Fine secolo - 11-12 gennaio 1986

I FINE SECOLO* SABATO 11 / DOMENICA 12 GENNAIO 24 LA DISCRETA SIGNORA DEI GORILLA N on giunse mai ad accucciarsi in u·ngia– ciglio di foglie di lobelia (così fanno, ogni sera, i gorilla gorilla beringez). Eppure, la sua capanna, nascosta tra gli alberi di hageriia tropicale, non fu troppo diversa dal– la tana di una creatura del bosco. Imparò, que– sto sì, a cibarsi di sedano selvatico, di more, di ogni specie di felci (quelle che Linneo, due se– coli e mezzo prima, dedicava agli amici più cari, perché il loro nome restasse per sempre agli annali della storia botanica).. È possibile che, negli ultimi anni, avesse ad– dosso quell'«odore di muschio» di cui dice, spesso, nel libro Gorillas in the mist, parlando dei «suoi» gorilla di montagna, gli ultimi 240 al mondo. (Non è nebbia metaforica, mist,•ma il velo che offusca, nelle ore del mattino, la pic– cola s~izzera d'Africa, il verdissimo Ruanda). Dian Fossey, americana, assassinata dagli stes– si bracconieri che per quindici anni aveva sta– nato, insegujto, perché risparmiassero i suoi protetti, aveva 53 anni. Era «fuggita». Dagli . Stati Uniti, dàlla famiglia, dal lavoro di assi– stente e terapista degli handicappati; e da al– tro. Alle soglie -difficili, faticose, durissime, talvolta, per una· donna- dei quarant'anni. Come fuggono gli esploratori; le esploratrici. Aveva' modi asciutti da anglosassone: come · Gertrude Benham, andata a perdersi, sola, alla fine dél secolo scorso, sulle vette del Kiliman– jaro; per compagni, tutte le opere di Shake– speare anche i sonetti d'amore, il Kim di Ki– pling, [non a caso, un interminabile lavoro a maglia, come la tela di Penelope, e la Bibbia. Anche 1 Dian, a bord della jeep Lily, insieme alla pistola, portava con sé il Grande Libro. Come Mary Kingsley, signorina vittoriana ve- . stita di tutto punto, in piena foresta: una lunga gonna nera, la camicetta a collo alto; un om– brellino -immancabile- come· dovesse recarsi da un'amica a prendere il té. Come Beya Stark, oggi «insabbiata» ad Asolo, a novanta– tre anni la più grande esploratrice vivente; che mai -neppure sulle flessuose feluche, neppure · nelle tende beduine o a bordo di zattere incerte alla deriva sull'Eufrate- seppe rinunciare alle scarpe 1 che il Ferragamo di via Condotti, a Roma; disegnava e cuciva per lei. The gorilla giri, la ragazza dei gorilla. Così fu intitolata una poesia che il Times Literary Sup– plement le dedicò al posto della scontata recen:: sione. ,Sarebbe stato più giusto la.signora. «La vecchia signora ché vive.nella foresta senza µn uomo», le dicevano i neri che l'amavano, in un di ValentinaSAVIOLI misto di stupita reverenza e di ·timore, per quell_adonna coraggiosa e caparbia. Signora piena di grazia: anche in jeans, vecchi, logori, larghissimi jeans; fumatrice accamta; il contor– no degli occhi prematuramente segnato· da una giungla di piccole rughe; un sorriso sempre alle soglie -della fioritura; in tasca il milionesimo taccuino-degli appunti; in spalla un registrato– re. Signora per lo stile (ci vuole stile per vivere in una foresta), per la misura dei gesti, l'ele– ganza dei modi (ce ne vuole tanta per farsi ac– cettare da un gorilla). 'i>er la capacità dì com– prendere la «diversità» di una scimmia e per colmare la distanza -breve e incolmabile- che separa il suo mondo da quello degli umani. Nelle sere, dopo il tramonto -non rie perse uno, per tutti gli anni trascorsi in Ruanda: ne aspettava esordio e conclusione dentro la pic– cola casa, per goderne, chissà perché, dalla fi– nestra- con accanto la piccola scimmia (non un gorilla) e il cane bastardo (per riscattarne il se– questro, rapì, una volta, un armento di vacche dei nobili watussi), sedeva al tavolo pieghevole da campo ..E scriveva. Raccontava la storia dei gorilla. Attraverso di essa, la sua stessa