il Potere - anno II - n. 1 - gennaio 1971

pag. 6 il POTERE IL DISEGNO DI LEGGE SULL' UNIVERSITA' Una riforma inconcludente Gennaio 1971 re universitarie, attraverso la partecipazlo- ~----------------, ne di tutte le componenti che operano nell'università. alla sua gestione cultura– raie ed amministrativa. Anche il reclutamento dei docenti avreb– be avuto bisogno di un discorso chiaro ed approfondito. Si doveva tentare di rea– lizzare il superamento delle strutture ge– rarchiche, per rendere libera ed autono– ma la posizione di chi lavora nell'uni– versità, attraverso la istituzione della fi– gura unica del docente ricercatore a pie– no tempo; doveva in particolare essere soppressa la figura dell'• aiuto •, in quan– to ripropone una posizione subalterna, in netto contrasto col principio del docente unico. Inoltre nel disegno di legge doveva es– sere meglio chiarito il rapporto tra l'uni– versità, il Cnr (consiglio nazionale delle ricerche) e gli altri istituti di ricerca, al fine di garantire l'università come se– de principale della ricerca in Italia. In particolare avrebbe dovuto essere ~&~@IL@: @: ~@if@:~@: ~--------------------------------------------------' approfondita la questione del diritto allo DA pochi giorni è iniziata al senato la discussione sul disegno di legge per la riforma dell'università. Chi ricorda e ha vissuto le grandi agitazioni che ac– compagnarono la fine del precedente progetto di legge, non può non rimanere meravigliato di fronte all'indifferenza che accompagna questa discussione. Gli unici a dimostrare interesse ed attenzione so– no i docenti, i quali, più di ogni altro, at– tendono o temono qualcosa da questa legge. Quelle che mancano completamen– te sono le reazioni pratiche, da parte de– gli studenti, le prese di posizione, che in– vestano in primo luogo la riforma per il suo stesso proporsi e per il suo nucleo ispiratore centrale. Le uniche voci che si fanno sentire si limitano a valutazioni tec– niche e riguardanti punti particolari. In conclusione si è avuta una caduta di inte– ressi; gli studenti ritengono che la rifor– ma non li riguardi; in particolare la con– testazione studentesca ha cambiato aree e motivi di interesse e non si occupa più dell'università. La causa di questo fatto è chiara: da tempo gli studenti più avanza– ti si sono resi conto che una ipotesi ri– formista nella università attuale è priva di senso. Due, tre anni fa, nei momenti più caldi e confusi della contestazione studentesca si potevano individuare abbastanza chia– ramente due posizioni. Una di esse si li– mitava a proporre come obiettivo una ri– strutturazione dell'università, attraverso l'eliminazione delle più gravi disfunzioni, che si riscontravano nel suo ambito e naturalmente nel contesto più ampio del– la società. In pratica c'era una certa par– te che mirava unicamente ad una razio– nalizzazione delle strutture, mediante una riforma imposta dall'alto, nel tentativo di evitare un discorso più approfondito sul– le scelte e sull'influenza condizionatrice della realtà economica. Università e società L'altra linea, basandosi fondamental– mente sul fatto che università e società sono tra di loro in rapporto di interdipen– denza e di compenetrazione e che quindi non è pensabile una riforma isolata del– l'università, che non si accompagni ad un'azione politica all'interno della socie– tà, si poneva nella prospettiva della rivo– luzione immediata per distruggere le strutture esistenti, lasciando più o meno tacitamente sottintesa la ricostruzione fu– tura. Lo scarso impegno di questa parte di studenti riguardo il momento costrutti– vo ed il loro progressivo disimpegno dal– l'università è stato fatale. Infatti il dise– gno di legge attuale non si presenta altro che come una razionalizzazione, nel mi– gliore dei casi illuminata, poiché ha tenu– to conto di un certo numero di critiche e di osservazioni fatto al disegno di legge precedente. ma solo per quanto poteva– no inserirsi in una certa • linea• preco– stituita. Il disegno di legge non pare Idoneo ad eliminare le cause di fondo della lunga crisi che travaglia l'università italiana. Non è infatti possibile trattare tecnica– mente i problemi della riforma universita– ria in modo utile e chiaro, senza aver pri– ma approfondito i criteri