Fine secolo - 21-22 settembre 1985

FINE SECOLO* SABATO 21 / DOMENICA 22 SETTEMBRE 28 siepi, pini e fichi e ciliegi, tra pergolati che im– provvisamente si aprivano e conducevano al– l'ingresso delle basse costruzioni. L'uomo, cor– tese ma non sorridente, ci parlava italiano, ta– gliando la conversazione con la stessa fermez– za con la quale lo vedemmo, la mattina dopo, potare le rose del piccolq spiazzo, con tavoli e sedie di ferro da giardino, sul quale ci invitò a fare colazione. Finì "di innaffiare, si tolse i grandi guanti da lavoro, sciolse il grembiule verde ed entrò nella casa che fungeva da rece– ption, cucina e ripostiglio degli attrezzi. Dopo l'armeggiare ai fornelli, dalle finestre aperte sentimmo il click di un registratore, un'orche– stra anni '30 e la voce di Rabagliati che canta– va 'Vivere', irradiate da due minuscoli altopar– lanti sopra le persiane. L'uomo uscì dalla por– ta finestra, si era cambiato il grembiule e por– tava il grande vassoio del petit dejeuner. Di– spose sul tavolo i bricchi e le tazze poi chiese «Vi piacciono queste canzoni?». Moltissimo, rispondemmo, e certamente in quel momento anche la lingua di 'Veleno' ci sembrò avesse la stessa plastica sonorità e vita e presenza di un sonetto di Dante. «Vengo sempre in Italia» ag– giunse «d'altronde noi corsi siamo i toscani del Tirreno». D'improvviso l'albergo, la collina, i fiori,i mattoni rossi dei bungalows, tutto ap– parve inconfondibilmente vezzoso, pittorico, crudelmente fiesolano. «Ah, la fratellanza dei popoli» mormorai vagamente, «Dei Boboli» corresse la mia amica. Quando ce ne andam– mo, l'uomo era intento ai suoi bulbi fiorentini, più fedeli alla fioritura delle speranze recipro– che a cui ci eravamo esposti e che ora lasciava– no una lieve disillusione di nazionalità. Così, al termine di un altro viaggio, all'inizio di agosto raggiungevamo non un'altra patria ma una piccola Heimat. Entravamo in un garnì di una valle altoatesina sotto un acquaz– zone furibondo che tirava giù frane in ogni punto defla strada per il Brennero. Una gentile nonna ci condusse alla stanza, in braccio un nipotino che avremmo conosciuto come figlio di un giocatore di hockey su ghiaccio. «Che tempo terribile» ci disse sconsolata, arrotando le parole nel suo trilinguismo. «A Bolzano i sottopassaggi erano tutti allagati» aggiungem– mo con sollecitudine e precisione; forse con ri– tardo, in un salone la TV era accesa, sintoniz– zata sul notiziario in lingua tedesca. «Ah, zì?» continuò lei distratta; e poi, scuotendosi· «Ma non immaginate coza è zucesso a lnnsbruck!». Eravamo lì perchè è bello essere all'estero usando ancora le lire, perchè sono belli i monti e le case costruite distanti una dall'altra: il ri– chiamo dell'internazionalismo ci colse impre– parati, ci accorgemmo di quanto sentivamo il confine e di quanto poco il nostro scarso amo– re per lui si tramutasse in una libertà vera. L'anziana signora ne sapeva più di noi e ciò fu così intollerabile da costringerci il giorno dopo a un'arrampicata lunga e dolorosa, su uno dei monti più belli, fino a un punto in cui non ci fosse più nessuno, lì dove tutto è un quel che è di rocce senza equivoci. Ah, i millenni, le ere, (i dinosauri?): un sassolino cadde, con un fragore da Novella 2000. Andammo più su ancora, perchè risalire la Torre di Babele è facile; e in cima trovammo il silenzio, che a ben pensarci è solo un punto finale di entropia dell'affetto e del .dialogo. Istanza per Stromboli di Andrea LEONI I 1 cancelliere si aggiusta gli occhiali sul naso e scuote la testa, il foglio co~ la ri– chiesta di passare venti giorni al mare con mia moglie si agita come un ventaglio tra le sue dita. Lo sento sospirare, so che tra un istante alzerà lo sguardo ceruleo e dirà qualco– sa con un tono di voce pacato, paziente, da uomo che ne ha viste tante. Ho simpatia per lui, è un personaggio familiare, chissà quante volte mia madre è entrata in questo uflicietto a chiedere informazioni, portare istanze speran– do in un fuggevole incontro con qualche giudi– ce. E quante volte avrà ascoltato da lei o da mia moglie le vicende della condanna e del car– cere, le speranze, le paure, l'ansia di cui sono intessuti i miei sei anni di galera. Quando la Cassazione ha annullato la sentenza per man– canza di prove dopo che i giudici d'Appello avevano ridotto la condanna da trenta a quat– tordici anni, è stato lui, il cancelliere, a comu– nicarmi la scarcerazione per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva. Libero con l'obbligo di presentarmi una v9lta al giorno al Commissariato. Credo che anche lui, il cancelliere, abbia tirato un sospiro di sollievo: mia madre al Palazzo di Giustizia ci andava quasi una volta al giorno. Non è passato neanche un mese e davanti alla sua scrivania ci sono io. Mi ha accolto con simpatia ma dietro i suoi occhiali credo di aver notato un guizzo di disperazione. Impassibile, memore della grinta materna, gli consegno l'i– stanza: dopo sei anni a rivendicare la mia in– nocenza chiedo di andare al mare. Faccio pre– sente alla Signoria Vostra che se il problema è mettere una volta al giorno la firma su un regi– stro lo posso fare anche all'isola di Stromboli. «Leoni lei questa istanza l'ha già presentata dieci giorni fa», dice con grazia il cancelliere. «Si, è stata rigettata con la motivazione che una vacanza al mare non si addice alla condi– zio~e di imputato in attesa cl! giudizio» rispon– do 10, «ma vede signor cancelliere per me è molto di più di una vacanza al mare, è una cosa che ho dentro da sempre, intendo il mare e poi l'ordinanza non spiega cos'è che s'addi~ a un imputato in attesa di giudizio e allora io... >'.