Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 4 - giugno 1976

cui il calice del sangue è versato per molti (yper polLòn è il termine del deu– tero-Isaia in riferimento al dono della sua vita che il Servo compie) ed è il calice della nuova Alleanza. Se ci riferiamo a questa prospettiva, la teologia del Nuovo Testamento può fondarsi su questo principio: gli eventi del Vecchio Testamento mostrano che il Vecchio Testamento è essenzialmente una profez-ia del Nuovo: la legge e il culto veterotestamentario, messi alla prova della storia, si sono rivelati in– sufficienti. Essi possono valere dunque solo come profezia del?,a nuova alleanza. È Paolo che ha fondato questo principio: la Legge come «pedagogo». E tuttavia il problema è posto in termini analoghi anche per la Chiesa e per il Nuovo Testamento. Quando nella I Corinti, 2, Paolo scrive: « queste cose sono accadute tupikòs (in prefigurazione) ad essi (gli ebrei nel deserto), ma sono state scritte in ammonimento a noi, giunti alla fine del tempo», e ag– giunge subito dopo (v. 12): « cosicché colui che stima di stare in piedi (da solo) non cada», chiude un problema, e ne apre un altro. La «caduta» di Israele nel deserto mostra che l'economia israelitica non è quella intesa da Dio, ma solo una profezia, una prefigurazione: e tuttavia, anche per l'uomo del Nuovo Testamento la situazione non sembra mutata: egli è anzi divenuto maggiormente responsabile. Gli israeliti credettero che la parola di Dio desse loro una sicurezza morale, quindi una sicurezza mondana: essi credettero di possedere nella scelta di Dio la santità di Dio come una energia propria. Il popolo del Nuovo Testamento sa che non è possibile il possesso in forma ras– sicurante e mondana della santità divina: per questo è ancor più colpevole se ritiene di poter possedere l'energia vivificante di Dio come una cosa propria. La maggior conoscenza di Dio, resa possibile proprio dalle cadute di Israele, richiede una maggior coscienza del modo di essere e di agire di Dio e confi– gura quindi una maggiore responsabilità spirituale. Questo principio è svolto direttamente e con maggior ampiezza nella let– tera agli Ebrei. La differente dignità della vecchia e della nuova alleanza com– porta una maggior colpa in chi viene meno alla nuova: « se essi non fuggirono il castigo, per aver rifiutato Colui che parlava loro sulla terra, quanto meno noi (fuggiremo al castigo) se ci allontaniamo da colui che parla dal cielo > (Ebrei, 12, 26). La lettera agli Ebrei è il testo neotestamentario che ha introdotto la di– stinzione umbra ( skìa) figura ( eikon) ( 1O, 1). Eikon ha in Ebrei un signifi– cato cristologico: nel capitolo 1, 3, il Figlio è definito apaùgasma tes dòxes e charaktèr tes upostciseos, che hanno il medesimo senso di eikon. Con ciò è for– temente sottolineata l'identità nel Figlio tra economia neotestamentaria e pie– nezza eterna. Ciò non toglie il carattere storico e perciò non indefettibile della presenza del credente in Cristo nel Regno indefettibile. Vi è così una omoge– neità tra l'economia umbratile e quella figurale: nell'una e nell'altra il singolo può venir meno alla ParoLa di Dio. Così allora si propone, anche per l'economia neotestamentaria, il proble– ma che si era proposto per l'antica. Se, secondo la profezia di Ezechiele, Dio avrebbe concesso uno spirito nuovo e mutato il cuore di pietra in un cuore di 3 bibliotecaginobianco

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