Vita fraterna - anno III - n. 8-9 - 30 apr.-15 mag. 1919

VITA FRATERNA c6r -di -un « dopo» grandioso da attuare? chè il grigiore dell' Internazionale diffuso a verniciare o a tentare di nascondere tutte le differenze nazionali non credo possa rappresentare quella lucé abbagliante, quella gioia •di vivere e non di vegetare, che tutti che sentano desiderano ed aspettano. Se dunque le teorie massimaliste hanno un punto di partenza buono ed un punto di arrivo immediato pure buono ed uno scopo altamente umano, poichè mirano a porre ogni uomo (che lo meriti, bisogna aggiungere) in condizinne di vita sana e tranquilla materalmente, dove è stato segnato il punto di fermata di una tale concezione? Una volta ammesso eh·: a· tutti e soprattutto a que!li che sinora non l'hanno mai posseduta (e che la meritino, aggiungo a11cora) deve essere largita una conveniente agiatezza, dove si intende porre il limite di questa convenienza o ragionevolezza? Ecco il punto interrogativo della concezione massimalista che ap·pare a chi libero da ogni legame di interessi con· qualunque classe si accinge ad esaminare il contenuto per tentare di scop&.irvi il bene dell'umanità. Se gli eccessi di agiatezza riescono tollerabili uti·g-i (e .iJOll vog!io co11 qnes~o difcnderL) 111 c:t1i sond 1 ruj·-~~-~ e rappresentano perciò una piccola percentuale si eleverà ad una totalità? Dove andrà a finire il rendimento, per restare nell'imagine del lavoro meccan1e0? :--arà l'inaridimento ddb produzione: la Russia informi. ' Ma di questa concezione così materialmente assolutistica -della felicità umana la responsabilità ricade (e torno al mio punto di partenza) sulla classe dirigente. Il proletariato, diciamo pure la parola grossa, non può ispirarsi nei suoi indirizzi di vita che alla classe dirigente, poichè questa tiene pur sempre nelle sue mani la coltura e la ricchezza. Non può il popolo. (salvo casi eccezionali che non infirmano la regola, anzi la confermanQ) porsi un ideale suo proprio: esso naturalmente, per .J.egge incoercibile guarda a ciò che fanno quelli che sono al di sopra di esso per educazione, per coltura, per raffinatezza di sensazioni. Sono due grandi mediocrità di fronte: quella def popolo e quella della classe dirigente: è naturale che la prima si soffermi a contemplare quello che la medio- ~rità più ricca, più colta, più fine fa, e cerc-hi , i infor'P'lrvi~i e rl; imitarla. E che cosa fa l'operaia, quando istintivamente cerca di salire e di farsi più bella? non imita le vesti e le foggi e della signora? Ora, ed ecco il punto, che mostra fa di sè stessa la classe dirigente? In un'epoca in cui l'idealità religiosa si è venuta affieYolendo (non per colpa dell'idea in sè stessa chè come ogni concezione religiosa, è eminentemente buona e morale, ma per colpa dei divulgatori che l'hanno fatta intisichire rinserrandola nella fredda compagnine di formule e di dogmi)-, in n tempo in cui non s è avuta ancora una nuova parola 11 • stica ispira1 rice è forse naturàle che la parte mio-!iore dei!' uman'tà si sia I Biblioteca Gino Bianco

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