il Potere - anno II - n. 1 - gennaio 1971

Gennaio 1971 L' esperienza di Rivarolo LA PARTECIPAZIONE E' POSSIBILE? La partecipazione è possibile? E' un interrogativo che ci siamo già posU quando, su queste colonne, esaminavamo le esperienze di decentramento comu– nale attuate in alcune città italiane. In quell'occasione non abbiamo nascosto il nostro scetticismo verso inl.zlative che una legislazione antiquata e la diffi– denza delle forze politiche rischiano di ridurre a meri strumenti burocratici, forse inutili, certamente privi di una reale carica innovativa. Oggi dobbiamo riconoscere - e lo facciamo con vero placere - che nella nostra città si rivelano sintomi che ci fanno guardare con diverso animo al lavoro dei consigli cli quartiere e di delegazione. Non c'è dubbio che la costitu• zione di organismi di decentramento ha immesso nel circuito politico nuove forze, ha reso potente una domanda cli partecipazione da parte cli cittadini da troppo tempo abituati a delegare. E' vero che l'alluvione ha costituito per molti la drammatica occasione di constatare quanto possano pesare sul singolo gli errori dell'organizzaz:jone sociale. E' altrettanto vero che la richlesta di partecipazione è più forte dove più urgenti sono i bisogni, dove più disagiate sono le situazioni sociali, econo– miche, umane. Si può comunque dire che, almeno in qualche occasione, queste ansie, queste tensioni hanno trovato un loro sbocco nel consiglio di quartiere. E' il caso, per esempio, della val Poicevera dove si è maturata un'espe– rienza che ha una sua intrinseca validità. Lasciamo a cW questa esperienza sta vivendo con personale impegno ed entusiasmo il compito di presentarne gli aspetti più significativi (V. T.). L'ISTITUZIONE dei consigli di de- legazione e di quartiere e sicura– mente uno dei più impegnativi ba~– chi di prova per registrare la capac1t~ dei partiti di recepire la domanda di partecipazione, che è diventata orma~ patrimonio comune delle _c_omponen~i politiche più avanzate: D1~iamo subi– to, però, che la partec1paz1one se non è correttamente intesa può nascondere una manovra conservatrice per imbri– gliare quelle forze politiche che espri– mono esigenze di cambiamenti pro– fondi. Parafrasando un'affermazione di don Jl,IIazzolari, si può dire che la parteci– pazione senza potere è come ~a _mo– neta priva di valore. L~ ~ costituz~one enuncia che « la sovraruta appartiene al popolo», ma è ovvio ~1:e _no? si può intendere tale sovramta lurutata al solo momento elettorale: occorre dare al cittadino la possibilità di espri– mere questo diritto in uno spazio più ampio, che comprenda tutti i momenti della vita comunitaria. E' in questo senso che l'esperie!lza del consiglio di delegazione di Riva– rolo acquista un significato suo pro– prio. Dalle lotte operaie all'alluvione Significativo è già il fatto che, an– cora pril:ia della sua mvestitura ufll– ciale, il consiglio si riunì d'urgenza per esaminare i problemi riguardanti la smobilitazione della Fina. Fu un in• contro al di fuori di ogni formalità e gli operai interessati presero la pa– rola con la più ampia Ubertà. L'impe– gno del consigllo _di delegazione _non tu quello di « gestue » la 10tta dei la– voratori, ma quello di affiancarli e aiu– tarli, schierandosi decisamente dalla loro parte. _ Due fatti comunque hanno determi– nato e caratterizzato l'esperienza poli– tica di Rivarolo: la vertenza della Pet– tinatura Biella e l'alluvione. zionalità del fenomeno atn1osferico. Quello che abbiamo visto noi però non è proprio un fenomeno natw·a1e. La specU1az10ne edlltzia e il dlsbosca– mento dei nostri inanti, gli innwnere– voli rivi che scendono a valle privi di qualsiasi opera di imbrigliamento e di contenimento, le fognac.ure insuffi– cienti e, in qualche caso, inesistenti, le discariche abusive sui nvi sono ope– re dell'uomo. Questi sono fatti incon• testabili che hanno sollecitato