Fine secolo - 21-22 settembre 1985

Il borsellino lusitano di Aligi PONTANI M entre ci immergevamo nel delirante caos del mercato, mi chiedevo insi– stentemente dove eravamo capitati, a che punto avevamo lasci~to l'Europa,. in quale momento ne avevamo perso le tracce. Perchè, pur avendo trascorso 25 giorni da sel– vaggi, piantando le tende dove ci sorprendeva la notte e rifuggendo istintivamente l'impatto con le grandi città, mi sembrava impossibile che nei pochi chilometri che separano la Spa– gna dal Portogallo lo scenario potesse cambia– re così radicalmente. Eppure, la nostra non do– veva nè voleva essere una vacanza impegnati– va, non ci andava di sentirci oppressi dal ruolo di turisti, sempre alla ricerca affannosa di spie– gazioni, di interpretazioni arbitrarie e frettolo– se di ciò che vedevamo. Nei duemila chilometri di costa atlantica che avevamo attraversato, soltanto tra i baschi della provincia di S. Seba– stian , dove bisognerebbe bendarsi gli occhi per evitare l'impatto con le rivendicazioni etni– che, politiche, linguistiche dei locali, avevamo avuto l'impressione di trovarci in una fettina d'Europa dove i nostri normali parametri ri– sultavano fragili, deboli; ed era quasi impossi– bile non provare un senso di disagio ogni volta che, in un qualsiasi bar di paese, la diversità dei baschi ci veniva riaffermata attraverso le occhiate severe che dovevamo subire. Non eravamo, dunque, a caccia di paragoni. Ma arrivando a Porto, e soprattutto in quella breve ma intensa passeggiata attraverso i vicoli della città vecchia, abbiamo avuto immediata– mente e simultaneamente la sensazione di. es– serci perduti, cioè di aver perduto la nostra fa– miliarità con il continente. E dèntro quella vita di vicolo, con grappoli di bambini intenti nelle attività più incredibili, le case fatiscenti sgreto– late dall'incuria e dal tempo, le mille attività domestiche esercitate sotto gli occhi dei pas– santi, nella penombra un po' angosciante, era davvero impossibile non sentirsi degli estranei, non tanto per il nostro ruolo di turisti, quanto per il nostro essere europei, ma di un'Europa diversa. Il disagio che cattura chiunque sbatta contro. la violenza della povertà. Così, mentre Laura continuava a trovare ana– logie con le città sudamericane nelle quali ave– va vissuto l'anno scorso, rivedendo in quei bambini abbandonati alle loro attività gli stessi stradaioli del Perù e della Bolivia, io continuà– vo a chiedermi co~e mai quella città così vici– n!l alla Spagna e dal passato così glorioso fosse così diversa, così estranea, così profondamente isolata rispetto alle altre grandi città europee. Più in basso, nel vicolo, Federico cercava di di– fendersi come poteva, gentilmente, con dolcez– za, dalle troppo insistenti preghiere di un si– gno_redi mezza età che voleva vendergli il suo malandato portamonete nero, spiegandogli che era un oggetto utile, indispensabile, prezio– so. Ecco, forse, il Portogallo: il borsellino vuoa to dell'Europa. Un matematico a Coimbra di Marcello GALEOTTI S ono stato in Portogallo, ne{ primi di settembre, in occasione di un congresso di matematici a Coimbra. C'ero già sta– to dieci anni fa. nell'estate del '75. yu.indo si decidevano le sorti di quella che allora s1 chia– mava la rivoluzione portoghese; e rho truvato, in una situazione completamente diversa, di nuovo bellissimo: paese di Oceano, di castelli, di cattedrali-fortezze. La politica ufficiale mi è sembrata insignifican– te e verbosa -è in corso una campagna per le elezioni dell'assemblea della repubblica, cioè del parlamento-; ma mi è parso di vedere nella gente -vivacità, dinamismo, e anche una po– vertà non rassegnata, anzi talvolta ornata di dignità e gentilezza (illusioni di un viaggiatore, forse; ma a me piace pensarlo). Rinunciando a una gita sociale o_rganizzatadal congresso, abbiamo preso, io e un amico, una macchina a nolo, e ce ne siamo andati, per un breve giro, nel nord: a Porto, a Praga, e nella regione del Minho, verde e boscosa. Porto è una città ottocentesca, con grandi