Critica Sociale - Anno VI - n. 11 - 1 giugno 1896

176 CRITICA SOCIALE caso della reazione del potere di uno Stato per rispetto agli altri Stati, è evidente che, se esso non è tutelato nella sua esistenza da una forza internazionale equa, e nella sua tendenza a vantaggiarsi sugli altri e so– perchiarli non è frenato dalla medesima, non farà diffe– renza tra mezzo e mezzo che giovi al suo intento, e il danno altrui lo procurerà come bene suo proprio. Nel caso della reazione del Potere per rispetto ai propri sudditi, è da considerare che la sua condizione in uno stato progredito della civiltà è ben diversa da quella che la precede. Qui il Potere non è ancora divenuto la semplice espressione del volere di tutti, che lo pone, lo regola, lo sancisce. Ma è ancora solo la conquista machiavellica di una casta, di una fa– miglia, di una persona, lottanti per conservarlo con tutti i mezzi atti all'uopo, di fronte ad altre 1;aste, ad altre famiglie, ad altre persone dello Stato medesimo .... Dalle cose dette importa sopratutto che si raccolga l'importanza suprema, in ordine alla moralità, dello sviluppo clell'organismo sociale. Come accennammo, lo sviluppo del consorzio umano· nello Stato ha per effetto la moralità privata, La ci viltà, che perfeziona l'orga– nismo dello Stato all'interno e promuove l'associazione civife degli Stati, ha per effetto la moralità politica. ( 1 ) Donde si rileva che la moralità politica, secondo spiega l'Ardigò, è di formazione tanto meno per– fetta quanto più i rapporti esterni delle collettività e anche i loro rapporti interni rispondono n. una condizione di lotta; quanto più insomma lo sviluppo della civiltà é lontano dall'avere stabilito un vero rapporto sociale sia tra gli Stati fra loro, sia tra le collettività (caste o classi) viventi entro lo Stato. Questi richiami dello Spencer e dell'Ardigò io li ho fatti, non solo par dimostrare che l'osservazione del Sighele, intorno alla differenza fra morale pri– vata e morale politica, é da troppo tempo acqui– sita alla scienza perché sia lecito a chi fa profes– sione di studì presentarla come una osservazione nuova e originale; ma per mettere altresì in luce come codesto signore, nella sua foga di correre a conclusioni che servano a intontire il buon pub– blico, non abbia compreso. affatto la portata e il valore della osservazione medesima. Posseduto dalla preoccupazione di concludere alla irreconciliabilità eterna e assoluta della morale privata colla morale politica, e di fare l'apoteosi dei « reggitori delinquenti», il signor Sighele non ha visto che la distinzione fra mo·rale. privata e politica é una distinzione relativa a un periodo della evoluzione sociale, e non esclude né la loro sostanziale identità, nè la certezza della loro fu– sione in uno stadio di civiltà più avanzato. Non esclude la loro sostanziale identità. Perché, anzitutto, anche la moralità. che il signor Sighele chiama « individuale » non é altro che una forma primitiva della moralità po1itica. Non vi può essere infatti « morale » di nessun genere indipendente– mente da una vita èollettiva. Gli atti morali non sono altro che l'esplicél.zione delle idealità sociali, la cui formazione, che il signor Sighele può stu– diare mirabilmeµte esposta nei libri dell'Ardigò, é tutta una cosa colìa formazione dei gruppi sociali. E perciò, quando il nostro autore dice che « la collettività é sempre moralmente peggiore dell'in– dividuo » e che < per il solo fatto della convivenza in un dato gruppo u.mano l'individuo altera le sue facoltà. personali e moralmente le altera in peggio »; mostra semplicemente di essere un so– ciologo metafisico, anzi una specie, brutta specie, di teologo che concepisce l' « individuo » come un tipo perfetto uscito dalle mani del creatore e su cui la società umana non può esercitare che una inf1uenza depravatrice. Ma non solo é vero che la morale privata é una forma di morale politica (come l'Etica non è che un ( 1 ) R. A1rnrnò, Opere complete. Sociologia. Voi. IV,§ 3. 