essenziali su cui fondarla e senza proporsi il rapporto tra università e società. Si tratta quindi in primo luogo di esaminare e vagliare i problemi di una nuova didattica. La rifor– ma universitaria deve coinvolgere tutto il sistema scolastico, ripercuotendosi sulla struttura delle scuole medie inferiori e superiori. Inoltre l'universìtà deve essere democratica ed autonoma. onde porsi co– me ambito di critica e di verifica nel con– testo della società ed avere una funzio– ne anticipatrice di fronte al sistema. Ma il senso di una riforma dell'università presuppone soprattutto l'aver affrontato il problema della natura e della funzione della cultura e della scienza, del rappor– to tra teoria e prassi. Prima di una rifor– ma, bisogna ancora porsi il problema che l'università, centro vivo di cultura, deve rispondere alle esigenze dell'uomo d'oggi e quindi verificare le ipotesi, i valori, gli strumenti, capaci di dare delle soluzioni ai suoi problemi. Diventa allora inevitabi– le porre il criterio che nel metodo didat– tico sia presente un corretto rapporto fra cultura e politica, intendendo quest'ultima non in senso partitico, non come scelta ideologica precostituita o peggio come addestramento al potere, ma come sti– molo della capacità critica e creativa tan– to dei discenti quanto dei docenti. Infine occorre chiedersi se l'università debba creare ricercatori o professionisti; essen– do chiaro che deve fornire entrambi, por– re il problema della costante complemen– tarietà delle due funzioni nella società. Il disegno di legge attuale, invece, pare proporsi in forma particolare e quasi uni– ca una ristrutturazione dell'ordinamento vigente, senza affrontare i problemi di fondo, gli unici che possano risultare qua– lificanti. Per questo propone un tipo di università che risulterà incapace di por– si concretamente al servizio della collet– tività, restituendo a questo istituto la sua funzione di centro della vita culturale e della ricerca e rendendolo capace di as• sumere un ruolo di autonoma ed attiva in– cidenza nella trasformazione democratica della società. La questione del dipartimento Nel contesto stesso del presente di– segno di legge sono rimasti insoluti al– cuni problemi piuttosto importanti, e la cui più puntuale definizione avrebbe po– tuto meglio caratterizzare la riforma. Prima di tutto poteva esservi una mi– gliore e più precisa definizione delle que– stioni relativd al dipartimento; poteva es- l . Gennaio, 12 VIOLENZA E VIOLENZE. I liberi professionisti in partico– lare, per dlchiarazione del ministro delle finanze, presentano basse de– nuncie di reddito; apprendo da un quotidiano torinese che agli inizi del 1969 un clinico della città ha preteso per una visita di dieci mi– nuti la sommetta di lire 350 mila. Nell'attesa della riforma tributaria, è troppo chiedere a quanti tutt'ora sfruttano il prossimo con pratiche di violenza così bassa di plaudire con un più calcolato entusiasmo al– le grida dei vari Piccoli, Ferri e confratelli, a sentire i quali le uni– che violenze del paese sarebbero quelle di alcune fabbriche del trian– golo industriale? Gennaio, 17 SCIOPERO f FAMIGLIA CRISTIANA. Sappiamo tutti che ormai nel pae, se lo stato di agiatezza, anzi di ric– chezza, risulta così largamente dif– fuso per cui ormai sono ben po– chi - si potrebbero contare sulle dita di una mano - i disgraziati mortali che si trovano nella singo– lare necessità di mettersi « sotto padrone». Di conseguenza è abba– stanza logico che questi poveretti si vedano gratificati da condizioni di lavoro talmente rimunerative da essere ben presto presi da noia: per quanto essi spendano per i lussi propri e della famiglia alla fine del mese non riescono neanche a ve– dere intaccata la loro busta paga. Di qui la obiettiva necessità dello sciopero, il relativo taglio della re- b1b1otecaginobianco sere più chiaramente determinato il po– tere degli organi di governo dell'universi– tà ed in particolare del consiglio naziona– le universitario, che, in realtà, per quanto si può leggere, non è strutturato molto diversamente dal consiglio superiore at– tuale. Gli organi dl governo dovrebbero esse– re realizzati in modo che sia effettivamen– te possibile l'autonomia dell'università, intesa come autogoverno, come ampia in– dipendenza