Critica Sociale - XXXV - n. 23 - 1-15 dicembre 1925

f CRITICA SOCIALE 297 • avere un'applicazione elastica e mutevole, adàt– tandosi alla· varietà infinita delle condizioni dei vari luoghi e delle varie popolazioni. LA CRITICA Soc1A,LE. II. La socializzazione della piccola proprietà Una volta socializzate, e con buon risultato, alcune_ grandi proprietà, la socializzazione delle- altre potrà fare progressi rapidi. · ·Ma la piccola azienda agricola è, neila più parte· dei paesi, un f~ttore troppo importante della produ– zione dei generi di prima necessità,· perchè non si tenti di ridurre essa pure sotto la gestione. sociale. La piccola azienda così come è oggi non può essere socializzata. Come per le grandi proprietà, anche per essa occorre attuare tutta una serie cli riforme. per creare le condizioni necessarie. Dire che il miglioramento delle scuole di ·villaggio, e l'elevazione generaìe del livello di cultura inteUet– tuale nelle campagne sono indispensabili aU'ascension·e del contadino verso forme SUJ:>erioridi produzione, è un'affermazioae che non ha bisogno di esser di– mostrata. Viceversa la riunione dei contadini in associazioni ' ' ' agricole farà progredirè di pooò la causa della socia- lizzazione. Sino ad ora, queste associazioni non sono state altvo èhe strumenti di Jotta dei produttori :rurali contro ·i consumatori cittadini. Ora', l'azienda sÒ.cia– lizzata deve essere invece un organismo che tuteli Ugualmente gli ·h'1teressi delle due parti. . _ Come per· la grande azien'da, così anche per la pie- . cola la separazione fra l'azienda e la' vita famigliare sarà una importante condizione preliminare ~ell?:t so– cializzazione. Soltanto che, nella piccola, il problema si presenta in modo dh;erso che nella grande. In ,questa la forma dell'azi:enda è da conservarsi ed è invece da mu'.are la forma dèUa v,ita famigliare; è in quelli_tinvece l'indipendenza -della vita fa~igliare esiste già e dev'es– sere conservata, ed è la forma dell'azienda che va cam– biata. Separar del tutto la piccola azienda contadina dal– l'organismo famigliare non è, possibile, e spesso non sarebbe vantaggioso. L'elemento dell'economia conta– dina per cui questa separazione è_ più fac]e è il la– voro dei campi; che è appunto la parte della produ– zione agricola in cui la grande azienda presenta mag– giori vantaggi, e più esteso è l'uso di macchine .. Non • solo sarebbe tecnicamente possibile, ma sarebb~ di enorme vantaggio che i coloni di uno stesso viUaggio unissero in comune i loro campi e formassero una Coo– perativa per coltivarli in comune. E non sarebbe una gran novità. Per molto tempo ·noi continuiamo a tr-0vare, ·nella -società moderna, la servitù di pascolo. La casa e la « corte )) del conta– dino erano sua proprietà privata; la foresta e il prato erano proprietà comune indivisa. J campi, poi, costi– tuivano una proprietà comune della collettività di vil– laggio, che, tuttavia, in una economia agricola appena appena un po' progredita, non era coltivata in co– mune, ma ripartita periodicamente fra le famiglie, per la coltivazione separata, che era fatta però secondo un piano comune. Far di più non era necessario in quel tempo, dato che, con gli strumenti primitivi d'allora, una coltura in comune non avrebbe offerto alcun van- taggio. . Tutt'altra cosa è -0ggi, hel secolo dell'aratro a va– pore e automobile, della macchina per. semina.re e per· mietere. La cultura di grandi superfici riunite in un sol corpo offre considerevoli vant8ffi rispetto all~ . Biblioteca Gino Bianco cultura di piccoli appezzamenti (1). Capita già oggi che il p~ccolo contadino faccia lavorare la sua terra da un vicino che possegga migliori bestie da tiro o un aratro automobile. La battitura si fa, pei: lo più, molto