Via Consolare - anno I - n. 2 - gennaio 1940

cida e p~lita: coltivare eleganti aiuole, senza fare il calibano fra le caverne. Poi chi vi dice che io costruisca etiche e pretenda di bandire la crociata ideale del rinnovamento dell'uomo ? - Ma, e l'ideale cristiano? - domandai - Oggi mi pare un pò difficile, oggi, nell'epoca dei feretri a motore, attuare l' ideale cristiano, della • Storia di Cristo» e di • Sant' Agostino». - Sapete: la vita o si vive o si scrive. Io la scrivo. Il che non toglie però che chi scrive non viva; se la crea, la vita. lo non sono Tolstoi, che commetteva funambolerie ascetiche: io sono sempre cli buona schietta razza toscana: quindi positivo. Oggi l'ideale cristiano è ben difficile inverarlo: il cilicio è molto lontano: ma - ora - basta la penna. La quale tratta la carta e non la carne: la carne degli uomini teme il solletico. Certe volte esco: vedo i muratori che costruiscono: sollevano massi, pietra, battono, dicioccano, proprio come al tempo degli schiavi di Ninive : quasi mi verrebbe la voglia di credere che veramente non c'è nulla di nuovo sotto il sole. La vita è oggi come cinque o sei millenni fa. Ma aumenta l'eleganza e l'estetica: questo è certo. Prima ci volevano scimitarre e spadoni o mazze di ferro e giacchi e gualchiere per accoppare un mortale: oggi basta un granello d'arsenico. E così pure prima per la fede ci volevano cilici e spini e graticole: oggi tutto è più elegante: basta un libro. Tutt'al più rilegato in tela e oro. Edito dall'Editore Vallecchi. Ma libro. (Non so se in quel momento Giovanni Papini fosse sincero o ironico: scettico, certo no. Non lo è stato mai). - Sicchè non siete mutato: siamo noi che crediamo veder mutato Giovanni Papini del « Dizionario del- ]' Omo Salvatico » da quello di « Un uomo finito». - Tutte le mie esperienze letterarie mi ricordano un giorno, un giorno soltanto della mia vita, il giorno di 12 FondazioneRuffilli- Forlì San Martin la Palma, un paese tanto lontano quanto bello: e là una casa di campagna con l'orto grande, i fichi dolci e generosi: era la mia immaginazione di fanciullo. Alfine arrivò il giorno sospirato: a saziare la mia fame non rimasero che pochi bozzacchioni pendenti dagli stecchi dello squallido orto. Quest'episodio, questa «sverza» della mia vita mi pare riassuma tante esperienze. Io amo le idee più per le speranze che possono suscitare e per i mezzi che possono offrire. Ci sono gli agoràfobi: a me non fa paura il camminare : anzi proprio quello mi piace, il mio vagabondaggio letterario. Mi fa paura invece la meta. Ai muli e ai cavalli si mettono i paraocchi, perchè proseguan dritto. A me piace conoscere tutto ed agganciarmi a questa o a quell'idea, a a questo o a quel movimento letterario. E così pure ora mi piace, più che credere, aver la volontà di credere. - Credere, mi venne di interrompere d'un tratto, credere: e che ne dite del giudizio di Wells sulla vostra « Storia di Cristo • : « Sarà pure un bel libro: non lp nego: ma i Vangeli sono più corti». - Quell'Abacucco da gazzetta proprio questo non capisce, che io ho bisogno di vedere la verità cristiana più lunga di quel che non sia nei Vangeli: lunga come l'amore, lunga come l'attesa e la speranza. Voi mi avete portato la statuetta del Pilota Cieco. lo penso che gli uomini di genio siano proprio come il Pilota Cieco. E proprio perchè è cieco il pilota può guidare : perchè coloro che vedono, vedono, ma non sanno di vedere. La mia vita è stata proprio così: un pilota che ha chiamato sulla nave i compagni; ma ha avuto - il pilota - biso~no di convincere prima sè e poi gli altri, molto spesso. Ma ha chiamato sulla nave. E questo è quel che più conta. Papini tacque. Ma ecco . che una contaclinotta di questi colli toscani portò del pane e formaggio, come regalo a questo grande toscano che è Giovanni Papini. Accettai di buon grado l'offerta che egli mi fece. E fu portato il pane e il formaggio. Pane scuro, opaco e buono donativo della terra; bianco formaggio, chiaro dono della pastorizia. Gabriele d'Annunzio avrebbe ordinato per lo meno caviale, Ma Giovanni Papini è tempra schietta e sopratutto sana. Sgranocchiava il suo pane. Poi disse: « Il pane: ecco il solo cibo che distingue l'uomo dall'animale. L'uomo è il solo che mangi pane. Forse perciò l'italiano è il popolo più civile. « Humanitatem homini dare• : ecco - secondo un Romano - l'ufficio d'Italia nel mondo. Ebbene al fiero barbaro, al Celta, al Teutone, a chi mangiava frutto salvatico o prodotti di pastorizia Roma insegnò l'uso del pane. E quando penso che questo è il gran popolo dei mangiatori di pane, son convinto che da noi la civiltà sarà sempre nuova e feconda. Pane: chi sa perchè di fronte al pane ci sentiamo come emigranti della vita». E fu allora che capii Giovanni Papini. L'emigrante ama di più la sua terra; la terra straniera gli fa sentire l'amore della terra materna. Come la stroncatura fa sentire più il bisogno d'amore, come l'ideale cristiano vissuto fra i libri fa meglio sentire la passione di quello inverato in pratica, come chi si è assiso a banchetti letterari di ogni nazione può meglio ritornare alla sua terra e amarla. E Giovanni Papini ama tanto la sua Italia: « Italia mia». La poesia: ecco la vera unità di Giovanni Papini; egli è poeta: sia che stronchi, sia che scriva le • Memorie d' Iddio » e la « Vita di Cristo• o scriva l'appello di civiltà in < Italia mia». Quel breve episodio del pane e del formaggio mi illuminò tutta la personalità di Giovanni Papini. Lo scopo della mia visita era finito. E fui ben felice di aver visitato un uomo come Giovanni Papini. Cioè un «Uomo». VIA CONSOLARE

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