Quaderni Piacentini - Nuova Serie - n. 12 1984

94 mettesottoaccusa la grandezza di Goethe per aver frenato lo sviluppo della lingua tedesca fissandola a uno stadio di perfezione. Al linguaggio astratto, asettico, paradigmatico si contrappone quello dei sentimenti, della fluidità, della popolarità, a una lingua forte una lingua debole. E' chiaro però che Kafka è legato alla prima e che la seconda resta per lui un'utopia per cui i l mondo jiddish rivelatogli da Löwy gli offre un eccellente materiale. Ma nelle sue condizioni e con la sua formazione egli non avrebbe mai potuto diventare uno scrittore jiddish e del resto se lo fosse diventato sarebbe appartenuto alla letteratura «minore». L'unica esperienza ebraica di cui sappiamo che Kafka l'ha vissuta con estrema intensità rimaneva un'utopia e non potevaconcretarsi nella sua attività di scrittore. Passiamo allora alla seconda categoria, quella del piccolo borghese, che possiamo liquidare più rapidamente. Una delle ragioni dell'insoddisfazione per le spiegazioni «ebraiche» di Kafka sta nel fatto che esse sono state bensì presto avanzate da Max Brod — che nel 1916 scriveva nella rivista di Buber «Der Jude»: «Benché nelle sueopere non appaia mai la parola 'ebreo' esse appartengono ai documenti più ebraici del nostro tempo» — ma che chi non era così interessato all'ebraismo non ce lo vedeva e faceva subito un nome, come termine di paragone, che non era di un ebreo e nemmeno di un mitteleuropeo: quello dello svizzero Robert Walser (del resto letto conmolto interesse da Kafka). Robert Musil recensì addirittura nellostesso articolo dell'agosto 1914 (nella «Neue Rundschau») i due scrittori: Kafka gli sembra «un caso speciale del tipo Walser» e scorge la differenza specifica nel fatto «che lo stessomodo d'invenzione suona qui in triste e là in allegro, che là c'è qualcosa di vivacemente barocco e qui, in frasi che deliberatamente coprono pagine intere, piuttostoqualcosa della scrupolosamalinconia con cui un pattinatore esegue i suoi lunghi nodi e figure». Ora, oltre al ghirigoro (che emergevaparticolarmente nel volume Meditazione qui recensito), i due avevano in comune l'interesse per il piccolo e piccolissimo borghese, il proletario in colletto duro, l'assistente o il maggiordomo di Walser, l'impiegato di banca o il commesso viaggiatore di Kafka. In Walser questopersonaggio — come ha ben visto Claudio Magris o s c i l l a tra due opposte tendenze: o si mimetizza abdicando volontariamente a se stesso e identificandosi coi padroni, oppure cerca di rimanere alla periferia, di ignorare o respingere la società organizzata con atteggiamenti ironici e anarcoidi. I n entrambi i casi si rinuncia alla pretesaottocentesca di trovare qualche accordo tra l'io e i l mondo. Questo vale naturalmente anche per Kafka, solo che qui i l peso del mondo è molto più greve e l'alternativa di Walser non è più possibile: Biblioteca Gino Bianco

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