0 / pag. 3L BibliotecaGino Bianco ramo d~11a socioiogia), ma é anche vero che l'una e l'altra hanno identico il p1·ocesso di formazione. La morale privata non si costituì per ispirazione o rivelazione divina; si costituì traverso alle lunghe lotte degli individui selvaggiamente alle prese fra loro. Fu l'esperimento doloroso della vicendevole prepotenza, che ridusse l'individuo a. contenere il proprio arbitrio entro certi limiti, per cui diven– tasse possibile una prima forma sociale. Ma le collettività. (genti, tribù, nazioni, classi) rimanevano fra loro nel medesimo rapporto di lotta in cui si erano dibattuti gli individui eslegi. Senonché, anche su questo campo, venne facendosi sentit·e (sotto la pressione specialmente delle ne– cessita economiche) la opportunità di sostituire la cooperazione alla lotta. Spesso la cooperazione fu imposta dalla conquista. E così anche la morale politica venne evolvendo, in virtù della lotta, verso. la eliminazione della lotta. Procedimento identico a quello per cui si formò la morale privata. La certezza positiva della fusione, a cui tende il mondo sociale, tra morale privata e morale poli– tica discende dalle cose ora dette. Noi abbiamo visto infatti nel corso della preistoria e della storia allargarsi ognora più le propòrzioni dei gruppi sociali: dalle genti primitive siamo arrivati alle grandi nazioni moderne, anzi alle federazioni in– ·ternazionali. E già, in virtù della lotta ingaggiata nell'interno delle singole nazioni, il proletariato di tutti i paesi é salito a tale altezza morale da veder spuntare sul suo orizzonte la fusione delle patrie in una patria sola. Alla fusione delle patrie si ac– compagnerebbe la eliminazione della guerra che oggi si combatte entro i confini di ciascuna patria~ la fusione in una classe sola delle classi che oggi sono in lotta fra loro. Sarebbe allora raggiunto quel limite della evoluzione che lo Spencer pone nel tempo in cui le società abbiano conquistata una pace permanente. (1) Finché tuttavia esisteranno queste patrie diverse, ossia queste diverse collettività aventi interessi speciali da far prevalere soperchiando le altre; e finch6 anche nell'interno degli Stati durerà una condizione di ostilità. fra le classi o gli endo-gruppi sociali; la morale politica si ispirerà., dal più al meno, a quello che l'Ardigò chiama il << machia- . vellismo », -o in altre parole la morale politica ri– conoscerà per leciti molti atti che sono riprovati dalla morale che si applica nell'interno delle na– zioni e dei gruppi. Non senza però un grande divario, come rileverò in seguito, fra la condotta politica d~i gruppi che hanno funzioni progressive, e la condotta dei gruppi che hanno funzioni con– servative. A ogni modo, il movimento evolutivo verso la unificazione completa della morale privata e della morale politica non può essere negato. Per negarlo bisogna ignorare, come dimostrai, l'intima legge che ha presieduto al formarsi della morale privata, bisogna avere la incapacità e il deliberato propo– sito di non approfondire le ragioni per cui finora la morale politica fu distinta dalla privata; bisogna infine disconoscere la tendenza dell'evoluzione verso uno stato di cooperazione e di pace fra gli uomini, verso lo sviluppo sempre maggiore dell'organismo sociale. Ma é evidente che per venire alle conclu– sioni a cui é venuto - e che ora analizzeremo più davvicino - il signor Sighele aveva appunto quanto bisognava. LEONIDA BISSOLATI. (') SPENCER, op. Cit, pag. 20. GIUSEPPE RIGAMONTI, gerente responsabile. Milano, Tipografia degli Operai (Soc, coo\),),. c. Vitt. Eman. i2-t6 ..

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