· Mi guarda smarrito con il volto imperla– to dt sudore: «Va ~ne Leoni, va bene», dice intei:rompendomi «io l'istanza gliela inoltro, torni tra una settimana per la risposta». Chi può dire se Stromboli s'addice a un impu– tato in attesa di giudizio? Ci sono opinioni di– verse. Il venti d'agosto sono sul molo di Mer– gellina in attesa dell'aliscafo con l'autorizza– zione in tasca. Mia moglie mi ha prèceduto di qualche giorno per cercare ·un domicilio. Dovrò comunicarlo ai carabinieri del posto appena messo piede sulla banchina. Mancano due ore all'imbarco, con me sul tre– no ho portato il mio motorino così posso fare un giro per Napoli, vedere quant'è cambiata dal '77, quando vivevo a Santa Teresella degli Spagnoli, la strada più chiassosa della mia vita, nei quartieri sopra via Chiaia. Voglio ve– dere che effetto mi fa Poggioreale dal di fuori, quelle muraglie altissime da fortezza medioe– vale che racchiudono le celle più umide d'Ita– lia, con il tetto a volta e la bocca di lupo. Era agosto anche allora, nel 1979, quando entrai nel reparto speciale e conobbi gli uomini della Nuova Camorra: don Rafele Cutolo coi suoi mod_i cortesi e le giacche dal taglio perfetto, Tonmo Cuomo coi suoi occhi scuri e intelli– genti e la sua ansia di conoscer~, il numero due prima che lo scannassero contro il cancelletto del cortile, e tanti, tanti altri. Voglio vedere il molo di Santa Lucia dove la sera s'affrottano le donne dei luciani che tornano coi motoscafi blù carichi di sigarette, una fascia rossa stretta sulla fronte e lo sguardo spavaldo da malan– drini. E poi il meréato di Forcella coi ragazzini che sbattono i sassi sulle saracinesche appena s'intravede il carrettone della Finanza, i giardi– ni di Capodimonte, la Certosa, la villa di La Capria che interrompe il profilo di Posillipo ... Ma no, non faccio in tempo, e poi Napoli la devo rincontrare con calma, a piedi, immerso nella bolgia. Faccio solo una corsa per via Ca– racciolo, fino a Castel dell'Ovo, getto uno sguardo oltre la ringhiera: i moli sono pieni di barche a vela, panfili di lusso, motoscafi da si– gnori. Di scafi blù neanche uno. Ho un brutto presentimento. Meglio sedermi ai tavoli di uno chalet di Mergellina, leggere i giornali e riem– pirmi la pancia di maritozzi, casomai ci fosse mare. L'aliscafo che porta a Stromboli è enorme, si chiama Superjumbo, dentro c'è pure il cinema e il bar. Uno si siede in poltronA, abbassa lo schienale e in quattr'ore è in vista dell'arcipela– go. Io quattr'ore in poltrona ci muoio anche se il mare è liscio come una piscina. Mi viene l'a– gitazione come fossi in cella d'isolamento o Stromboli peggio, nelle celle dei piroscafi che portano i detenuti in Sicilia o in Sardegna. Ci sono stato due .volte per andare a Termini Imerese, tutta la notte col frastuono delle macchine nella re– sta, senza un oblò e con un caldo infernale perchè lì dentro, non si sa perchè, le prese d'a– ria non funzionano mai. No, seduto non ci so stare, vado al bar, provo a concentrarmi sul film che proiettano nel salone di prua, passeg– gio avanti e indietro, qualcuno mi osserva in– fastidito. F_inalmente trovo un posticino all'aperto, 0 nel pt~?l~ pont~ di poppa dove scaricano i baga– gli: e pieno di gente che scatta fotografie non si sa a cosa. Una signora francese con la testa da uccello scatta un intero rullino alla figlioletta che ha il sole alle spalle. Vorrei dirglielo che non gliene verrà neanche una ma ne ha già scattate tante, perchè deluderla. Mi sento a di– sagio, davanti a me c-'èuna piccola folla e non riesco a vedere il mare. Mi accorgo che la mia schiena è appoggiata a una scaletta di ferro, porta sul tetto e c'è un bel cartello con scritto «vietato l'accesso». Gesù, posso inaugurare la mia vacanza di imputato in attesa di giudizio con una trasgressione? Ecco, sono solo sul tet– to del Superjumbo, mi distendo sulla pancia e posso guardare il mare. Dovremmo essere al– l'altezzza della Calabria, chissà forse di Palmi. Forse è lo stesso mare che si vedeva da quel– l'ambitissima cella del secondo piano: una stri– scia azzurra sopra i tetti del paese. Sui tetti più vicini c'erano gli agenti coi mitra ma il mare si vedeva e sembrava anche di sentirne l'odore. Chi l'avrebbe detto che avrei visto ancora il mare così, standoci dentro. Deve essere l'emo– zione, chiudo gli occhi e mi addormento. «Lei qui non ci può stare, stiamo per attracca– re», il marinaio parla con noncuranza, non mi .fa fretta -lfo.i tempo di-mettermi-a-sedere- e guardare Stromboli, che è una montagna moz– za che emerge dal mare.

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