il Potere - anno II - n. 1 - gennaio 1971

bi Sped. abb. post. gr. III (70%) . Anno II. N. 1 - Gennaio1971 - l. 100 BERLINGUER SU «RINASCITA" Dalla classe al MENSTuE • CASELùA POSTALE J665 . 16100GENOVA blocco storico Esiste una dottrina sociale cristiana? vo, esso non può essere dedotto, ma deve essere continuamente inventato in rapporto alle condizioni storiche in atto. Cristianesimo e comunità UN terzo punto che ci pare meriti di essere accolto è quello che dob– biamo alla posizione spiritualista, che ha in Maritain il suo maggiore espo– nente. Egli sottolinea il carattere ambi– valente della storia: i mutamenti stori– ci non si attuano soltanto sotto la spin– ta di moventi spirituali puri, ma anche per motivazioni definibili, in senso pao– lino, come « carnali » (il risentimento, il timore, la volontà di potenza ecce– tera). l L Pci cerca di distinguere il proprio marxismo da quello dei comunisti del dissenso. Un si– gnificativo esempio di tale opera– zione ideologico-politica ci è of– ferto dall' articolo di Berlinguer pubblicato su « Rinascita » del 15 gennaio. E SlSTE una dottrina sociale cristia• na? Venti anni fa, una simile do– manda sarebbe stata oziosa: tutti avreb– bero risposto di sì. Cinque anni fa, que– sta domanda sarebbe stata pressoché superflua: quasi tutti avrebbero rispo– sto di no. Oggi dobbiamo dare atto a Johann Metz di aver ricordato l'ineli– minabile dimensione politica del cristia– nesimo, sottolineando, con la sua teolo– gia politica, la dimensione politica della teologia. Esaminiamo, sul punto, la prospetti– va neo-scolastica, quella spiritualista e quella della teologia politica, nelle loro rispettive dimensioni. Per la prima, esiste una filosofia po– litica elaborabile razionalmente, a cui la Rivelazione ha dato chiarezza e uni– tà. Si può, dunque, elaborare una visio– ne completa della società e dei suoi isti– tuti-chiave secondo un metodo rigoro– samente filosofico, che consente una vi– sione razionalmente precisa dell'ordine sociale. Questa posizione è quella della seconda scolastica, rielaborata, in mo– do più moderno, dalla neo-scolastica del secolo scorso e di questo secolo. Per la seconda posizione, che chia– meremo spiritualista, la dottrina cri– stiana, sul piano sociale, si limita a ri– chiamare i diritti della persona umana e lascia alla tecnica politica la respon– sabilità di elaborare le scelte concrete al riguardo. Per la terza posizione, quella della teologia politica, i cristiani - e la stes– sa Chiesa, come istituzione - hanno il dovere di contestare le strutture po– litico-sociali vigenti, in nome delle esi– genze dei poveri, degli emarginati, degli esclusi. Le tre scuole di pensiero sono oggi compresenti, anzi mescolate, ed è co– mune vedere la stessa persona rifugiar– si sotto il patrocinio dell'una o dell'al– tra secondo l'opportunità. Q UELLO che ci pare acquisito, in questo travaglio, è la storicità del– l'uomo. Non vi è concreto ordine so– ciale che si possa dire fondato su una razionalità metastorica. Anche se ogni ordine sociale presuppone alcuni prin– cìpi razionali comuni a tutti (non sa– rebbe possibile, per esempio, una so– cietà fondata sul principio della bontà della menzogna o dell'omicidio), ogni concreto ordine sociale è collegato alla maturità dei tempi. Non a caso la Chiesa ha accettato il feudalesimo e la servitù della gleba finché i tempi glielo hanno imposto. Un ordine sociale è funzione della concre– ta maturità morale e politica dell'uo– mo. Negarlo costituirebbe estratto spi– ritualismo Così è assurdo eternizzare il concet– to quiritario e borghese di proprietà, e non immaginare che sia pensabile una proprietà personale fondata su un titolo di lavoro (il salario, la pensione, la si– curezza sociale) invece che sul posses– so della terra o della casa. Bisogna evitare di considerare come norma morale concreta un