Fine secolo - 23-24 novembre 1985

. . FINE SECOLO* SABATO 23 / DOMENICA 24 NOVEMBRE 1s· mente, e che si ripropongano non solo ogni giorno individualmente, come problema e come irriducibilità al dominio pedagogico, alla più seria, sensibile, democratica pedagogia. Ma sono ragazzi anche nel senso che cresce– ranno, invecchieranno, e gli si deve augurare (e aiutare) che restino sempre anche ragazzi e non si precipitino a indossare maschere adulte belle e confezionate, magari più attraenti perché loscamente giovanili, e che portino con sé la contraddizione giovane-adulto. Detto questo, mi devo difendere costante•,1en– te dalla tentazione di veder cose già noie. che passeranno, oppure vedere nei comportamenti giovanili nient'altro che la ricaduta di modelli indotti dalla società adulta, proposti da mode e mass media, pubblicità, merci ... Eppure, tutto questo c'è, ma si tratta può sem– pre del materiale a disposizipne con cui espri– mersi. Certo, potrebbe essercene di migliore. E continuo ad avere una confessata antipatia per tutta la produzione di merci, idee, modelli ad uso programmato dei giovani (e bambini). Se potessi, francamente, impedirei ogni forma di pubblicità rivolta ai minori, anche perché da sempre vi ho· vista. attaccata la mia patria po– testà. Non possiamo fare a meno dei giovani, ma non c'è alternativa per non perderli e per non perdersi, all' andargli dietro dove li porta– no forze che sento come loro nemiche? In realtà, non sto che descrivendo l'estrema for– ma della contraddizione giovane-adulto. Ma sento in me una gelosia che mi porterebbe a to– gliere di mezzo chissà quanti adulti, perché an– ch'io ho urta mia immagine dell'adolescenza e dell'Ìnfanzia da proiettare. Si tratta anche di · una lotta fra adulti per accaparrarsi i giovani, per rivivere di continuo con loro altre adole– scenze. Non credo che ci sia una soluzione net– ta e definitiva, m_a un continuo attestarsi e muoversi, modificarsi restando uguali e vice– versa. Come quando si insegna e si riscopre con gli alunni ogni volta quello che si sa già (e quindi si impara da loro), si riscopre il mondo come se non· lo si conoscesse già, ma pronti in ogni caso ad assicurare la guida della certezza, del noto. Sono convinto che rispetto a questa delicata contraddizione tutto sia già nel meto– do di Socrate. E guardo con orrore al farneti– care che si fa di tecniche didattiche, strumenta– zione, docimologie ecc. Sentite, quale-esempio occasionalissimo, come si esprimono le tesi della CGIL-Scuola per il prossimo congresso: «La didattica ...deve trasformarsi in un proces– so complesso a cui concorrono in maniera si– stematica tutti gli operatori scolastici, collocati concret~mente in una unità scolastica: una vera e propria arte comunicativa .in equilibrio fra apprendimento e socializzazione, tra velo- · cità nella manipolazione delle informazioni e approfondimento critico dei modelli e dello sfondo delle conoscenze. Solo a queste condi– zioni è possibile risolvere il problem.a decisivo della valutabilità del prodotto scolastico». Che Dio protegga i ragazzi. Vorrei dire qualcosa sulle considerazioni svolte qualche giorno fa su Reporter dal suo diretto– re a proposito degli insegnanti. Mi semhrano molto di maniera e gratuitamente cattive e am– miccanti a una alternativa non dichiarata, ma daia per nota, che, se richiesta, credo sarebbe un esercizio retorico. Non ho molta stima, me– diamente, degli insegnanti, dal nido all'univer– sità (ma ne ho ancora meno per i medici, per esempio, o per altri professionisti), ma le criti– che SOIJO dtsolito ipocri1i perché dovrebbero rivolgersi al modo con cm un'Intera società o civiltà si pone il problema dei ragazzi e della educazione, delle energie che vj convoglia: del– la tensione che vi dedica, delle priorità che si pone, di come esprime dal pro~rio seno la de– lega ad insegnare e a educare, di come funzio– na, questa civiltà, fuori della scuola. Una so– cietà, speciahnente ora quella di massa con una scuola di massa, che consegna i propri figli agli specialisti, gli dice "occupatevene voi, noi abbiamo altro da fare", e poi non sa fare altro che esprimere cattiveria subalterna, tutta occu– pata a inseguire le puttanate di una civiltà che con tutto il suo giovanilismo violenta i giovani più di quanto nessuna abbia mai fatto. E so– pravvive, intanto, la vecchia i~magine dell'in– segnamento come "mestiere infame e necessa– rio"; e nello stesso tempo, però, ci deve essere anche dell'.invidia per chi sta in]siemecon i gio– vam. Ritorno brevemente alla citazione di Voltaire per dire che non si riesce a coltivare l'orto sen– za alzare anche lo sguardo al <iilà della siepe che lo chiude, specialmente se lsull'orto nbn si esercita una proprietà assoluta, se si sa·che noi si passa e l'orto resta, che in quell'orto è incor– porato il contadino che v~ha lavorato prima di me, se si sa che l'orto ha le sue proprietà cui deve subordinarsi la mia proprietà. Noie loro Sonia Villone, insegnante di diritto, economia e scienzè sociali, istituto professionale «Aldini Valeriani». Bologna. E' difficile comprenderli. tentare di farsi un quadro dei -loro interessi, problemi, limiti, sen– za sovrapporsi a loro. Gli studenti sono "al-– tro" da noi, vanno capiti nella loro soggetti– vità, non per quanto assomigliino a come era- - yamo noi. E la scuola non é ililuogo che loro scelgono per esprimersi, non é fatta per questo. Ci sono momenti rivelatori: la loro simpatia, la voglia di scherzare, un improJviso e imprevi– sto interesse, talvolta la riflessione personale sul corso di studi e la amara coscienza di aver sbagliato la scelta a 14-15 anni. Ma sono "bar– lumi". Il· normale atteggiamento, il più diffuso é la accettazione dell'istituzione così com'é- e dei ruoli rispettivi. Agli insegnanti chiedono ordine ed efficienza: ''Ci dica tosa dobbiamo sapere e come (per avere la sufficienza)". E c'é la loro incredibile capacità di ripetere le parole n_ostreo del libr~ testualmen_te. ,\i;;· ~assiv_ità,di- . s1mpegno? Nell'1st1tuto negh u1t1m1anm la se– lezione raggiunge quasi il 40% all'anno. Nelle assemblee gli studenti hanno discusso della giustificazione delle assenze, dei permessi brevi (di entrata o uscite) che son1 troppo pochi; sembrano mettere al centro del loro confronto cori la scuola un problema di piccoli spazi per– sonali. "Piccoli" secondo noi: ci stiamo so- - vrapponendo a loro? In effetti ci piacerebbe che mettessero in discussione altre altre cose: il, ruolo dell'insegnante, della scuola, cosa e come studiare; servirebbe sicuramente a noi ma an– che a loro. Prevale invece l'accettazione. C'é chi lo interpreta come rassegnazione: "tanto alla fine ha ragione chi decide ii voto". Ma adesso é già così: Ci preoccupa invece il giudi– zio che talvolta emerge sugli insegnanti: piace di più, cioé dà più affidàmento chi é preciso e certo nelle affermazioni, non sollecita dubbi, giudizi o momenti· di riflessione autonoma; alla fine è più utile un insegnante che dia ga– ranzie istituzionali e (sarà un caso?) chi ricopre ruoli che loro conoscono bene: il professore piace spesso più della professoressa (è visto come un tecnico, una guida migliore, che sa di più ed è più professionale), la professoressa piace se è materna. Sono figure che ricoprono ruoli che competono loro e danno certezza, funzionano. Sembra, dunque, che agli studenti piacciano le figure più istituzionali e, guarda caso, in queste settimane alla Istituzione piace usare il movimento degli st denti. Forse celafanno Sandra Chighizola. insegnante di lingua tedesca presso l'Istituto «Leonardo da Vinci», liceo scientifico, Trento Sanno stare insieme, stanno bene insieme, si divertono: questa direi, la caratteristica princi– pale dei ragazzi '85. Anche qui come nelle altre città italiane hanno sfilato in tanti, .tremila, per una città come Trento dècisamente tanti, tra queste strade ormai ricoperte di foglie, con il primo freddo, il naso rosso e un grande sorriso sulle labbra. Al profano, anche se docente e per di più doc ('68), tutto ciò sembrava un grande gioco, un grande appuntamento per un concerto rock, per una grande festa. Gli slogan facili ed orecchiabili, più simili talvolta a slo– gan pubblicitari che a messaggi politici, risuo– navano tra queste vecchie case serie ed oscure; il rumore chiassoso di queste voci giovanili ha sv~gliato più di un passante. E tra questi pas– santi anche noi, a dire il vero anch'io con l'o– recchio teso e lo sguardo curioso verso i cartel– li; cercando forse, da buona nostalgica, qual– che frase uguale a quelle di alcuni anni fa, qualche obiettivo già "sentito", qualche suono "conosciuto", ma lontano 'Della memoria. Qualche fazzoletto rosso, qualche pugno alza– to. E invece no, questi ragazzi sono diversi, pa– role quali