Una città - anno V - n. 43 - settembre 1995

Giornali. Scrivo molto, forse troppo, per svariali giornali e riviste (amo, invece, i giorni senza giornali). Non so dire di no a chi me lo chiede. Così non arrivo mai a scrivere un libro: quello che mi premerebbe tanto, sarebbe un buon libro per capire il Sudtirolo; in versione italiana e tedesca. Dall'inizio degli anni '60 scrivo articoli. Ho contribuito a fondare e dirigere diversi giornali: in particolare Offenes Wort, die briicke, Tandem, sono i giornali non certo più prestigiosi, tra quelli dove pubblico articoli, ma ci sono più affezionato. Per un certo tempo faccio il direttore responsabile (per la legge) a lotta continua, dove svolgo anche il mio praticantato per diventare, previo esame, giornalista professionista. Il progetto giornalistico al quale terrei maggiormente, sarebbe un buon giornale bilingue (settimanale prima, quotidiano poi) per il Sudtirolo, come prefigurato da Tandem ( 1981-82). Ma occorrerebbe un qualche tangibile sostegno democratico dal1' Austria, dall'Italia, forse dalla Germania. Ed invece arrivano sempre solo deplorazioni quando le bombe sono già scoppiate. Per il resto solo comprensione ed incoraggiamenti generici. L'insegnamento. Svolgo con grande impegno e passione il compito di insegnante. In due periodi ( 1969-'72, 1975- '78) la scuola mi assorbe con particolare intensità. Insegno filosofia e storia, nei licei classici di lingua tedesca a Bolzano e Merano, in un liceo scientifico della periferia di Roma (XXIII liceo scientifico statale). La mia vita nella scuola non è facile, costellata di trasferimenti punitivi, di note di qualifica con «sufficiente» e «buono», con frequenti interventi repressivi di presidi e provveditori. Mai un appunto sulla qualità della mia preparazione o dell' insegnamento, o un richiamo per scorrettezze disciplinari. Mi si rimprovera di «fare politica» e di non rispettare i ruoli prestabiliti. Il rapporto con gli alunni, invece, è gratificante e durevole. Assai diversa la situazione nel Sudtirolo ed a Roma. Mentre a Bolzano e Merano la scuola è un luogo reale di acquisizione di sapere, decisivo nella formazione intellettuale degli studenti (che in maggior parte provengono dalle campagne, abitano in collegio e prendono la scuola molto sul serio), a Roma si vive tra collettivi, cortei, assemblee ed occupazioni. Ma anche lì un passaggio decisivo nella socializzazione degli alunni si compie a scuola. Credo -immodestamente- che la maggior parte dei miei studenti con me abbia imparato qualcosa di interessante e di importante, e ne serbi un buon ricordo. Con molti di loro il rapporto è ancora vivo. Di Roma ricordo con piacere l'intensa solidarietà e cooperazione con molti colleghi-compagni, nel quadro di una insolita sezione sindacale Cgil. Con i muli. Svolgo il servizio militare tardi (a oltre 27 anni), dopo aver sperato tanto di evitarlo (grazie ai due fratelli chiamati prima di me) ed aver studiato tutte le possibilità alternative (obiezione e carcere; servizio all'estero con la legge Pedini). Quando ci vado, penso alla caserma come ad un luogo di lotta di classe e di ricomposizione del proletariato, ed in quel senso mi propongo di agire, tra i «proletari in divisa». Parto con alle spalle una recentissima assoluzione per insufficienza di prove per vilipendio alle forze armate, e finisco così in una caserma punitiva cieli' artiglieria di montagna, a Saluzzo, con i muli, una disciplina rigida e una speciale e dichiarata sorveglianza a mio carico. E' il periodo della mia vita in cui sopporto la maggiore fatica fisica e mi trovo tra Mi dà una grande soddisfazione che pochi giorni dopo il congedo (settembre 1973, dopo il golpe di Pinochet) un buon