Fine secolo - 11-12 gennaio 1986

il tempo di perdere fillusione, nata nel 1956 con l'arrivo al po– tere di Gomulka, che il sistema potesse essere riformato. Ma quell'ambiente restava sempre molto lontano dai problemi che assillavano la maggiora.ma della nazione, molto lontano dal suomodo di pensare e di vedere le cose. Si diffidava delle aspi– razioni nazionali perchè vi si fiutava il virus nazionalista; si ac– comunava la chiesa all'oscurantismo retrogrado; si andava in estasi di fronte all'opera del giovane Marx, di Rosa Luxem– burg, di Gramsci o del giovane Lukacs e si scatenavano batta– glie politiche attorno a Trotski o a Bukharin. Con la più grande attenzione si leggevano, nelle pagine di politica internazionale dei giornali, le informazioni sulla politica dei comunisti italiani guidati da Togliatti o sul_dissenso tra Mao e Kruscev. Nulla po– teva essere più estraneo, se non più ostile, al popolo polacco. Il primo ad innalzare Adam al ruolo di leader della sua genera– zione, fu il potere. Era il 1968. Un potente movimento sismico sembrava scuotere paesi molto lontani gli uni dagli altri. La Po– lonia non faceva eccezione. Si sentiva che la situazione doveva cambiare. Gli uni, e in particolare gli intellettuali, vivevano do– lorosamente la lenta normalizzazione senza spargimento di san– gue che aveva piano piano preso il posto delle pazze speranze del 1956. Gli altri, e in particolare una gran parte dell'apparato, volevano farla finita con i residui del liberalismo e sgombrare la generazione precedente che bloccava l'accesso alle delizie del potere. Questa doppia spinta alla .i;esadei conti sfociò negli av– venimenti del marzo 1968, allo stesso tempo rivolta studentesca e "rivoluzion! culturale" condotta dagli elementi più oscuranti– sti del partito. Le vittime furono ,gli ebrei, costretti all'esilio, e la cultura e la scienza polacche, da.1tnate dalle destituzioni di pro– fessori universitari, giornalisti e artisti. Il potere attribuì la principale responsabilità degli avvenimenti alla cerchia effervescente e ribelle che si muoveva intorno a Ku– ron, Michnik e Modzelewski. In effetti erano stati loro i primi a dar vita ad azioni di protesta all'Università di Varsavia, che a loro volta avevano determinato un'ondata di manifestazioni in tutti i centri universitari della Polonia, mentre gli iniziatori si trovavano da un pezzo in prigione. Essi diventarono anche dei personaggi-chiave e dei simboli del mo-vimento grazie in gran parte alla propaganda ufficiale che concentrava su di Ioroil tiro e sottolineava, ogni volta che poteva, la risonanza all'estero dei loro nomi, la loro razza non ariana o anche i loro legami col mondo dei privilegiati. Paradossalmente, Adam era già un uomo celebre, simbolo del– l'esperienza vissuta di tutta una generazione, quando cominciò la sua vera eoucazione politica e la sua ascesa verso il ruolo che gli sarà proprio negli anni 70. (...) (traduzione di Vincenzo Buglioni) I quadririprodotti SODO di Stanislaw Wyspiansld(1869- 1907). Nella foto dellapagina accanto,una pellegrina e una residentea C7.e5tochowa. FINE SECOLO* SABATO 11 / DOMENICA 12 GENNAIO L'ironia dell'esilio, il coraggio di restare. di Claudio MARTELLI Q ualcuno ha ·evocato,' a proposito di Michnik, il nome di Carlo Rosselli. Non avesse altre ragioni, il confron– to varrebbe a mettere in risalto lo straordinario corag– gio di Michnik. Alieno com'è dalla iattanza, il coraggio di Mi– chnik s'impone come qualcosa di cui sapevamo, ma rischiava– mo di perdere la memoria. Le offese alla libertà neil'altra Euro– pa ci hanno rese famigliari le fisionomie acute e fiere di tanti oppositori. L'esilio nella nostra parte di Europa, troppo pro– tratto, le ha lavorate coi lineamenti dell'amarezza, o, più spes– so, dell'ironia. L'emigrazione cecoslovacca soprattutto ha tem– perato l'amarezza con l'ironia con risultati di vera grandezza. Ma Michnik, pur con la sua faccia arguta e irridente, riapre un altro registro fisiognomico. Una solennità e un ardimento di al– tri tempi ricompaiono in lui, tramutando lo scandalo della per– secuzione e della detenzione in una degnità: come se il carcere gli si addicesse, lo rivelasse, e attraverso lui rivèlasse ai suoi connazionali la propria anima migliore. Quello che ho IJtto di Michnik mi ha colpito insieme per la solennità e la mancanza di retorica, la levità, quasi. Prerogativa di qualcuno fra i suoi pa– dri spirituali, come quel Milosz che non esita a suscitare a suo riguardo il paragone con Gandhi, solennità e leggerezza sem– brano essersi somatizzate in Michnik, allargate dalla scrittura alla persona, a un modo di muoversi, di vestirsi, di sorridere - e di agire: com~ nel famoso episodio dei poliziotti salvati dal suo intervento, con l'autopresentazione "sono un elemento antiso– ciale". "Inorganico" fin dal sorriso, Michnik è stato reso dalle imputazioni ufficiali "capo" del movimento sindaèale. Non è il solo, nè il maggiore dei paradossi particolari realizzati dal gene– rale paradosso polacco. Rifiutando una secolare - e illustre, spesso - tradizione di esilio, Michnik ha pubblicamente tolto, nel 1984, ai regime la speranza di liberarsene barattando la scarcerazione con il "soggiorno temporaneo" all'estero. Con quel rifiuto, e con le motivazioni che lo accompagnarono, Mi– chnik, ebreo, intellettuale, di sinistra, non credente - tutto ciò