Critica Sociale - Anno VI - n. 11 - 1 giugno 1896

CRITICA SOCIALE • 163 La liàortà m Dar~Ia ai uror~ssari CARO TURATI, Sento il bisogno di applaudire alle parole che nel tuo giprnale dettava il Bissolati in accordo con quelle di Ferri, di Vidari, di Murri, di Ciccotti. Sì, la libertà della manifestazione del pensiero anche fuor della scuola al professore è non solo _un giusto diritto, ma è una vera necessità sociale. Lamentiamo tutti che bi– sogna educare oltrechè istruire; e come non dobbiamo, pel" lo meno, lasciar liberi di manifestare la loro opi– nione questi educatori? Obbligarli al silenzio è volere, in questo mondo di vili, in cui uno cerca di superare l'altro nella adulazione e nella menzogna, promuovere con mezzi ufficiali la vigliaccheria, quasi non bastas– sero a ciò i miraggi delle croci, del senatoriato, del Consiglio superiore, e quella assenza di energia che l'eccesso degli studì provoca in tanti; è volere che l'edu– cazione sia fornita da uomini che non abbiano un'opi– nione, o che, avendola, non abbiano il coraggio di esprimerla. La libertà di manifestazione del pensiero è necessaria anche per la grande ignoranza in cui sono i ceti domi– nanti. Quando abbiamo veduto deputati, senatori, uomini di Corte, ministri essere così profondamente ignoranti da non conoscere le terre dell'Abissinia, le sue forze militari, la sua struttura storic;1, il suo clima, e ciò mentre vi si. portava il nostro esercito a farvi così enorme sacrificio di sè, è pur necessario si lasci la libertà di parola a un ceto che per forza è un po' meno ignorante (ahi! solo qualche volta!) della generalità della popolazione. Fra le altre tristizie, Crispi da ultimo faceva un de– litto a chi parlava in pubblico dell'Africa; e un delitto maggiore a chi, dal campo di guerra, tentava illuminare la povera Italia. I risultati furon chiari. Ora, se vor- . remo imporre il silenzio alle poche classi illuminate, noi ci prepareremo nuovi disastri ..... Non abbiamo pur troppo qui in Italia giustizia. « Essa è un servigio che si rende ai potenti » (diceva Eula); non abbiamo ricchezza, anzi nemmeno agiatezza, non abbiamo gloria, moriamo di pellagra e di malaria a mi– gliaia. Ora, se ci si toglie perfino l'apparenza,, non dico la sostanza, della libertà del pensiero, non ci resta che andare in Turchia; nè dico in Russia, perchè Tolstoi e Novik.ow possono mettere a nudo le piaghe di quella mo– narchia teocratico-feudale, senza incorrere in processi. Del resto, sincerame~te, io non posso credere che un ministero, che è veramente onesto e che ha fatto ces– sare di un colpo grandi ingiustizie, ne commetta, se non spinto da forze superiori, una, che anche è con– traria agli interessi della classe dominante. Nè credo che speri di• ingannare alcuno dicendo : « Mantengo la libertà del pensiero e non quella delle sue manifesta– zioni»; perchè farebbe un duplicato a quell'altra legge nostra, che permette gli scioperi ma punisce gli scio– peranti. Torino, maggto t896. Prof. CESARE LOMBROSO. Noi vediamo con vivo piacere parecchi dei pro– fessori più stimati per cultura, per dignità, per in– gegno, per benemerenze scientifiche, e ai quali si deve se scientificamente l'Italia non è reputata al– l'estero la terra dei morti, o una quantité négli– geable, un paese di · mendicanti e di cantastorie, una carr1JJ/Qa~-natiori e niente :più, jnsors-ere contro BibliotecaGino B neo lit. minaccia di nuovi provvedimenti eccezionali per mandare anche la cattedra a domicilio coatto. Se l'agitazione si estende, se l:;t resistenza si accentua, se insomma saranno molti i professori che si chia. riranno non disposti a subire senza strilli la evi .... razione, e renitenti a diventare l'equivalente in .... tellettuale del gendarme e del prete, non d'altro incaricati che di giustificare tutte le iniquità e tutte le ipocrisie dell'ordine di cose felicemente impe– rante, è possibile che, per qualche tempo almeno, la dignità della cattedra sia salvaguardata e sia imposto qualche freno alle esorbitanze del potere su questo terreno. · Ma, d'altro canto, non possiamo astenerci da rile– vare una certa contraddizione intima che è in questa agitazione e che del resto il nostro Bissolati ha già toccato di passaggio, laddove rimproverava l'inge– nuità di coloro che da uno Stato di classe pretendono l'ammissione esplicita, spontanea e conseguente della libertà di pensiero. La borghesia ha sventolato la bandiera di questa libertà sinchè si trattava di gio– varsene a proprio profitto, per conquistare nella . società il posto che credeva spettarle; ma s'è affret– tata a rinsaccocciarla tostochè si avvide che altri pure cominciava a giovarsene contro di essa, tirando le conseguenze dalle premesse ch'essa aveva poste. Allora il reato di lesa maestà, passato fra i ferra– vecchi, venne tirato giù dal solaio e, mutato no– mine, fu rimesso. in onore. La maestà non fu più, o non fu che occasionalmente, quella del principe, fu la maestà della borghesia dominante; e fu creato, da uno dei più cospicui rappresentanti del partito liberale, da un dottrinario, come ha vanto di essere, della libertà, quel famoso art. 247, aggravato dalla legge recente 19 luglio 1894, per cui qualunque constatazione di fatto sul presente stato sociale può essere passibile di un minimo di quattro mesi e mezzo di alloggio gratuito nei nostri Cellulari - altra delle conqui8te del secolo illuminato ed umani– tario. Queste cose sono così evidenti che non occorre di esser socialisti per constatarle : i socialisti le hanno vedute e presagite ,venti o trent'anni prima che gli altri le toccassero con mano, e furono gri--: dati matti e visionarii, perchè « il secolo - come si cantava su pei tetti - appartiene al libero esame e alla democrazia ». Orà se, constatando semplicemente qualcuna delle menzogne e delle ingiustizie della nostra civiltà, il libero cittadino è mandato al Cellulare per cinque, per sei mesi, per un anno; se le isole sono tuttora piene di coatti politici, condannati da Commissioni statarie ed antistatutarie, con procedura segreta, non pure per- reato di pensiero (che sarebbe già qualche cosa) ma per presunzione di una possibilità di simile reato; e il « ministero dei galantuomini» ve li lascia, anche quando è caduta la legge che servì di pretesto a mandarveli; se tutto ciò avviene e si mantiene, a danno, si ripete, di liberi cittadini, che non hanno prestato nessun giuramento, che non sono vincolati da verun contratto, che non rice– vono dallo Stato .nessuno stipendio, che non derivano dall'attuale ordine di cose alcun beneficio diretto - non è poi fuori della logica di un tale sistema, se dei professori, che lo Stato assume e paga e pro– muove e giubila e tutela in mille modi, se dei pro– fessori che in virtù di-un contratto spontaneamente accettato - la famosa legge Casati, art. 106 - si im– pegnarono di rispettare « colì'insegnamento e cogli scritti le verità sulle quali riposa l'ordine religioso e morale » e a non scalzare, anzi a non « tentar di scalzare >> - senza distinzione di luogo e di tempo, di dentro la scuola o di fuori dalla scuola - « i principì e le guarentigie che sono posti a fonda– mento della costituzione civile dello Stato », ossia - intendasi bene - di questo Stato borghese, mo•

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