo lavoro di regista e di. au– tore al servizio della cultura cittadina, scrivendo in media un testo all'anno (talvolta due, come nell'attuale stagio– ne), oltre naturalmente l'esclusiva della regia per le « pièces » più importanti. Unsindaco in famiglia Direttore e regista costituiscono, dun– que, un tandem affiatato, per il momen– to non suscettibile di incrinature. E' veramente l'ultimo immarcescibile bino– mio della scena italiana dopo il divor– zio fra Grassi e Strehler, «padroni» della consorella istituzione milanese, messa irreparabilmente in crisi dalla scissione. Chiesa e Squarzina sono troppo in– telligenti per litigare e se lo fanno la faccenda non trapela: l'uno ha troppo bisogno dell'altro. Chiesa senza Squar– zina avrebbe troppi problemi di coper– tura: dovrebbe cercarsi un altro regista di alta fama che giustifichi di fronte ai politici ed alla pubblica opinione il mo– nopolio teatrale che si è costruito, con il rischio di trovarsi alle prese con un personaggio scomodo ed intrallazzatore, difficilmente controlJabile. Squarzina senza Chiesa troverebbe senz'a!tro un'adeguata sistemazione in qualche Stabile od alla Tv ma gli sa– rebbe più complicato piazzare i suoi testi (o le sue riduzioni) con la faci– lità che la situazione a Genova gli consente. Resta il fatto, volere o no, che lo Stabile è un decente carrozzone para– gonato agli altri enti pubblici similari (si pensi alla crisi che travaglia l'ente comunale dell'opera) e che, bene o ma– le, assolve una funzione dignitosa nel contesto cittadino. Una simile patina di qualificazione « formale » può bastare per affermare che tutto va a gonfie vele? A nostro parere, dietro la cortina fumogena per– benista che Chiesa ha così sapiente– mente alitato vi sono aspetti sconcer– tanti ed un pochino mistificatori che va– le la pena di chiarire. E' certamente difficile attaccare oggi Chiesa con le solide coperture che si è creato. Di Squarzina si è già detto; i critici più anziani non ci pensano nep– pure: tutti più o meno hanno un testo ~······················"···· U SCENT I-RI ENTRANTI certis- simi, 2; uscenti-rientranti cer– ti, 3; probabili, 2; entranti certis– simi, 4; certi, 6; probabili, 12; en– tranti-certissimi-disposti-a-rinun– ciare-in - cambio-di-un-seggio-nel prossimo direttivo provinciale, 8; candidati liberi-certi-di-uscire-col– le proprie forze, 9; candidati mo– destamente-desiderosi-di-entrare– solo-in lista, ventinove. Totale ge– nerale: 80. Se il nostro lettore ha mente matematica e il fiato gli ha retto nella lettura di questo primo pe– riodo, lo attende ohimé una delu– sione. Non si tratta d'un passo del Talmud, né della Cabala, né d'un saggio medico - stregonesco del Cardano. Sono semplicemente i conti che, ogni sera, vengono compiuti sul pallottoliere dai Ma– chiavelli brothers. Oggetto di tan– ta sottigliezza è l'organizzazione della campagna elettorale di giu– gno e la designazione del candi– dato del Psi a ,·icoprire la carica di sindaco di Genova. Per la verità i socialisti hanno già un autocandidato, e cioè Ce– rofolini - Robespierre, ma questi, si sa già, accetterà soltanto i voti dei comunisti. Il Fulvio n. 2 (il n. 1 è l'allenatore della Sampdo– ria) più che « il » comune sogna « la » comune, e i « fratelli », da buoni esponenti della borghesia cittadina, non possono permette– re una simile « contaminatio ». Hanno bisogno d'un candidato che abbia i crismi del contro-sini– stra. Il pallottoliere ha dato per– ciò una risposta: il capolista sa– rà l'avvocato Carlo Da Molo, pre- sidente dell'Amga, volto da killer imbronciato, detto Gas-Gas dagli intimi. La via di Damasco dello scon– troso presidente della « morte bianca» s'è conclusa: abbandona– te le ali di Nenni, s'è inserito nella corrente (pardon) nella fa– miglia regnante, dove è salito ful– mineamente al grado di siniscal– co. Pippo Machiavelli, alcuni gior– ni fa, indossata la divisa da si– gnore di Tréville, comandante dei moschettieri, gli ha consegnato il Toson d'Oro, simbolo del coman– do, mentre la banda dei tassisti (nerbo delle truppe della fami– glia) suonava a distesa. Il Sire del Metano, agghindato per l'occasione, con collane hawa– iane - dopo una notte passata in via SS. Giacomo e Filippo in vi– gilia d'armi - ha ricevuto l'inve– stitura con la modestia d'un Car– lomagno (vedi i ricorsi storici!). Era tale l'emozione che il Paolino aveva chiesto di vestirsi da car– dinale di Richelieu, ma il fratello– moschettiere glielo ha impedito per motivi di dignità laica. Cerofolini, naturalmente, l'ha presa malissimo e, dal momento che è un ex tranviere, ha fatto un rapido giro di telefonate ai vecchi amici del!' Amt affinché stiano sul chi vive. Avremo dun– que uno scontro « storico »: tran– vieri contro tassisti. E la storia ci ha già tramandato la frase fat– ta per l'occasione: « Se voi suone– rete le vostre trombe - diranno quelli dell'Amt ai rivali - noi suo– neremo le nostre campane ». Bébert Gennaio 1971 IL DIALETTO SULLE SCENE LIGURI Aspettando gli autori PER fare del teatro a Genova et vuole un bel po' di coraggio. So– prattutto se non si è integrati nell'uni– co organismo che sembra avere l'ap– palto ufficiale della vita artistico-cul– turale genovese: il Teatro Stabile. Le compagnie teatrali, qualunque genere facciano, considerano la platea genovese allo stesso modo di come i comuni mortali considerano il cimite– ro: che è quel posto in cui uno fini– sce per capitare prima o poi, ma sen– z'altro dopo aver trascorso tutta la sua vita in luoghi ben più dilettevoli (a meno che non faccia di mestiere il becchino). E' così che, dopo aver fatto come minimo il giro d'Italia, un bel giorno accade che molte compa– gnie si fermino anche a Genova. Come espressione artistica autono– ma a Genova sono sempre esistiti vari complessi filodrammatici, per lo più malati di velleitarismo e di estrazione quasi sempre dopolavoristica, che vi– vono e muoiono nella palude dell'ano– nimato dei teatrini semiparrocchiali. A questo modo è andato scomparendo lentamente anche il teatro in genove– se: cioè il teatro dialettale che, in Li– guria, ha tradizioni antichissime. Il teatro dialettale genovese, fonda– to tradizionalmente su alcune masche– re ben definite, ha svolto nei secoli scorsi una funzione piuttosto impor– tante tanto che si riscontrerebbe la presenza di maschere con caratteri li– guri perfino in opere goldoniane co– me la « Locandiera » ( si sa che Gol– doni aveva sposato una genovese). Poi c'è stato il «mostro» Gavi. Con lui il teatro in vernacolo ha raggiunto livelli di popolarità altissimi, girando l'Italia e il mondo. Ma se Gavi ha se– gnato il massimo punto di splendore del teatro dialettale ha anche creato le premesse per la sua morte: intorno a sé il grande attore creò il vuoto. Come in quei regimi dittatoriali che, identificandosi in una persona, muoio– no con lei, cosi con Gavi sembrò fi– nire il teatro dialettale a cui nessuno aveva pensato di dare delle strutture, un vivaio di attori e di autori, un fu– turo. L'organizzazione di compagnie tea– trali e le sporadiche rappresentazioni che si tenevano restarono in mano a pochi cultori di questo genere. Finché un giorno qualcuno e precisamente Tullio Mayer, che dirigeva la compa– gnia di prosa del circolo folkloristico Maria Cappello, prese il coraggio a due mani e diede vita al Teatro sta– bile dialettale ligure, assieme alla com– pagnia di prosa Città di Genova, di– retta da Laerte Ottonelli, ed alla com– pagnia del Teatro Clan di Gianni Or– setti. Si ottenne così un primo positivo risultato: porre cioè un freno all'ec– cessiva polverizzazione in gruppettini pieni di buona volontà (e anche di egoismo) ma privi in genere di mezzi validi e di capacità. Col darsi un'organizzazione e con la formazione di un gruppo composto dai migliori elementi delle varie com– pagnie, i promotori del Teatro Stabile Dialettale contavano di rafforzare la presenza del teatro genovese nella re– gione e di stimolare eventuali autori che, fino a quel momento, non riceve– vano grandi soddisfazioni dalla diffu– sione limitatissima - spazialmente e temporalmente - che offrivano le pic– cole compagnie precedenti alle loro opere. Il primo scopo è stato ottenuto e lo ha dimostrato l'affluenza vera– mente eccezionale riscontrata dallo Stabile Dialettale nelle sue rappresen– tazioni alla sala Carignano tenute in questo primo anno di vita. Circa il secondo risultato nulla si può ancora dire. Alla luce di ciò che è stato rappresentato fino ad oggi possiamo però svolgere qualche con– siderazione anche per creare un dibat– tito attorno a questa forma di teatro che consideriamo