storia - impossibile, negli ultimi anni, distinguerle- e la: loro storia comune. Una vicenda d'amore; il racconto di una passione inarginabile, eppure contenuta: fatta di sguàrdi brevi, di lunghi ap– postamenti, di lontani sospiri; e di rispetto e comprensione, profonde e reciproche. Dian·Fossey aveva la leggerezza di un poeta ·e la soppÒrtazione (quando si tratta di un esplo– ratore, gli ·inglesi la chiamano endurance), di ·un Livingstone. Scienziati uomini l'avevano preceduta. Il dot– tor Leakey, suo maestro e mecenate dello spiri– to; George Schaller, illustre gorillologo. Tutti grandi, tutti «all'altezza del compito». Ma a lei dobbiamo qualche cosa di più, di diverso. Lei ci ha detto i gorilla come individui. Ciascuno con la sua storia, un nome -Beethoven, Puck, Marchessa, Icarus, F:lossie-;per ciascuno un'a– nima. Ogni gorilla con modi, espressioni «fac– ciali», gestualità, propri. Unici e irripetibili, di– remmo per un umano. Unici e irripetibili -ce lo ha insegnato Dian Fossey- anche per un goril– la. Dian che si perde nell'abbraccio possente di un gorilla capo-gruppo, un silver-back (così si chiamano, «dorso d'argento», perché, da vec– chi, non diventano solo saggi, ma canuti); Dian che gli carezza il ventre e lo solletica («i gorilla», spiega, «adorano farsi il solletico a vi- .. cenda e ne ri<;lono,ne godono ...»); Diari che muove il mondo intero contro la cieca bruta– lità di qualche cacciatore in cerca di testicoli di gorilla, da rivendere, a caro prezzo, a chi cerca il vago miraggio della perduta virilità. Dian delle metamorfosi; Dian dei gorilla; Dian che lentamente si trasforma in gorilla; Dian-goril– la; il gorilla Dian ... È stata crudelmente breve la sua ·vita. E la sua morte è una sconfitta. Per tutti quelli che spe– ravano (si illudevano) che al mondo ci fosse posto anche per tutte le poche, le tante, le Dian che ci sono e ci saranno. Ma ha fatto in tempo a vedere (perché sapeva vedere) cose che nessu– no aveva visto: che i gorilla soffrono di depres– sioni nervose; che, talvolta, piangono; che, proprio come gli umani, somati~no le loro paure, in nobili e ignobili mali (anche la colite da spavento); che sudano, di fatica e di stress; che ridono; amano distendersi al sole; cono– scono l'arte di consolare e, persino, certe im– provvise, immotivate, malinconie. Che accudì- • scono i propri e gli altrui cuccioli fino all'età di otto anni. Che, per tutta. la vita, mantengono legami strettissimi con la comunità familiare e di clan; e che, se un componente la tribù è am– malato o ferito, riducono g!i_spostamenti (i go– rilla «migrano», di qualche chilometro, ogni giorno, per trovare il cibo), perché il parente più debole non si affatichi. Li ha amati, i gorilla. Ma senza ingerirsi nella loro privacy naturale. È stata testimone discre– ta dei loro amplessi; di. nascite, graviçlanze, morti. Senza interferire. E stata capace, persi– no, di resistere al desiderio (e non è poco), di salvarli (non dalla furia degli uomini, da que– sta· seppe difenderli), ma dalla durezza degli elementi. E dalla morte per malattia; e dalla rabbia che, qualche volta, un gorilla accecato di gelosia riversa su altri gorilla ... Nel secondo Libro della giungla di Rudyard Kipling c'è un racconto, Il miracolo di Purun Baghat, che dice parole che si possono dire an– che di Dian Fossey. Racconta di un bramino, un colto e raffinato primo ministro indiano, deciso ad entrare in comunione, quasi in sim– biosi, con la natura. «Quasi tutti gli eremiti», scrive Kipling, «quasi tutti gli uomini santi che vivono lontano dalle grandi città, hanno fama di riuscire a operare miracoli con le creature selvagge. Ma il vero miracolo sta nel saper restare immobili, nel · non fare movimenti bruschi. La vera magia è nel saper aspettare». Come Dian.

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