piazze, caffè, edifici severi. Ma lungo le pendici delle due colline su cui è costruita si aprono dedali di vicoli, scalinate, con piccole case dal– le grandi finestre, e la vita brulicante dei quar– tieri popolari di una città di mare. Scendeva– mo, io e il mio amico, una di queste scalinate dopo cena (i ristoranti, per inciso, sono ottimi e a bassissimo prezzo). Siamo passati, a un cer– to punto, in mezzo a un gruppo di uomini, donne, ragazzi, seduti sugli scalini. «Speak en– glish? Speak english?» -hanno cominciato a dirci e a dirsi: ovvero, è arrivato il turista da spennare, invidiato, odiato, bramato. «Nao - ho detto voltandomi - falo portogues» (è quasi tutto quello che so della lingua) «ah, fala por~ togues» -mi ha risposto una voce con ·un'infles– sione mista di ironia e di rispetto. E nessuno ha aggiunto altro. _ Più tardi risalivamo altre scale, ansimando (la cena era stata abbondante, la salita era lunga e gli anni passano per tutti). Una donna, da una porta che immetteva in una specie di basto, ci ha fatto il verso, ma la ragazza che si trovava in mezzo alla strada, appoggiata a una colon– nina, ci ha sorriso: l'accenno appena di ~n in– vito, un sorriso pieno di grazia, come quello della prostituta a cui Gerard Philip bacia la mano ndl'ultimo episodio de La Ro~e. Il pomeriggio del giorno dopo ci siamo fermati a prendere un thè nel paesino del Minho, Ca– beceiras de Basto. Sentendoci parlare italiano, un ometto di mezz'età ci ha chiesto, in italia– no, se poteva sedere con noi. Ci ha raccontato di essere stato sette anni in Italia, girando dap– pertutto. Anche in Portogallo girava, da un paese all'altro, vendendo, dei disegni che tene– va sotto braccio: immagini di cristi, sante, ma– donne, schizzati a carboncino. Non vedendoci particolarmente interessati ai suoi prodotti, non ci ha fatto nemmeno un'offerta, nemmeno una richiesta. Dopo un po' si è alzato, salutan– doci con grande cortesia, per prendere l'auto– bus. Dal nord, dalla regione in cui ci trovavamo, era partita nel '75 la controffensiva della de– stra, guidata dalla chiesa e dai retornados. E le processioni finivano con assalti alle sedi del partito comunista. «In questo paese -ci ha rac– contato il nostro madonnaro- c'è una grande festa della Vergine, a fine settembre. Ma al momento della processione piove sempre a di– rotto». di Ilaria CIUTI F orse in Grecia o ell'Oceano Pacifico, avevo sempre cercato le spiagge più sel– vagge. Meglio le scarpinate.sotto il sole, le discese e le salite, meglio anche portarsi la tenda a spalla piuttosto che incontrare il popo– lo degli «altri» sul mare. Quest'estate, invece, eccomi fino al collo nella «vacanza della mam– ma». Responsabile Gilda, figlia di un anno. Il bello è che mi sono anche divertita: come sco– prire un mondo nuovo. La spiaggia selvaggia si è trasformata in un fazzolettino di sabbia gremito e il mare trasparente in un azzurro cupo ravvivato dagli oggetti e dalle plastiche più impensate. Si può, però, consolarsi con la visione d'insieme: l'acqua sembra pulita, il po– sto è bello, con gli scogli bianchi accanto alla spiaggetta e i monti verdi alle spalle. Per gli adulti l'acqua è profonda, per i bambini c'è una pozza semichiusa dagli scogli: il compro– messo è fatto. Ma quello che a Cotoncello, isola d'Elba, va imparato subito è che la vacanza non può esse– re spesa da soli, o in una sola famiglia, o in due o tre amici. Le regole.sono comunitarie e le «masse» tanto evitate diventano il brodo in cui si va a galleggiare. Basta solo qualche pic– cola snobberia per non essere out. La prima è evitare Sant'Andrea, la località principale della zona: lì la spiaggia è più grande, ma c'è il ba– gnino con l'ombrellone e <<sembrerebbedi esse– re a Viareggio». Oltretutto il bambino che ma– gari diventa amico del tuo è sicuramente di quelli che «oddio prende troppo sole», che .