piuttosto importante. Riteniamo che il teatro dialettale debba ricercare, prima di tutto, una propria dimensione culturale, in stret– ta dipendenza con la sua presenza nel– l'ambito cittadino e regionale. E' au– spicabile, cioè, un salto di qualità nei moduli espressivi e rappresentativi, cercando di superare la tradizionale «commedia» di stile borghese, piena di macchiette e di situazioni parados– sali, ma che autolimita i confini so– ciali ed intellettuali del suo pubblico. Si dice che questo teatro di pura eva– sione, che il divertissement puro, è ciò che il pubblico si aspetta quando va a sentire degli attori che parlano genovese. Si dice: il pubblico è dise– ducato. E allora continuiamo a farlo ridere dietro alle piccole miserie e al– le piccole virtù di un ceto medio al– quanto poco localizzato temporalmen– te senza tentare di iniziare un dialogo vero con la città e con i suoi abitanti. Ci sembra invece necessario, come altrove si fa, cercare di dare una pre– senza ed un'espressione d'ambiente al teatro dialettale ponendo dei proble– mi e analizzando situazioni reali: a questo proposito è forse un po' ovvio, ma preciso, l'esempio del teatro napo– letano e, in genere, meridionale. Lo Stabile dialettale ligure è ancora alle prime esperienze, ma riteniamo utile segnalare, per i prossimi anni, la necessità di creare delle strutture ca– paci di determinare un contatto viva– ce tra questo tipo di espressione arti– stica e la sensibilità degli spettatori liguri. E' lo scopo che probabilmente si prefissano Tullio Mayer e i suoi amici quando dicono di voler dare vita a quello che i nostri padri chia– mavano « Carro di Tespi »: un teatro viaggiante che possa raggiungere an– che i paesini dell'entroterra e si pon– ga in modo dialettico (non qualunqui– stico ed evasivo) rispetto a tutte que– ste realtà. E' per questo motivo che ci lascia– no dubbiosi alcuni esperimenti tentati negli scorsi mesi, come la rappresen– tazione di (( E risorse db Maurizio », una commedia leggerina scritta origi– nariamente in lingua e priva di un discorso che vada al di là dello sfrut– tamento tradizionale del paradosso e dell'equivoco. La trascrizione in geno– vese di « Filumena Marturano" (an– che se artisticamente eseguita in mo– do pregevole da Giorgio Grassi, che ne è anche il regista), ci pare poi un po' pericolosa, sempre considerando valido l'indirizzo sopra accennato: di– ventando « I figgi nu se pagan " la commedia di Eduardo lascia un po' perplessi per la caratterizzazione am– bientale della vita e del costume na– poletano che, nonostante tutto, per– mane e per il temperamento estro– verso di certi personaggi. Di fronte ai coraggiosi (ed onesti) profeti dello Stabile dialettale sta ora una scelta. Da una parte accettare di mantenersi in una linea non priva di lustro che pecca un po' troppo di qua– lunquismo e di dopolavorismo; dal– l'altra accostare ad un repertorio di questo tipo (pur sempre gradito) e– sperimenti espressivi diversi nella ri– cerca di un pubblico nuovo ma più sensibile ai suoi problemi di tutti i giorni che alle divertenti ma vuote diatribe a lieto fine del teatro dialet– tale tradizionale. Tullio Mayer dice che l'iniziativa del Teatro stabile dialettale va avanti per tre gradini principali: idea di base, formazione di una compagnia e di una organizzazione, progetti di lunga sca– denza. L'idea che sta alla base dello Sta– bile Dialettale è viva e credibile; una compagnia e una organizzazione, pur con qualche compi ensibile dilettantt– smo, esistono ricche di un sorpren– dente entusiasmo, di una benefica u– miltà e di onestà artistica; esiste inol– tre la possibilità di dare alla compa– gnia un tipo di gestione democratica fondata sull'autogoverno: e, questo non sarebbe un piccolo risultato. Ora, comunque, per consolidarne il succes– so e ampliarne le prospettive future è importante dare nuova vita al tea– tro dialettale con degli autori aperti e dei testi validi. Alla fine non ci sembra di peccare di provincialismo auspicando la riva– lutazione di tutto quel patrimonio cul– turale che sta dietro alle espressioni artistiche dialettali: Genova è poten– zialmente ricchissima da questo pun– to di vista e non solo per quanto ri– guarda il teatro. Mario Bottaro

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