insomma che è più "impopolare", è diventato definitivamente un personaggio leggen_dario per la gente in Polonia. Da ogni aspetto del paradosso polacco Michnik ha saputo trarre una le– zione nuova e originale: e, al tempo stesso, la s:ua lezione riesce a dimostrarsi illuminante e appropriata in situazioni, compresa la nostra, apparentemente tanto diverse e più moderne. Dall'e– sperienza di un regime incapace di aprirsi alla società, Michruk ha derivato l'affermazione della resistenza come fatto etico, e l'appello a una società che sappia autorganizzarsi, imporsi dei limiti, e imporre dei limiti al potere. Dove i comunisti hanno rinfocolato l'avversione polacca contro la Rus~ia, il prigioniero dei comunisti Michnik ha parlato e scritto in modo da riavvici– nare la cultura polacca a quella russa, e in generale per opporsi a ogni forma di xenofobia. Ebreo, e comunista per famiglia e formazione, Michnik ha riannodato i fili del dialogo con la chiesa polacca e con la storia nazionale. In questo intellettuale avverso a ogni chiusura mentale, dai jeans massicciamente arro– tolati, parole come "avi" e "antenati" ricorrono senza retorica e senza falsi pudori. "Gli Avi", è il titolo del poema nazionale di Mickiewicz dal cui divieto av.eva preso avvio il '68 polacco. "L'ombra degli antenati dimenticati", è il titolo, anni dopo, di un saggio di Michnik sulla storia nazionale che fece scandalo a sinistra per la sensibilità alla 'nostalgia' verso padri della patria ufficialmente rimossi. In questo trapasso dal primato dell'ironia a quello del coraggio sta il succo migliore di un'esperienza come quella·polacca, che, per la prima volta, ha potuto e saputo uscire da un'alternativa ~a. dal "tutto o niente", dal vicolo cieco in cui all'eroismo è costretta a succedi:re l'ironia. Che risultato pieno di speranza che una generazione come quella di Michnik, a differenza di quelle che l'hanno preceduta (e preparata), possa restare in pa– tria e scelga di restare, e faccia persino della prigione un centro di attività e di iniziativa culturale. La persuasione dominante fino ad allora, che le condizioni del "socialismo reale" conge– lassero l'opposizione nell'alternativa ottocentesca fra rivoluzio– ne e riforma, in Polonia, e in Michnik più compiutamente e tempestivamente, si è mutata nel contrario. Proprio il "sociali– smo reale" - l'automatismo, insomma, della repressione armata sovietica - mette fuori causa quell'alternativa. La rivoluzione non può che innescare quell'automatismo. La riforma è invece auspicabile e possibile (Michnik continua a essere socialista e ri– formista) ma non "dal di dentro" del sistema, secondo l'illusio– ne e l'autoinganno 'revisionista', bensì attraverso la strada mae– stra dell'auto-organizzazione della società. Su questo piano av– viene la rivalutazione e l'incontro fra Michnik (e dietro di lui tanti iJ.ltri,compresi i più ortodossi 'veri marxisti' originari) e la Chiesa cattolica, soprattutto nella sua capacità di aderire alla società civile e di tutelarne l'indipendenza. Al tempo stesso, l'appello alle risorse autonome della società civile si accompa– gna a una specié di rigorosa flessibilità nel confronto e nella pressione sul potere statale. Perfino il giudizio di illegittimità verso quest'ultimo non diventa una ragione più o meno com– piaciuta o dolorosa di autosufficienza. I comunisti, per Michnik (ma già prima, straordinariamente, per il Milosz della "Mente prigioniera") non sono "bestie sanguinarie" prive di ogni capa– cità di ragione e di ragionevolezza: l'appello alla possibile ragio– nevolezza di ogni nemico è al fondo del pensiero di Michnik, ed è la premessa della possibilità della società di imporre in qual– che misura la sua volontà. Facendo di necessità virtù, l'opposi– zione polacca nel pensiero di Michnik, e nella parte migliorè e più irreversibile dell'esperienza di Solidarnosc, abbandona il primitivismo della democrazia diretta e_ soprattutto l'impotenza di una definizione del totalitarismo senza varchi e senza possi– bili riduzioni. Per questo insieme di convinzioni la sostanza mi– gliore della recente storia polacca può chiamarsi "postsociali– sta" - e non certo perchè il socialismo abbia çessato di essere un'ispirazione e un orizzon_tepositivo, tant'è vero che Michnik resta un socfalista; ma perchè lo statalismo socialista vi ha con– sumato senza residui il proprio fallimento, e la velleità delle sue forme varianti. Se non temessi d'esser frainteso, come chi non apprezzi abbastanza l'immenso privilegio di cui, oggi e qui, go– diamo, direi che, al modo in cui Michnik decide di immaginare se stesso come se fosse il cittadino di un paes<;libero, potremmo utilmente spingerci a immaginare noi stessi "come se" fossimo i cittadini di un paese in cui la libertà non è un dato - e di un mondo il cui grado di libertà dipende in ogni punto da ciascuno di noi. Al socialismo çlal volto umano, se allo slogan si sostituisca il senso impregiudicato delle parole, stanno bene i tratti seri, alle– gri e coraggiosi di Adam Michnik. li dialogo fra lui, e gli altri • come lui, e noi, è ancora pieno di promesse. La scelta di Mi– chnik di essere comunque un uomo libero consente che il dialo– go comunque non si interrompa. Questo non riduce di un millimetro l'urgenza che quest'uomo libero venga liberato.

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