dal potere esecutivo e come piena libertà degli organismi universitari di elaborare i contenuti degli insegnamen– ti, i piani di studio e le modalità di svol– gimento della ricerca scientifica. Questi organi devono inoltre realizzare concreta– mente la democratizzazione delle struttu- DIREZIONEPOLITICA BRUNO ORSINI FILIPPO PESCHIERA DIRETTORERESPONSABILE ALBERTO GAGLIARDI INDIRIZZO: Casella Postale 1665 16100 Genova Aut. del Trib. di Ge,zova n. 14/70 del 4/4/1970 Una copia lire 100 Abbonamento annuo lire 1000 Il versamento va effettuato usufruen– do del c/c postale n. 4/6585 intestato a • Il potere• Casella Postale 1665 16100 Genova PUBBLICITA' L. 150 al mm/colonna Distributore: Tardito, via S Stefano 32 Genova Tipografia: Grafica BI-ESSE - Genova Telefono 58.18.60 AGENDA 71 tribuzione e, quindi, un ridotto as– sillo nelle spese. Si possono pertanto comprendere gli affanni di un buon Giuffrida che scomoda nella più diffusa rivista cattolica di questa settimana la scienza di un noto teologo per chie– dergli ragioni di un « fastidio » (stando così le cose avrebbe anche potuto interpellare uno psicologo) che lo prende ogni volta che si trova nella tentazione di scioperare, tentazione per vero alla quale !'in• terpellante finora ha saputo gagliar– damente resistere. « Non ho mai fatto scioperi ». In realtà lo stesso Giuffrida sembra già suggerire una risposta al teologo quando giustifi– ca almeno in parte le ragioni del « fastidio » con la riconoscenza che sente per il proprio datore di la– voro che appunto gli ha dato la possibilità di lavorare. Dopo ricerche ponderose, ma fe– conde, il teologo risponde con un lungo argomentare di un'intera pa– gina: il suo pensiero può essere riassunto in due fondamentali pro– posizioni: a) « è giusto che uno ri– fletta, anzitutto (la sottolineatura è nostra), sul rapporto personale verso il proprio datore di lavoro e la propria azienda». Passiamo l'af– fermazione ai milioni di lavoratori che nel corso di lotte secolari si so– no battuti per gli interessi dei loro compagni di lavoro: se fossero sta- studio. Deve essere superata la conce– zione assistenziale, come semplice elargi– zione di assegni di studio, riconoscendo invece il diritto di chi studia allo stesso trattamento che spetta ad un lavoratore, completando anche il sistema attuale del– l'assistenza individuale, con quello di più efficienti e funzionali servizi. Si tratta soprattutto di dare un senso all'articolo 34 della Costituzione e di farlo diventare operante. Esso afferma che • i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mez– zi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi •, ma la valutazione obiettiva delle capacità impone la neces– sità di creare le condizioni, perché tutti manifestino liberamente le proprie pos– sibilità. Gli attuali divari economico-socia– li creano oggi una disuguaglianza di par– tenza, che impedisce di attribuire alla • capacità personale • un significato cor– retto. Per rovesciare questa situazione si Impone una radicale trasformazione dei metodi di insegnamento, fin dalla scuola elementare, la quale deve veramente in– segnare a tutti e portare tutti allo stesso livello. Diritto allo studio Rimane poi il problema della maggiore disponibilità di denaro: non basta pro– grammare una maggiore spesa, senza chia– rire a cosa deve servire. Non c'è certo bisogno di moltiplicare infrastrutture bu– rocratiche, ma occorre creare grandi cen– tri di lavoro intellettuale, cioè bibliote– che e laboratori ben forniti, moderni ed accessibili a tutti. Può darsi che con uno sforzo costrutti– vo e creativo dei parlamentari, durante la discussione in aula vengano apportati al– cuni miglioramenti tecnici alla proposta di legge, ma essa, se non vengono af– frontati e studiati i temi di fondo ed alla luce di questì non si propongono scelte pratiche, non potrà costituire strumento di valida trasformazione dell'università, che la inserisca vitalmente, con una sua ragion d'essere, nella società italiana. Rosa Elisa Giangoia ti più attenti si sarebbero rispar- 1niat1 sacnflci e, a quanto se1nora, non pocne cadute mortall. 