lotta, potere, capitalismo, sono to– talmente estranee al loro vocabolario, ci comu– nicano una diversità totale, mescolati ma di– versi, con tanta voglia di essere uguali, ma dove e come pare proprio lo scelgano loro! In questi loro gruppi non mi pare di vedere un grigiore, una pesantezza ~he faceva parte di noi, tutto era così profondamente "politico". Non li sottovalutiamo questi giovani '85, così seriosi e così divertenti. Hanno l'aria di farce– la. Le foto cbe illustranoqueste pagineritraggono alcune giornate nella lita scolastica di - nostra prwosa collaboratrice, la professoressa Ida Aragona. riconoscibile dalla permanenza di fronte al contorno di àbmni e collegbi, di passaggio .da una foto all'altrLOggi la nostra amica è felicementee attivamente in pensione - ma scootornata.. · Diluce riflessa Mario Salomone, insegnante di Lettere, Diret– tore di Rossoscuola, Torino Reporter chiede agli insegnanti di venire allo scoperto sull'attuale movimento degh studenti. Molte persone, esterne alla scuola, in questi giorni fanno qualcosa di analogo: approfittano di cene e di incontri per chiederci di parlare dei giovani che hanno stupito l'Italia. Uno degli effetti, positivi, delle lotte che hanno portato in piazza centinaia di migliia di ragazzi delle se– condarie superiori e dell'università è di ridare, per così dire, «prestigio» e rilevanza sociale al discorso scuola. Il bubbone era lì; infetto e pu– rulento, da anni, ma nessuno sembrava -accor– gersene. Ora, finalmente, la scuola guadagna le prime pagine di giornali e riviste, ottiene le di– rette Tv, strappa imbarazzati elogi al Palazzo (chissà perché, mi- fa venire in mente di quando il viceré di Napoli blandiva Masaniello). Le parole non costano e probabilmente restere– mo, insegnanti e studenti, in attesa ancora a lungo dei miliardi necessari per aule, palestre, laboratori, servizi, stipendi decenti. Ma è c<r munqùe importante che si cominci a parlare del sapere e della funzione dell'istruzione, in questo scorcio di fine secolo. E pazienza se è un po' patetico che gli insegnanti si scaldino solo al calore riflesso degli studenti. Come vedo io i giovani dell' «85», nel mio la– voro quotidiano di professore in un istituto su– periore? Belli e simpatici, come sempre. Ma questo è un giudizio estetico. Diciamo allora che li vedo intenti a imparare l'abbiccì della politica: devono proprio capire tutto ed è nor– male che sia così. A organizzarsi, a discutere, a distinguere amici e nemici, ad articolare gli obiettivi. Gelosi della propria indipendenza, attenti a non farsi strumentaliz7.are dai giochi di partito, giustamente diffidenti di burocrazie e ideologismi: la concretezza. è la loro fona. Non sono, ~omunque, molto diversi da prima: non hanno sfoderato sguardi vibranti e voliti– vi, rispettabili bicipiti, toni solenni. Quello che brucia nelle scuole non è il fuoco di una rivolu– zione rigeneratrice, ma qualcosa di molto più semplice e perciò forse più destabilizzante per il Palazzo: la ricerca di una identità di giovani e di studenti, il gusto ritrovato di essere insie– me a lottare, il piacere di smentire i «lookolo– gi» e i profeti del disimpegno e di confermarsi un soggetto sociale e politico cui dobbiamo ri– conoscimento e rispetto. caroamico ti scrivo Sandro Baldi, 36 anni, insegnante di filosofia e storia, Liceo scientifico« Via della Farnesina» di Roma Sono rimasto molto colpito dalla passione e dalla generosità con cui studentesse e studenti (di ogni tendenza «ideologica») del mio liceo si sono dati da fare non per rispondere a delle domande, bensì per scrivere (dico SCRIVE– RE) la loro idéa su quanto vivono oggi nella scuola (Fine Secolo di sabato 16 novembre). Mi vengono in mente due considerazioni. La prima riguarda l'uso libero e motivato ((della penna e del foglio». Lascio a psicologi ed esperti della comunicazione la spiegazione di questa scatenata voglia di scrivere. Io, come insegnante impegnato ogni giorno con questi giovani, formulo solo questo interrogativo: (<Un'abilità fondamentale come lo scrivere. per liberarsi ed esprimersi, ha più bisogno di risor– se tecnico-materiali o di slanci, desideri, e in definitiva risorse umane?» (Perché non lancia– re l'idea che le lettere pubblicate su Reporter valgano come segnale concreto utile per una ri– forma dell'elaborato scritto ... il tema?). La se-

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