Quaderni Piacentini - Nuova Serie - n. 12 1984

168 glia clan-borghese era più repressiva di così (almeno la letteratura ce lo insegna), quella del clan-contadino era patriarcale e dominata dalle costrizioni della scarsità, e le sopravvivenze odierne della famiglia-clan, molto più numerose per esempio in Italia di quanto non si creda, sono di tipo camorristico e mafioso, e si definiscono contro, comestrutture di potere e di accumulazione. Bergman può giustificare la libertà del suo clan abolendo i l patriarca (e con esso il Dio del potere) e facendo dei suoi membri una famiglia di artisti, di teatranti. Se è possibile prevedere un'attuazione contemporanea e futura del modello Ekdahl bisogna cercarla altrove: per esempio (e il paragone parrà a molti incongruo, ma per me non lo è affatto) al gruppo de Gl i amici di Georgia, i l bistrattato e incompresocapolavoro di Arthur Penn. Sianostalgia o utopia, sia realtà possibile o solo sogno di realtà, la famiglia Ekdahl ci piace e piace, e questo vuol dire che qualcosa da dirci ce l'ha. Del modo in cui Bergman la tratta — per esempio nell'amplissimo blocco iniziale della notte di Natale, più di un'ora di film! — colpisce anche una collocazione, rispetto alla storia del clan, atemporale. I l romanzo e il cinema ci hanno abituato a queste grandi scene complessive e riassuntive ma in genere per dirci che qualcosa corrode dall'interno quel complesso, che la decadenza lo mina (pensiamo allo stupendo ricevimento degli Amberson di Welles o ai balloni e pranzoni del nostro Luchino), oppure, come nel finale di un Guerra e pace, per dirci che la vita continua, che quella è una pausa di cambio e di scambio tra generazioni, e tra una guerra e l'altra della storia. Bergman ci dà invece lo splendore di un mito, una lieve euforia evocante un modo migliore di vivere i rapporti con gli altri. L'autentico, direbbe qualcuno; e ci sta bene. 1 secondo blocco del film è maschile, sotto i l segno dei poteri edelle proprietà maschili (Fanny è nel film un personaggio del tutto secondario rispetto ad Alexander, i l titolo è insomma abusivo: ma sechiamiamo Fanny le donne di casa Ekdahl, madri e figlie e padrone eserve, tutto si chiarisce), ed è uno e trino e come dio padre: i l vescovo, l'ebreo, Alexander. Bergman è memore del terribile padre luterano col quale non ha smesso di regolare i suoi conti, e al vescovo, che incomberà anche nel futuro di Alexander, è riservata la parte peggiore, e se un difetto questo film ha è quello di fare di lui e solo di lui una specie di caricatura grottesca, negandogli i l tipo di credibilità che il regista ha riservato in altri film ad altri pastori repressorepressivi. L'ebreo è la parte «terrestre» (amante della vecchia Ekdahl, il cui defunto marito era suo amico e consentiva, è un mercante e anche prestasoldi) che ha bensì rapporti col mistero della vita e Biblioteca Gino Bianco

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