«per carità asciugalo se no prende freddo», che «attenzione si mette qualcosa in bocca». A Cotoncello il bambino è sportivo e l'ombrel– lone -chi lo usa- se lo porta da sé. Dal basso si vedono strane figure sul sentiero che porta al mare: borsa, barche -quelle in plastica per ra- FINE SECOLO* SABATO 21 / DOMENICA 22 SETTEMBRE 27 gazzini- palette, secchielli e, appunto, ombrel– loni. Il tutto sotto il braccio sinistro: il destro regge il ragazzino. L'ombrellone però è appan– naggio dei non iniziati. Gli altri lo ·lasciano così ognuno ha il suo posto e «tanto qui non ruba nessuno». In breve il luogo si trasforma in un salotto: «L'ha fatta?». La domanda non _ riguarda l'ultima regata, ma la popò del bam– bino: viene posta immédiatamente al mattino e serve in realtà a rassicurare il resto dei vacan– zieri che il piccolo, ormai nudo e felice, non la farà su qualche asciugamano. Poi c'è il popolo dei senza figli e di qualche pa– dre fedifrago: quelli stanno sugli scogli e ven– gono guardati con invidia dalle mamme co– strette alla spiaggina di un metro per quattro e cento bambini. Ma si scambiano visite: verso mezzogiorno e anche all'ora dell'aperitivo se– rale. Se qualcuno compie gli anni sono dolcetti e spumante. Qui l'argomento di conversazione è più vario: addio varicelle e orecchioni. Scor– date le diarree: si passa alla fogna di Sant'An-. drea «che quest'anno l'hanno allungata e tutti gli scarichi arrivano qui»; o ai polpi che inalbe– ra Antonio (non si sa più a chi appiopparli). Ma si può arrivare a qualche audacia politica: discutere dei Verdi e delle loro trattative estive col pentapartito. Ma il filone è pericoloso e Stefano non si arresta più: i senza figli corrono a fare il bagno, le mamme tornano dai bambi– ni. E si ricomincia di nuovo: il tempo è ormai maturo per i pettegolezzi. Tanto ormai ci si co– nosce tutti. Quelli che tornano ogni anno e i bambini sono cresciuti, i nuovi che imparano subito il ritmo, la signora di Pisa che si porta la seggiola e il marito che intrattiene i ragazzi– ni più grandi, la tedesca che poi ha sposato l'i– taliano e da quattordici anni vengono qua e la romana che non si sa come ci sia piovuta. Figli non ne ha, mariti nemmeno -«sarebbe ora che tu lo trovassi», le sussurra la madre- e, nono– stante le evidenti troppe amatriciane, si è ta– tuata una chiappa, arriva vestita da capo a pie– di (saranno ormai trentotto gradi) e sfoggia ogni giorno un costume nuovo, quello a petali di fiori, quello con cintura, quello intero, ma con aperture sapienti: maestosa in mezzo ai secchielli, ai castelli di sabbia, ai ragazzini ur– lanti. Il festivaldei boboli di Corrado SANNUCCI L 'Italia senza Italia, il sogno di sempre, lontani dalle palazzine, dalle canottiere, dalle lattine abbandonate nelle spiagge, dal disprezzo per sé che è pubblico perchè na– sce da un'offesa a ciò che è comune. Questo pensavamo in un sabato di luglio, sulla spiag– gia a sud di Ajaccio, con la litoranea alle spal– le, niente ombrelloni intorno e davanti il mare azzurro e pulito, guardandoci le dita dei piedi a mollò, io. e la mia amica, a una sosta del viaggio. A terra, piegati, i giornali italiani che riportavano sulle stesse pagine la storia di una tragedia (Val di Stava) e di una farsa (l'affaire Eni-dollaro a 2200) e che molto imbarazzo ci erano costati in uno scambio di poche parole con il giornalaio. Ma adesso, sulla grande spiaggia bianca, avevamo di nuovo tutto quel– lo che avevamo perso, vero, brie francese nel panino e una semplicità dell'estate non più sof– focata dai divertimentifici, così che il mare, il sole, le parole dette, erano una natura diventa– ta tranquillità di spirito, lontana dagli esodi e dai tropicalismi coatti, mai incantata dalle ser– pentine dei _windsurf tra i coli degli scoli e gli abusi visivi degli abusivismi. Civiltà a cui ab– biamo rinunciato, chissà perchè; e guardando– ci intorno si ripeteva, si diventa Verdi, sì, ma per l'invidia. Poche ore più tardi, a Sartene, borgo corso-ge– novese, all'Hotel Clos des Ribes, la siepe dei ri– bes, il gestore ci veniva incontro sul vialetto di ghiaia bianca che saliva tra i bungalows in mu– ratura. Dovunque piante di oleandri e gerani,

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