una pre– sa di posizione del consiglio di delega– zione, che, in un documento approva– to all'unanimità, « denuncia le dlfficili condizioni nelle quali si è trovato aà operare, in una situazione di grave e– mergenza, senza mezzi né poteri deli– berativi, in assenza della necessaria attiva collaborazione delle autorità cittadine .... considera la partecipazio– ne popolare condizione irrinunciabile per una necessaria estensione delle proprie capacità e possibilità di inter– vento e decide quindi di stabilire, nel– le occasioni e nei modi che si rivele– ranno più opportuni, contatti organi– ci con i comitati di base. Ritiene inol– tre indispensabile un rafforzamento dei propri poteri che dovranno essere sanciti con la stesura di un nuovo re– golamento ». I cittadini hanno così trovato nel consiglio di delegazione un interlocu– tore serio, capace di farsi interprete delle loro esigenze, e pronto ad impe– gnarsi per risolvere le situazioni più difficili. Ecco l'aspetto più positivo di tutta l'esperienza: quella parte di po• polazione che di solito « non conta>> è riuscita a rompere il proprio isola– mento. I veri protagonisti del lavoro politico sono stati gli operai della Pet– tinatura Biella, gli abitanti di quartie– ri-ghetto come Fegino, gli alluvionati senza casa. Le forze politiche presen– ti nel consiglio di delegazione hanno ~~- il POTERE però il grosso merito di aver impo– stato questo tipo di rapporto senza vincolarlo a sbocchi partitici. Il lavoro politico condotto dal con• siglio di delegazione di Rivarolo non è il frutto di accordi fra partiti, ma della volontà di alcuni uomini di resti– tuire la politica alla sua fwizione più autentica che è quella di costruire la città a misura dell'uomo. Non si può ipotecare il futuro con formule poli– tiche più o meno realistiche. Chi si comporta così dimostra di non aver fiducia nelle proprie capacità e di non aver capito che le pagine del nostro futuro saranno scritte da chi saprà validamente rispondere ai fermenti in atto nel nostro paese. La responsabilità dei partiti Dalle vertenze della Fina e della Pet– tinatura Biella e dal dramma dell'al– luvione e nata l'esigenza di un discor– so più organico sull'assetto di tutto il comprensorio della val Polcevera. Si trattava di passare da un atteggiamen– to di difesa (licenziamenti, alluvione) a un atteggiamento d'attacco formu– lando proposte precise. Il 28 novem– bre si riunivano così in seduta comu– ne i consigli di delegazione di Rivaro– lo, Bolzaneto e Pontedecimo, i consi– gli di fabbrica, i consigli comunali di Ceranesi, S. Olcese, Serrà Riccò, Mi· gnanego, Campomorone e le organiz– zazioni sindacali provinciali. Al di là dei risultati concreti a cui il convegno è giunto, rimane il grosso fatto politico che vede forze politiche e sociali di diverse tendenze impegnar– si in uno sforzo sinergico per dare ai molti problemi comuni le indicazioni di una pronta e definitiva risoluzione. Sulla scia del convegno, il consiglio di delegazione di Rivarolo ha promos– so un'assemblea cittadina per prospet– tare le linee emerse nel convegno stes– so. Non è stato un incontro facile: spesso affioravano, nelle varie compo– nenti della cittadinanza, tensioni e dif– fidenze. E' stato però un passo molto importante sulla via della partecipa• zione. I numerosi interventi, che hanno vi– sto protagonisti uomini di partito, sem– plici cittadini, rappresentanti di comi: tati di base, esponenti di forze sociali o di categorie economiche, hanno ri– velato una sostanziale fiducia da par– te della popolazione nell'azione del con– siglio di delegazione e un reale deside– rio di collaborare. Molto lavoro attende il consiglio di Rivarolo. Disoccupazione, condizioni del lavoratore nella fabbrica, livelli di istruzione, trasporti, quartieri deterio• rati: problemi complessi, interdipen– denti di difficile soluzione. Crediamo comunque che il compito