356 .VITA FRATERNA trovato. Ebbene, di tutte le differenze eh' io ho notato da un ospedale all'altro, una ve n'è èhe supera tutte le altre, differenza capitale per cui gli ospedali possono dividersi in due grandi categorie~ quelli dove prestano servizio e quelli dove non prestano servizio le infermiere volontarie. Sono le fate degli ospedali: come esse non si vedono quasi mai. Ma basta passare da un luogo di cura dove vi sono a uno dove non vi sono per sentirne la mancanza. Anzitutto dove vi è una donna il piantone non è più quello - è forse una tacita virtù della gentilezza quella di essere contagiosa. Poi non vi è più bisogno di chiamare a lungo per essere ascoltati, di chiedere più volte per avere. Soltanto chi non ha provato non sa quale calma dia ai poveri nervi di un ferito l'esaudimento di un desiderio non manifestato, ma intuito. Soltanto chi non ha provato, non sa il sollievo di un sorriso, di una frase buona, quando si soffre e non vi è nulla da fare. E anche il rifiuto ali' esaudimento di uno di quei desideri di ammalato, che sembrano ossessioni, può sembrare sopportabile o meno a seconda che viene accompagnato dalla dolce parola di conforto di una donna o da un gesto seccato di stizza del medico ò del piantone. Sì, anche del medico, perchè il medico è un uomo anche lui, come noi. Come noi ha i suoi giorni, le sue ore di malumore, spiegabili per lo più, scusabili dopo. un lavoro intenso, magari di giorni interi. Ma le infermiere no. In più di dodici mesi di ospedale non ho mai udito una parola, visto un atto che potessé anche lontanamente dire noia, uggia. Mai un gesto che potesse parere· di ribrezzo, pur nei lavori più umili, più duri, più ingrati. Sempre lo stesso umore, lo stesso sorriso, anche quando nell' esasperazione d~ certe ore, ci s' incaponiva su desiderii inconsulti, su domande assurde. Sempre, sempre lo sforzo di addolcire le pillole, sia moralmente che materialmente. Sempre, sempre il pensiero gentile, l'idea buona,. quelta che nei momenti dì sconforto, di pena, fa bene come un raggio di sole. E mai di giorno come di notte, un segno di stanchezza. Mai neppure in quelle ore dell'alba, in cui pare impossibile che il sonno non vinca queste donne abituate a tutt' alfro tenore di vita. Ricordo una sera in cui non ero ben sicuro di arrivare a vedere il giorno dopo. Nell'immenso stanzone del!' ospedale da campo, nulla che non mi ricordasse il mio stato, nulla che fosse lì per me come uomo e non come ferito. A un tratto entrò un'infermiera. In punta di piedi (credeva io riposassi), mi mise accanto al letto in un bicchiere due fiori. Poi come aprivo gli occhi, mi chiese scusa che fossero un po' sgualciti. Le erano arrivati da casa e aveva pensato a BibliotecaGino Bianco
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