istituto so– ciale vigente (la libertà borghese, la proprietà borghese) e giudicare acristia– no ed immorale ciò che non quadra, da un lato o dall'altro, con questo criterio. La legge per il cristiano consiste in due comandamenti: ama Dio, ama il pros– simo tuo. Entro questa tematica la la– titudine è amplissima e storicamente in evoluzione. Un secondo punto ci pare acquisito: e cioè che le norme morali hanno, in materia sociale, carattere abitualmente negativo: pongono, cioè, dei limiti alla creazione umana per impedire che essa distrugga se stessa. Se consideriamo le encicliche sociali di Leone XII I e Pio Xl sul socialismo e sul comunismo, vediamo che esse han– no un tema di fondo comune: quello di escludere che sia conforme alla di– gnità umana l'attribuzione allo stato di ogni proprietà, togliendola integralmen– te all'individuo ed alle comunità inter– medie. Le realizzazioni storiche sono sempre ambivalenti, finché non saranno spiri– tuaH: susciteranno cioè, ad un tempo. ammirazione ed orrore, accettazione e repulsa. E' per questo che la posizione spiritualista ritiene che la Chiesa deb– ba sempre distinguersi da ogni realiz– zazione sociale, considerandola soltan– to alla stregua di una necessità opera– tiva o di un dato tecnico. La tesi del leader comunista è semplice: le rivoluzioni vittoriose (russa, cinese, cubana, vietnami– ta) sono state quelle in cui la classe operaia ha potuto avere al fianco altre forze; le rivoluzioni sconfitte (quella della comune di Parigi, l'ungherese di Bela Kun, la tedesca degli spartachisti) so– no state quelle in cui la classe operaia ha dovuto lottare da sola. Sintetizzando il pensiero di Berlinguer, si può dire che il co– munismo vince quando riesce a operare una saldatura tra gli in– teressi di classe e quelli nazionali nel loro complesso. J L principio è razionale e preciso, ma anche, come si vede, negativo. Esso e– sclude, cioè, che un indirizzo (il collet– tivismo integrale e la completa statiz– zazione dell'economia) costituisca la via della libertà personale e della realizza– zione sociale. Con ciò le differenze tra la posizione neoscolastica e quella teologico-politica si attenuano: infatti entrambe escludo– no che la Chiesa debba proporre un mo– dello sociale determinato, attribuendo– le piuttosto il còmpito di indicare le condizioni di legittimità dei modelli sa– ciali che storicamente si configurano. Sono evidenti le difficoltà di una sin– tesi che consenta al cristiano dei no– stri giorni di esercitare la sua funzio– ne di libertà-distacco e di presenza-par– tecipazione nei confronti della realtà sociale del nostro tempo. Tale sintesi va oggi cercata nel mutuo rispetto di tutte le componenti presenti nella cul– tura cattolica (quella neo-scolastica, quella spiritualista-personalista e quel– la rivoluzionaria o contestativa). Gli esempi storici utilizzati dal vice-segretario del Pci sono assai discutibili: infatti non ci sembra vero che la comune di Parigi pos– sa essere considerata un movi– mento marxista, né che in essa la componente operaia fosse e– sclusiva o assai prevalente su quella genericamente popolare. Inoltre neppure la rivoluzione di Bela Kun può essere considerata come fatto esclusivamente ope– raio. Forse solo lo spartachismo ha, davvero, rivestito quella rigi– da qualificazione operaistica che Berlinguer vuole cogliere nelle ri– voluzioni sconfitte. In questo modo il principio di norme sociali universali, preclusive o negati– ve, si concilia con il principio della sto– ricità dell'uomo: spetta, infatti, alla crea– tività storica dell'uomo il compito di determinare l'ordine istituzionale con– forme alle esigenze della persona uma– na. Appunto perché è compito creati- Definire qual'è il ruolo del cristiano nel mutamento sociale è definire il ruo– lo della dottrina sociale cristiana. Essa non è un'ideologia, non è una