tempo dopo, con :una trebbiatrice di fuori. Il possesso· cooperativo di queste macchine, come anche degli ara– tri automobili, delle m_ietitrici meccaniche ecc., non è più 0osa rar-a. Resta so1~ da fare l'ultimo passo, e il più importante per una organizzazione più rarj.ouale dell'agricoltura, quello che ne renderebbe. anche possi– bile la socializzazione, e cioè la ricongiunzione dellq terre in grandi unità agricole; ma quest-0 passo va· a cozzare soprattutto contro la proprietà individuale del suolo e non si potrà quindi compierlo se non dove que- sta sia stata abolita (2). . . Quandò noi avremo un regime _proletario, possiamo sperare che, d~ta l'estrema facilità di passaggio:-della proprietà fondiaria e la frequenza delle vendite, il di– ritto di prelazione deUo Stato nell'a~quisto_ riu~irà pre– sto nelle sue mani, in molte regi·oni, una gran parte del suolo. Quando, in un -yillaggio, l'insi'eme dei èo~– tadini o· una gran parte d'essi saranno divenuti affit– tuarì dello Stato, q'uesto può benissimo stabilire il con– tratto d'affitto in modo che sia possib.:.le _riunire tutti i campi nazionalizzati del villaggio ìn un cert9 nu– mero di !!rosse unità agricole'e d'organizzare gii affil- o • , tuari dello Stato _in una Cooperativa _incaricata di col– tivare il terreno dello Stato nel villaggio. In ugual mGdo si proceçlerebbe per stabilire amovc colonie agricole. Crearle col frazionamento delle grandi aziende coltivate razfonalmente sarebbe - l'abbiamo gi_à detto - una l)arbarie, e 11n danno per l'alimenta– zi,Òne del Paese. Altra cosa è se si tratta di colonie da s'labilire su terreni incolti rimessi nuovamen.te a col– tura. Qui si avJ•ebbe occasione cli dare, nello stesso tempo, soddisfazione al do_ppio clesider.;o: di favorire la formazione di molte piccole famiglie indipendent~; di profittare dei vantaggi tecnici della grande azienda, · organizzando e continuando a istituire queste colonie in villaggi dotati d'un demanio comuçale da coltivare oon, sistema cooperativo. Nel caso iri cui la colonia restasse proprietà nazionale, avendo ogni colono la sua dimora particolare ed essendo la •~oltivazione della terra -comunale affidata dallo Stato proprietario alla Cooperativa di villaggio, 16 Stato si assicurerebbe s_em– pre una suf.iciente influenza per poter tutelare, accanto all'interesse dei produttori, quello dei consumatori. Questo è vero, natmalmente, anche per le terre_ che per l'innanzi costituivano grandi aziende e che la so– cializzazione fa passare allo Stato. Non - sarebbe dif– ficile comprenderJi nel piano nazionale di coltfrazione e nella gestione adattata ai bisogni, collegandole, sia a un Comune urbano ai cui bisogni essi doYrebbero provvedere, sia a una gilda o organizzazione col– lettiva di mugnai, per es., o di zuccherjeri, ecc. Quando· si sia avviato e C?nsolidato, il sisléma di sfruttamento in comune dei villaggi cooperativi non si limiterebbe alla cultura dei campi, che ne costituisce il punto di partenza, ma s'estenderebbe all'allevamento del bestiame, e anzi tutto del grosso besliam~. Si cleYe (1) Ho trattalo più particolarmente questo argomento nel– l'opei:a: Sozialdemocratische Bemer:kungen _zur. Uebergangs– wirthschaf t (Lipsia, 1918) nel cap1t?l? s~ul·agncoltur~ nel!_~ comunità di villaggio, rislampato po~, ms1_em~con, alln caf-!t– toli dello stesso libro e con alcuru cap1toh dcli ~ltro m1? libro sulla- questione agraria, a Berlino; 1919, col titolo: D1e Sozialisierung dPr Landwirthschaft. (2) Si noli a tal riguardo che. i c~n.tadini, eh~ in Italia si sono riuniti in Cooperative per l'eserc1z10 dell al;incoltura sono luHi operai salariati o affittuari, nessuno è. piccolo proprie– tario . • j

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