primario sia ancora quello di recupe– rare larghi strati della popolazione al– la fiducia nella pratica politica: e in questo senso è importante che tutte le forze politiche impegnate a livello di quartiere non tradiscano la fiducia loro accordata. E qui bisogna fare un discorso mol– to chiaro. In un sistema democratico come il nostro, la competizione fra i partiti si trasforma spesso in una con– correnza di tipo conunerciale, in cui le parti non perdono occasione per farsi propaganda. Questa tendenza ri– schia di manifestarsi anche nei con– sigli di delegazione e di limitarne l'ef– ficacia politica. E' affidato al senso di responsabilità dei partiti evitare di trasformare la battaglia politica in un « Carosello » e di perdere così una grossa occasione di accogliere senza tatticismi il contributo dei cittadini. Luciano Trucco La decisione dei proprietari della Pettinatura Biella d.l smobilitare su– scitò una generale vivissima reazione: si trattava di un ennesuno attentato al patrimonio industriale della _valla– ta· si trattava di un'altra decis10ne urtl1aterale di eliminare un certo nu– mero di uomini impianto (una delle tante voci di bilanc10!), mascherata con i soliti comunicati: « costi supe– riori ai ricavi )> e « competitività di mercato ». Rimaneva però il fatto che i profitti accumulati dall'azienda dal dopo-guerra ad oggi non erano stati investiti, se non in minima parte, per il rinnovamento degli impianti e, con– seguentemente, i costi di produzione erano diventati troppo onerosi. Gll o– perai venivano quindi forzatamente in– vitati a «partecipare» alle sorti del– l'azienda (ovviamente lo stesso mv1to non fu mai avanzato in « tempi gras– si »). Occorreva dare una risposta chiara e decisa. Anche in questa occa– sione il consiglio di delegazione non gestì la lotta né fu il protagonista principale, ma diede il proprio contri: buto schierandosi apertamente con 1 lavoratori in lotta e facendo opera di sensibilizzazione presso la cittadi– nanza. BANCO DI NAPOLI Da questa esperienza iniziava a d_<; linearsi l'esigenza di un discorso p1u organico su tutta la vallata, per inver– tire una tendenza che ha trasformato la val Polcevera in un cimitero di fab– briche (Mira Lanza, Bruzzo, Lo Faro, JI/Iolini Certosa, San Giorgio di Teglia). Paradossalmente si può affermare che l'alluvione ha prodotto fatti posi– tivi per la nostra delegazione. Senza dubbio i consiglieri di delegaz10ne ave– vano iniziato con il massimo impegno il loro mandato, ma con l'alluvione hanno avuto la immediata e dramma– tica presa di coscienza dei mali ende– mici della vallata. Tralasciamo di par– lare dell'organizzazione dei soccorsi, della riparazione dei danni e degli aiu• ti aaJi alluvionati, in cui peraltro i con– siglieri di delegazione (non tutti, però) hanno lavorato duramente, incontran– do notevoli difficoltà. Parliamo invece delle cause, quelle vere. Da più parti si sono dati giudizi fatalistici sull'al– luvione: nulla da eccepire sulla ecce- ISTITUTO DI CREDITO DI DIRITTO PUBBLICO Fondato nel 1539 Fondi patrimoniali e riserve: L. 94.294.650.546 DIREZIONE GENERALE - NAPOLI 493 FILIALI IN ITALIA SEDE DI GENOVA: Via Garibaldi, 1 - Tel. 20.97 Telex 27111 - 27145 NAPGENOA AGENZIE DI GITTA': N. 1 Via Gramsci, 85 r. - Tel. 292.983 N. 2 Via XX Settembre 123 r. - Tel. 52.994 581.432 N. 3 Via F. Avio, 22 r. - Ge-Sampierdarena N. 4 N. 5 N. 6 N. 7 N. 8 N. 9 Tel. 457.150 - 459.921 Corso Buenos Aires, 51 r. - Tel. 581.990 589.965 Via Orefici, 48 r. - Tel. 298.057 - 298.075 Via L. Pinelli, 4 r. - Te!. 589.772 Via G. Rossetti, 19-G r. - Ge-Ouarto - Te!. 395.584 Via Milano, 147 r. - Te!. 683.984 Via Parma, 23-25 r. - Ge-Pegli - Tel. 439.263 Filiali all'estero: Buenos Aires - New York Uffici di rappresentanza all'estero: Bruxelles - Bueno5 Aires • Fran– coforte s/m - Londra - New York - Parigi - Zurigo Corrispondenti: in tutto il mondo bibliotecag1nob1anco