spiritua– lità, non è un insieme di parole d'ordi– ne. E' una verità che consente alla creatività storica di depurarsi dalla sua parzialità originaria: di imparare a non essere più soltanto « contro », ma ad essere soprattutto «per». Proponiamo questi temi al dibattito dei numerosi gruppi che oggi cercano, legittimamente, di delineare quale sia il ruolo politico del cristiano. Ma egli, evidentemente, costruì- * IL MOMENTO POLITICO LA BANDADEI POMPIERI J l governo, passate le polemiche sul decretane, sembra finalmente accettare sotto la pressione dei sindacati il discorso sulle riforme. L'alternativa a questo punto è chia– ra: o le riforme o gli scioperi, con tutte le conseguenze. L'interrogativo però, nel caso l'azione riformatrice incides– se veramente sugli interessi costituiti, è rappresentato dal comportamento che assumeranno il partito della crisi ed i suoi mandanti. Tanto per cominciare, il giornale dei Cre– spi ha denunciato la nuova legge sulle affittanze agrarie come presupposto a/l'economia dei kolkoz. La riforma tri– butaria, con l'eliminazione elettronica dell'evasore (questo almeno è il suo intendimento), rappresenta un ulteriore dif– ficile scoglio. I nodi della casa e dell'università saranno altri punti assai dolenti: gli interessi dei proprietari delle cattedre sono ancora più solidi e intoccabili di quelli dei proprietari delle aree, perché contrabbandati in nome della scienza e della cultura. Intanto il governo ha pubblicato un libro bianco sul– la situazione economico-finanziaria del paese, che ha avu– to all'interno della stessa coalizione di centro-sinistra le interpretazioni più disparate: per Ferrari Aggradi il pro– blema è di spendere, per La Mal/a (come per Malagodi) l'imperativo è il blocco delle riforme. CROGIUOLO di tutti gli interessi, il governo cerca una linea di equilibrio tra i sindacati (guardati a vi– sta dai lavoratori) e i gruppi di pressione privati e pub– blici, ora che la componente più pericolosa d'instabilità, la lotta interpartitica, sembra scemare. La situazione di compromesso raggiunta all'interno della direzione dc e l'affinità di interessi scoperta dai due partiti socialisti ha fatto superare a Colombo la strettoia di fine gennaio. Avevamo già notato, nello scorso numero, come l'e– marginazione del Psu indebolirebbe, paradossalmente, il Psi, costringendolo fra le forze avanzate della Dc e i co– munisti. li Psi sente giungere l'ora della verità e gli viene il fiato grosso. Mancini ha capito che con un centro-sini– stra « chiuso » la destra della maggioranza è rappresen– tata dai socialdemocratici. Con un Dc-Psi, molto proba– bilmente, a destra si troverebbe il Psi medesimo. Infatti, con un governo Dc-Psi la sinistra dc assumerebbe ampio spazio a sinistra, mentre i moderati dc, che tallonano di– scretamente (con Moro e Andreotti) la sinistra del parti– to, avrebbero uno spazio ancora maggiore. I socialisti si 1anco troverebbero continuamente condizionati, nei fatti, dalla si– nistra democristiana e ciò farebbe scoppiare le contraddi– zioni al loro interno. Per questo, al momento, Mancini (alle prese, fra l'al– tro, con le denunce piuttosto circostanziate del se!(ima– nale d'estrema destra «Candido») vede nel Dc-Psi « chiu– so» la soluzione più avanzata che i socialisti possono tol– lerare. Con questa linea si confronta, però, De Martino, pronto a sacrificare il suo partito in nome di un'unità delle sinistre anche soltanto in funzione della corsa al Quirinale. La dialettica politica fra Mancini e De Martino è, a nostro avviso, la grande novità partitica della situazione. Mancini nella corsa alla presidenza della repubblica pun– ta su un uomo dalle notevoli qualità immobilizzatorie, per parare un slittamento a sinistra oltre il Dc-Psi: questi po– trebbe essere proprio Aldo Moro. Con l'elezione di Moro le acque nella democrazia cristiana