2) « per– ché mai bisognerebbe scioperare contro una impresa che tratta be– ne i dipendenti e li retribwsce e– quamente )); passiamo l'aftermazio– ne alla magistratura che alla luce di siffatti princìpi potrà ormai scio– gliere le riserve che ancora la tra– vagliano per affermare categorica~ mente l'Hlegittunità degli sciope– ri di simpatia, di solidarietà, degli scioperi contrattuali come quelli per le riforme, ad esempio. Gennaio, 22 LA STORIA A TARDA SERA. In incontri serali di amici ormai da tempo ritorna il problema di quale debba essere il futuro della politica della Dc nel nostro paese. Perché non cominciare il discorso col chiederci che cosa un domani resterebbe di democristiano nella società italiana se il governo dc della cosa pubblica dovesse più o meno all'improvviso finire? In qua– li correnti del pensiero economico e sociologico potrebbe riconoscersi l'apporto originale dei dc? Quali istituzioni culturali conserverebbero tale impronta? Quali forze si sen– tirebbero di dover mandare avan– ti la strategia sociale dei dc? In quali capitoli la scienza politica proporrebbe allo studioso l'espe– rienza politica democristiana (a parte, s'intende, il doroteismo che obiettivamente è all'incrocio di ap– procci, diciamo cosi, interdisci– plinari)? il malpensante DALL'AVVENTO del centro sini- stra in poi, il linguaggio della classe politica è diventato • pro– gressista». Parallelamente i discor– si culturali e le formule usate dai mezzi di comunicazione di massa si sono spostati • a sinistra •. Tut– tavia, negli ultimi dieci anni, l'as– se del potere economico e quello del potere politico non hanno cer– to subito, in Italia, sostanziali mu– tamenti, nonostante l'imperversare verbale del sinistrismo generico. Gli anni '60 sono stati, in Italia, quelli del quadripartito con il Psi, così come gli anni ·so erano stati quelli del quadripartito con il Pii. Essi ci hanno portato un unico mu– tamento di fondo: il nuovo ruolo del sindacato, venuto a collocarsi non più alla periferia, ma al cen– tro del sistema. Tale evoluzione, tuttavia, è da ascriversi più allo stimolo esercitato dalla contesta– zione e dalla sinistra extra-parla– mentare che non al le capacità rin– novatrici del centro-sinistra. Prova ne sia che il fenomeno si è verificato anche in Francia, nel- 1 'àmbito di un regime politico ben diverso dal nostro. La crescita del potere sindacale è, quindi, feno– meno europeo (e non soltanto eu– ropeo) piuttosto che effetto della formula di governo sperimentata in Italia dal '60 in poi. Il linguaggio politico di sinistra diviene del resto assai sfumato quando affronta i concreti proble– mi della proprietà e del potere. Paolo Bufalini, senatore comunista amendoliano, ha recentemente di– chiarato in un'intervista concessa al « Secolo XIX • che, in fin dei conti, i comunisti vogliono soltanto l'eliminazione della rendita fondia– ria e la nazionalizzazione dell'in– dustria farmaceutica: un program– ma da sinistra radicale, non da si– nistra comunista. Evidentemente il linguaggio è spesso strumentale a fini di pote– re. La realtà è che riforme vere, riforme che significano, sono pos– sibili solo là dove esiste una rea– le volontà popolare di giustizia (e non di semplice tutela di interessi prevalenti). quando lo Stato espri– me un popolo e non è degradato a faticoso punto di mediazione di interessi settoriali, quando il con– cetto stesso di " bene comune • non viene esorcizzato come mo– ralistico. Altrimenti si fanno sol– tanto le riforme pagate da tutti (come la fiscalizzazione degli one– ri sociali). perché quelle che toc– cano interessi organizzati di una qualche consistenza trovano uno stato incapace di superare le di– fese corporative. Il paese ha bisogno di civismo, ma i giornali ed i televisori del paese sono scuola di edonismo e di evasione. Lo stesso Pci non si sottrae al deterioramento del costume nazionale: identificare nel Pci la forza capace di rinnovare da sola il costume politico italia– no, significa credere nella befana. L'esigenza primaria del paese è di fare della moralità politica una istanza popolare : occorre che la coscienza di ciascuno avverta si– no in fondo la necessità d'impedi– re - sempre ed ovunque - che il potere di qualcuno confischi la libertà altrui. Altrimenti le tesi di sinistra continueranno ad egemo– nizzare le parole (la Tv, i giornali, il cinema, la letteratura), ma non le cose.

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