nucleo ciel nostro contingente si ritrovi davanti alla caserma per una manifestazione. Saluzzo ci guarda con stupore. Lotta continua. L· adesione a «lotta continua» -alla fine del 1970- giunge al termine di un processo collettivo di ricerca: in parecchi, a Bolzano. sentiamo l'esigenza di legarci ad una realtà più grande di noi. Dopo aver sondato il panorama di gruppi ed organizzazioni- e dopo che qualcuno aveva compiuto altre scelte individuali (es. nel «manifesto»)- arriviamo a considerarci parte di Le. C'è probabilmente anche qualcosa di regressivo in questa ricerca di «affiliazione», e sicuramente anche una buona porzione di ideologia; ma soprattutto la voglia di partecipare direttamente ed attivamente ad un processo storico che riteniamo promettente, liberatorio, «rivoluzionario», che -ci rendiamo conto- avrà i suoi epicentri altrove, non nel Sudtirolo; e questo in certa misura relativizza i problemi ai quali finora ci eravamo prevalentemente dedicati. In Le troviamo l'esaltazione di momenti di spontaneità, di combattività fuori dal dogma o dalla tradizione del marxismo ufficiale, e la valorizzazione di protagonisti che non vengono dalle canoniche roccheforti rosse. «Reggio Calabria - Sudtirolo, la lotta contro lo stato» è il titolo del mio primo paginone sul quindicinale lotta continua : ritengo che in LC anche la nostra particolare esperienza locale possa trovare spazio e respiro, ed inserirsi in un processo più universale. Ed è con Le che lascio per la terza volta il - Sudtirolo, dopo il servizio militare, e vado in Germania, dopo essermi occupato nei primi anni di adesione principalmente delle «situazioni arretrate» (come quella di Bolzano) e dei «proletari in divisa». Negli anni successivi mi dedico agli «esteri» ed acquisisco conoscenze e competenze intorno a problemi internazionali, e comincio poi a scrivere -una volta passato, nel 1975, a Roma- regolarmente sul quotidiano «con la testata rossa». Partecipo al congresso di autoscioglimento di Le a Rimini (fine 1976), dove sotto la spinta delle femministe l'organizzazione si dissolve. E mentre alcuni dirigenti di Le di primo piano (a partire da Adriano Sofri) si ritirano totalmente, mi sembra di dover contribuire insieme ad altri compagni (tra i quali Paolo Brogi, Franco Travaglini, Enrico Deaglio, Clemente Manenti) ali' «atterraggio morbido», proprio per evitare una rovinosa ed inconsulta ritirata o un'altrettanto rovinosa ed inconsulta radicalizzazione dei militanti la cui fiducia - che avverto- mi responsabilizza fortemente. E' un lavoro un po' da epigoni, e varie volte tento di sottrarmene, ma ogni volta una nuova emergenza mi richiama: il movimento del 1977, i morti di Stammheim e l'inverno tedesco, il rapimento Moro ... Nell'impegno del quotidiano lotta continua a sostegno dei referendum radicali (raccolta di firme nel 1977, campagna per il voto nel 1978) vedo un utile sbocco e caldeggio con molta energia questa scelta. Solo nell'estate del 1978 penso di potermi permettere il ritiro graduale dalla redazione e dai residui collegamenti organizzati. "Spiegare il Sudtirolo". Da decenni, ormai, mi sento impegnato nello sforzo di "spiegare il Sudtirolo"; di coinvolgere l'attenzione e l'apporto di amici democratici alla causa dell'autonomia e della convivenza nella mia terra. Al di là della necessità di evitare l'isolamento ed il piano inclinato dei revanscismi, c'è anche una forte convinzione che mi sorregge: leggo nella situazione sudtirolese una quantità di insegnamenti ed esperienze generalizzabili ben oltre un piccolo "caso" provinciale. Essere minoranza, senza per questo chiudersi in lamentele e nostalgie; coltivare le proprie peculiarità, senza per questo scegliere il "ghetto" e finire nel razzismo; sperimentare le potenzialità di una convivenza piuri-culturale e pi uri-etnica; partecipare a movimenti etno-nazionali, senza assolutizzare il dato etnico; lavorare per la comunicazione inter-comunitaria ... a volte penso che tanti aspetti del futuro europeo potrebbero essere sperimentati e verificati in corpore vili, con grande profitto. Peccato che la politica dominante vada in direzione opposta (piuttosto verso Cipro, il Libano, ecc.) e che così pochi al di là dei nostri confini provinciali se ne accorgano. contadini ed operai non per aver scelto di Le mie città. «andare tra il popolo», ma per esserci stato mandato, mio malgrado, su un piede di perfetta parità. Ho vissuto in parecchie città diverse, per periodi più o meno lunghi. Nessuna la sento mia al punto da considerarmi suo BibliotecaGino Bianco cittadino (in questo senso solo Vipiteno è la ..mia città ..: però l'ho praticamente abbandonata da tanti anni), ma in molte mi capita di sentirmi a casa. E non potrò fare a meno di ritornarvi di tanto in tanto, in un giro che via via si allarga e che sento di poter ancora allargare. I miei mestieri. Ho avuto la fortuna di svolgere, nel corso del tempo, attività e mestieri abbastanza diversi, e di non identificarmi con alcuni di essi al punto da assumere iI ruolo e di dover pensare di continuarlo per sempre. E sono contento di possedere una carta di riserva che già varie volte mi è tornata utile anche per campare: traduco (volentieri), il che non è altro che un aspetto di quell'attività di ponte tra mondo tedesco ed italiano cui non potrò più sfuggire. Un funerale. Nell'agosto 1978 muore il giovane poeta sudtirolese Norbert C. Kaser, i cui primi versi sono stati pubblicati su die briicke. Al funerale di questo dissidente particolarmente significativo (che solo in seguito verrà pienamente apprezzato e meglio conosciuto) ci ritroviamo in tanti, al cimitero di Brunico. Gente che dieci anni prima era insieme, e che ora si trova a lavorare nel sindacato, nei partiti di opposizione, nella scuola ... e parecchi cani sciolti. Il silenzio di quel funerale (civile) e la dispersione e l'impotenza di tante persone che ai miei occhi rappresentano il meglio di questa terra, mi fanno impressione. Norbert C. Kaser è morto di questa impotenza. E' lì che penso di dovermi rioccupare più da vicino delle cose sudtirolesi. Pochi giorni dopo pubblico sulla Siidtiroler Volkszeitung una proposta: riunire il dissenso sudtirolese, attraversando i gruppi linguistici ed i residui dei gruppi politici organizzati, ed affrontare -anche in occasione delle prossime elezioni regionali e provincialiil gigante del regime sudtirolese con la fionda di David, senza dogmatismo e senza settarismo. Non penso ancora ad un mio ritorno vero e proprio, da Roma; la persona che io vedrei bene a rappresentare la «lista di David» in Consiglio è una maestra sudtirolese, pensionata precoce, animatrice da anni di molte iniziative, con una singolare capacità di unire elementi della più autentica eredità popolare tirolese con lotte sociali ed impegno di trasformazione. Si chiama lrmtraud Mair, e non vorrà saperne. La proposta di formare una lista variopinta con queste caratteristiche inizialmente incontra soprattutto diffidenze e riserve. Evidentemente è più facile piangere insieme un amico comune che intraprendere una strada comune per il futuro. I radicali. Dalla campagna referendaria del 1977 ho un rapporto ravvicinato con i radicali, senza essere mai iscritto al loro partito. Nel 1978 Marco Pannella intravvede nelle elezioni regionali del Trentino-Sudtirolo una buona occasione per ripetere il successo triestino (giugno 1978: i radicali si candidano al consiglio comunale