pag. 5 -- ---- - ''il - .. - • I ' LETTERE AlDIRETTO HA RAGIONE GLISENTI ci allontaniamo da questa verità, ci al– lontaniamo parallelamente da ogni possi– bilità di guarigione. SUL numero 956 del 1 gennaio _Giusep- pe Glisenti rilasciava al sett~rnanale « Il Mondo», una intervista .destmata a provocare una vera e propna tempesta di reazioni polemiche. Sopra~tutto _le or– ganizzazioni _sindaca~i si sei:iurono m d~– vere di reagire replicando m modo deci– samente duro. Glisenti in sostanza, non aveva fatto altro che' sottolineare, in modo fr~n·co ed aperto, una situazione che è ormai comu– ne, specie dopo 1:autunn~ c~ldo_, sulla bocca di tutti gli 1mprend1ton: cioè che non è possibile tenere le aziende pe~ma– nentemente sul piede della contrattazione senza a breve o a lunga scadenza, por– tarle 'alla crisi e, quindi, alla resa pro– duttiva. Un discorso chiaro, come si vede, e soprattutto estremamente conseguente. In una parola se non giochiamo sul tavolo della «produttività», noi rischiarn:o IlOf! solo di vanificare tutti i nostri nsult~u ma, peggio ancora, rischiaro? di pregiu– dicare il nostro stesso avvemre. Pare pe– rò che tanta chiarezza non riesca a dare i frutti sperati. Perché? _ _ Ecco la domanda che ancora oggi ci stiamo ponendo un po' tutti. D.3 qui_-:– dopo Glisenti - le « lettere» d1 Petnlh, di Carli, di Lombardi e di alt~i ancora: una coda polemica che fa chiaramente intuire che proprio questo sia il « passag– gio obbligato» davanti al quale neSSl:ffiO può, in coscienza, pen~are d~ sottrarsi. . A questo punto pensiamo sia necessario fare qualche considerazione che da tempo andiamo rimuginando nel nostro cervel– lo. Siamo anzitutto dell'avviso che non sia ulteriormente consentito « menare il can per l'aia», ma che, viceversa, sia giunto il momento di mettere tutte le car• te in tavola. La prima domanda che ci sembra lo• gico porre sul tappeto è dunque quest_a: perché gli operai (e per essi le or~amz• zazioni sindacali) sembrano recalcitrare davanti al discorso sulla « produttività»? In a1 tre parole: perché gli operai sem– brano scartare con evidente fastidio que– sto impegno puntando piuttosto sulla « contrattazione permanente» che Glisen– ti definisce il nostro rischio maggiore? Il problema della produttività non· è in– fatti di quelli che si possono eludere C?n artifici più o meno polemici: al centrano, è un discorso che va accettato per i suoi contenuti che non hanno certo bisogno d'essere richiamati o provati. Se viceversa attorno a questo discorso si tenta di «scan– tonare», una ragione deve pur esserci. Ma quale? A n·ostro personale parere la ri– sposta va ricercata più a fondo, va tro– vata cioè in quel fondo di inquietudine, di nervosismo, di insicurezza e, diciamo pure, di « non chiarezza » che, nonostante tutto, turba la nostra società. Diversa– mente ogni altra « spiegazione :i> ci porte– rebbe a concludere che siamo ormai sci– volati dentro le sabbie mobili del pater logico con· tutte le conseguenze che facil– mente si possono indovinare. Politici, economisti, sindacalisti, fanno forse di tutto per diffondere la convin– zione che basti un serio rispetto delle « buone ragioni » che si definiscono og– gettive, perché la macchin·a si rimetta in moto in maniera soddisfacente per tutti. Disgraziatamente l'operazione non è così scontatamente semplice. Non capirlo, o, meglio ancora, temere di doverlo ammet• tere, è contribuire alla confusione piut– tosto che alla necessaria chiarezza che af– fermiamo insieme di volere. Allora il punto non è più quello di ac– cettare o meno le ragioni indiscutibili del– la produttività, quanto piuttosto di ricer– care le autentiche ragioni di questa in– quietudine che ha ormai assunto i caratte– ri di un fatto clinico dal quale non ci si libera se non attraverso un fatto altret• tanto radicale. GLisenti mostra di stupirsi (ed ha ra– gione dal suo punto di vista) <:he