Quaderni Piacentini - Nuova Serie - n. 12 1984

169 dell'oltrevita, anche per il tramite dei due nipoti, uno dei quali, asessuato e folle, è in quanto tale il verosacerdote del mistero, più cabalistico e magicoche non religioso. L'ebreomercante ed errante come forza di comunicazione con la vita e la morte riannoda con uno stereotipodimenticato, per intenderci quello di Ivanhoe, e che qui egli sia in grado, in una scenamirabolante, di operare miracoli, è una bella idea, e forse la più bella vendettacheBergmanpotevaprendersi sulprotestantesimo. Alexander, infine, è il vasoche si riempie e si educa da solo a contattocon i modelli materni e paterni, e che forse troverà una conciliazioneUlteriore tra essi: il suoateismo (in sostanza, per lui come permolti, Dio non c'è e se c'è è un fascista) è aperto al misteroma rifiuta terrori e consolazioni: uccide per interpostodesiderio il pretepadrerepressore, ma ascolta più le voci maschili che quelle femminili del film, anche se Bergmansembra esprimere la sua morale di accettazionedella vita e la ricerca delle poche gioie che può dare attraverso il più femminile dei maschi del film, GustavAdolf — il bravissimoJanl Kulle, in un contesto di un clan di grandi attori, famiglia allargata di Bergman, di un solido impianto naturalistico oggi raro, e apprezzabile, dopo tanto scialo di psicanalisi e di gestualità. ComeBergman, Alexander è affascinato dal teatro e dalla Ianternamagica, anche per lui la vita è barocco teatro, ma forse, crescendo,saràmiglior regista di Bergman, chesembra aver trovato conciliazione e chiarezza, lasciando un piccolosospetto di accomodante magnificazione a un'età troppo tarda per poter ricominciaredaccapo. À nosamours di Maurice Pialat. E' così raro vedere film davvero stimolanti, oppressi come siamodal déjà vu, che spero mi si perdoni se parlo di un film che, a parteun'apparizione romana, non ha ancora avuto circolazione sui nostri schermi e forse non ne avrà. À nos amours di Maurice Pialat, francese del Nord alle soglie dei sessant'anni, è il miglior film francese, a parte L'argent di Bresson, forse da anni. E ha la particolarità diesserepienamente francese, di avere qualchesomiglianza conmoltocinema francese, ma di essere diverso da tutti. Anche Truffaut, Chabrol, Rohmer, Godard (cioè, l'ex nouvelle vague) si soffermano supiccoli universi familiari e intimi, anche Sautet e Tavernier descrivono il mondocomunedei francesi di oggi, ma in nessuno di questi registi c'è la lucidità dello sguardo che Pialat possiede. I suoi filmmigliori, tra i pochi che ha realizzato (ha debuttatomolto tardi, Biblioteca Gino Bianco

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