Quaderni Piacentini - Nuova Serie - n. 12 1984

riasomiglia a troppe storie per aver bisogno di grandecostruzione, le vitepersesono legione, ma l'atteggiamento di Pialat, la sua attenzionené benevola némalevola ai modi di vivere e interagire di un contestoche è di tutti — ripeto, nel mondooccidentale, e in certi strati dell'altro — e che è quello della universale piccolissimaborghesia con tutte le sue tentacolari cooptazioni, è retto da un atteggiamento chepossiamosenzavergogna e con elogio definiremorale. Forsequesto è il modo più vero di far morale, oggi, rifiutando di farla. Guardare, descrivere, lasciare che accada ciò che non pm') cheaccadere, senzanessunamistificazione «culturale»; e costringere gli altri — l'oggetto dello sguardo — a guardarsi. E' stato forse un capoche Pialat, ex-attore, si sia assunto nel film il ruolo del padre, mache egli si siamesso in campo anche comepersonaggio non è indifferente. Sa che siamo tutti nel mazzo, e fa oggetto dello sguardo anchese stesso, non si vuole escludere. À nos amours, titola il suo film: amori egoisti, di monadi costrette in una gabbia e senza speranza di uscirne, distanziate e accostate nella loro risibile tragedia priva di prospettive come di catarsi, in cui tutti sono vittime e carnefici, e non sonosolo i più deboli quelli che danno la vita alle orfiche. Et il y a les italiens... Vado di rado al cinema,masonoandato a vedere FFSS, opera di due trucidi geni da copertina del nazional-polare di questi anni. Ero incuriositodall'insistenza delle polemiche, dalla cassa di risonanza dei media, dalla sfacciata propaganda parrocchiale degli autori e dall'insipienza dei detrattori. Ne ho avuto per i miei soldi, e visto chetanto si parla, in questo e in altri film italiani, di merda (la nostra è evidentemente una società satolla e impotente, che s'ingozza di tutto e retrocede all'anale con voluttuosa soddisfazione), ne ho concluso: a società di merda cinema di merda. Ho visto, ahimé, anche la nave che va, i suoi simboletti e giocherelli «poetici», la sua fracassona invadenza metaforica, la sua svendita di scampoli magliari. E non mi sono risparmiato i bavosi «aparte» televisivi dei nuovi comici o dell'incarognito tassinaro... Il cinema italiano è morto? E' difficile negarlo, mi pare. Eppurevorrei segnalare a chi l'ha perso (e l'hanno persopressoché tutti, perchemamma Gaumont, poi anch'essa stecchita, e padrino Agis l'hanno tenuto nelle sale per non più di tre-giorni-tre nelle sole grandissime città, e i fraterni critici di quotidiano l'hannounanimemente Biblioteca Gino Bianco

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