gli ?Pe: rai dell'Alfa Romeo possano dire frasi d1 questo genere: .i; Quello che vogliamo è inventare un nuovo modo di produrre l'au– tomobile :i>. Ma quale modo nuovo ci chie– diamo noi? Che cosa sottintende veramente un'affer– mazione come questa? Ecco il vero in– terrogativo. Non è piuttosto più vero dire che « dob– biamo inventare un nuovo modo di con– cepire l'economia» quello che vogliamo segretamente esprimere~ 1 on è insomm~ la ricerca dì una « novità"' (ancora - ri– petiamo - tutta da inventare) quello che ci «condanna» oggi ad un comportamen– to che non possiamo non definire (come fa Giisenti) decisamente irrazionale? A n-ostro avviso il nocciolo della que– stione sta proprio qui. Sappiamo beni_s– simo che un discorso siffatto è proprio di quei discorsi che turbano profondamen– te le cosidette « anime semplici •, quelle use cioè alla matematica applicata all'uo– mo che tutto può essere salvo un essere dotato della logica dei computers. ç:>ra, ripetiamo, se il nocciolo _dell_aq1:1est1~ne risiede in questa innegabile mqwetudme che ci coinvolge tutti (Lombardi compre– so), perché non tent~re un _diverso n:iodo di porre sul tappeto 1 n·ostn problemi? La risposta, ahimè, è purtroppo sem– plice: siamo così radicalmente legati al– l'uomo vecchio (abbiamo dimenticato s_an Paolo?) che il solo pensiero di partorire l'uomo nuovo, ci mette in crisi e ci spin– ge alla ribellione, ci f~ gridare_ allo sc:1n– dalo, ci fa assumere 11 duro viso dell ar– me con tutte le penose conseguenze che già stiamo onerosamente pa~ando. , La « sfida che spacca le aziende • (cosi come Glisenti definisce la sfida sindaca– le), di fatto è la sfida che spacca tutta la nostra società e non solo la nostra ecer nomia. Ora non sappiamo se sindacati e imprenditori (per limitarci ai _maggior~ protagonisti del discorso) si siano resi davvero conto di questa verità. Non sap: piamo fino a che punto essi riten-gano d1 seguitare questo assurdo « tiro alla fune• che non vedrà né vinti né vincitori. Que– sta è la nostra vera, reale preoccupazio– ne. Siamo pronti infatti ad accettare tut– to ma non ad accettare il mutamento in atto. Qui recalcitriamo alla maniera già espressa da san Paolo. Qui perdiamo ter– reno perché giochiamo " fuori casa», in un campo che non è il nostro e quindi sen– za i nostri affezionati tifosi, sicché la par– tita ci appare già perduta in partenza ed è in un certo senso quanto mai vero. Ma tutto ciò può bastare a liberare le nostre coscienze? Questo il punto. Ma se a questa coscienza non· siamo neppure in grado oggi di approdare, allora ha r~~ gione Glisenti ed hanno torto gli altn. Ma ancora una volta non saranno né Gli– senti né gli altri ad avere in mano la carta del decollo e la fine che si prospetta in casi come questi è altrettanto semplice da profetizzare: resteremo tutti a terra a rinfacciarci sempre più rabbiosamente torti e ragioni senza che la tenzone possa mai farci sperare che, alla fine, il pitl for– te abbia ragione del più debole perché avremo perso non più soltanto una batta– glia ma la guerra stessa. FRANCO MORANDI Roma Il punto, in altre parole, è che « tutto non è economia» e che tutto n·on è dun– que riducibile ad un fatto economico. Se Morandi ci dice che il sindacato pa– dronale dell'industria di scaco dice be– ne. Il ministro del lavoro e il segre– tario del Psi affermano il contrario, come i lavoratori. Il problema concre– to è che non esiste oggi una iniziati– va politica concretamente riformatrice: il governo è a rimorchio di tutto. I sindacati si trovano così in una situa– zione insostenibile. Avendo assunto una funzione di mediazione tra lavoratori e governo, essi si trovano di fronte a un governo, capace di pro,nettere, ma incapace di dar garanzia di eseguire. Questa è la dimensione politica del problema, cui ci pare Morandi di fatto sfugga.

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