dovrebbero calmarsi, e con una Dc tranquilla i socialisti assumerebbero ampio spazio di manovra. Prova di questo disegno è il tenore degli apprezza– menti di Mancini su Donai Cattin. E' una soubrette, dice, fa parte dell'avventura, non della stabilità del sistema: afferma cose sensate (bisogna pure differenziarsi dal Psu) ma a livello personalistico ed estemporaneo. Il ministro del lavoro, in sostanza, non è un politico serio, in servi– zio permanente effettivo alla loggia del potere. J comunisti cominciano a capire che, forse, hanno scarso interesse ad appoggiare Moro alla presidenza della re– pubblica? Fuori dal Quirinale, Moro sarebbe un uomo di movimento per necessità. Una presidenza Moro potreb– be rappresentare il principio di un pateracchio all'italiana: cioè di un riflusso della destra verso una coalizione « di sinistra»: quella che fa capo al bipartito manciniano. Ec– co, dunque, come potrebe ritornare in ballo una candida– tura di Fanfani, uomo che, diversamente da Moro, una ne fa, una ne pensa. Con Fanfani presidente, la Dc dormirebbe sonni agitati e i comunisti sarebbero coinvolti continua– mente nel gioco di potere. Ancora una volta, quindi, la parola è al Pci: il qua– le deve dire chiaramente se la sua parte è soltanto quella della banda dei pompieri: canto e acqua sul fuoco. Alberto Gagliardi sce analisi storiche in vista di immediate applicazioni politiche. Infatti il suo discorso prosegue criticando chi sostiene che « la rivoluzione dovrebbe essere fatta e vinta solo dalla classe operaia attraverso la semplice crescita di un contropotere dal basso che dovrebbe sorgere nelle fabbriche per affermarsi poi in tutta la so– cietà e nello stato ». Tale tesi sarebbe soltanto una illusione piccolo borghese. Nelle società capitaliste avanzate, e per– ciò a struttura sociale assai dif– ferenziata, la rivoluzione, secon– do Berlinguer, dovrebbe quindi essere realizzata non da una sola classe ma da un blocco di forze sulle cui caratteristiche, tuttavia, nulla si dice. Tutto ciò è molto significativo: mentre talune posizioni cattoliche si attestano - in modo non sem– pre chiaro - su tesi classiste, i comunisti si rallegrano con se stessi per aver superato l'idea di classe con il concetto di blocco sociale. Esso non corrisponde certo a quello di interclassismo (che nel ventennio decorso è stato spesso strumentalizzato dalle forze della conservazione), ma ne coglie al– cune parziali verità. Infatti qual– siasi autentica rivoluzione non è mai soltanto un fatto classista e non è mai soltanto un fatto eco– nomico: è una prospettiva cultu– rale e politica globale. Berlinguer, dunque, relega il classismo (e, in questo modo, lo stesso marxismo storico) al livel– lo del capitalismo arcaico. Egli applica così lo storicismo al mar– xismo stesso e lo relativizza. Noi non siamo tra coloro che pensano che ogni ideologia con– sunta debba essere sostituita da un' altra ideologia e perciò non domandiamo al capo comunista con quali carte ideologiche inten– de sostituire le vecchie. Né ci di– spiace che Berlinguer si getti poi in una analisi politica che ci sem– bra piena di sottintesi (per esem– pio quando egli parla di forze dell' imperialismo e del sociali– smo senza identificarle nei bloc– chi d'occidente o d'oriente). Ma ciò che dobbiamo rilevare è il fatto che, ancora una volta, egli - e come lui il suo partito - elude la questione di fondo che condiziona ogni concreta pro– spettiva futura: per i•l Pci cos'è la libertà politica? Noi critichia– mo il modo in cui essa spesso è mistificata all'ovest, ma conoscia– mo il modo in cui essa è com– pressa all' est. La definizione di un nuovo volto della libertà poli– tica è il problema autentico ed aperto che anche gli intellettuali e i politici comunisti devono e– splicitamente affrontare. Bruno Orsini

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