ed eleggono Pannella). Ma non è possibile la candidatura «esterna», e così i radicali finiscono per appoggiare - anche massicciamente, nelle ultime due settimane- la «Neue LinkeNuova sinistra» che rappresenta il risultato (non esattamente come sperato, ma pur sempre importante) della proposta relativa alla «lista di David»: inter-etnica, con gente politicizzata e non, con persone provenienti da esperienze piuttosto diverse, disposte a rinunciare a logiche di bandiera e di partito. Resistere all'abbraccio radicale un po' troppo soffocante e continuare a rifiutare logiche partitiche (magari tra «partito radicale» e «partito dei non-radicali>>) costerà qualche fatica, ma vale la pena. Ed anche se talvolta mi sento abusivamente presentato come fiore al!' occhiello radicale, non mi pento di un rapporto fatto di autonomia e reciprocità: con radici proprie e forza sufficiente da resistere a strumentalizzazioni unilaterali. Parlamentarismo di provincia. Per due volte vengo eletto al Consiglio regionale e provinciale: nel 1978con «Neue Linke-Nuova sinistra» (mi dimetto, per rotazione «linguistica», nel 1981), e nel 1983, con la più ampia «lista alternativa per l'altro Sudtirolo», che rappresenta già un bilancio positivo ed un sensibile allargamento della precedente esperienza e riesce a raddoppiare la rappresentanza consi1iare. Entrambe le volte per me è una decisione difficile accettare la candidatura e cambiare vita. In una situazione così particolare, così circoscritta e così segnata dalla specifica problematica del connitto etnico, mi pare giustificato impegnarmi con lo strumento del parlamentarismo. Ben consapevole di quanto esso rischi di trasformare le persone che lo usano. Problemi di coalizioni o di maggioranze non si pongono. Accanto ai 33 colleghi del parlamentino sudtirolese si può solo testimoniare l'alterità del Sudtirolo di cui si è portavoce e per il quale si lavora. Ma c'è anche un profondo limite in questo uso esclusivamente come «tribuna» di un'assemblea, ed è un limite che mi sta sempre più stretto. Pacifismo. Mi sento profondamente pacifista (facitore di pace: almeno negli intenti), e mi capita con una certa frequenza di partecipare ad iniziative ed incontri per la pace. Spesso ho l'impressione che si tratti di una pace astratta, e di un pacifismo privo di strumenti per raggiungere i suoi obieuivi. Al momento della guerra delle FalklandMalvine penso: se questo fosse un conflitto italo-tedesco (-austriaco, ecc.), saprei da che parte cominciare per contribuire ad una pace concreta. Il "gruppo misto", il ponte, il "traditore" della propria parte che però non diventa un transfuga, e che si mette insieme ai "traditori" dell'altra parte... "La logica dei blocchi blocca la logica", c'è scritto su uno striscione della manifestazione pacifista internazionale che teniamo il lunedì di Pasqua, del 1984, sul "ponte Europa" vicino a lnnsbruck. Contro la logica dei blocchi: penso di avere qualche esperienza in proposito, grazie alla vicenda sudtirolese, e mi piacerebbe renderla più fruttuosa. Opzione 1981: le gabbie etniche. Fin dalla fine del 1978 vedo arrivare, nel Sudtirolo, quella che chiameremo la «schedatura etnica»: per far funzionare senza intoppi e senza zone d'ombra un sistema interamente basato sulla nitida delimitazione tra blocchi etnici, occorre la realizzazione di un catasto etnico al quale nessuno possa sfuggire. Inizialmente pochi credono che si arriverà a tanto, ed interpretano in modo riduttivo e blando le norme già predisposte in quel senso, con tanto di timbro e firma della Repubblica Italiana. Così mettiamo inguardia contro le «nuove opzioni», contro l'imposizione delle «gabbie etniche». Mi pare di capire con assoluta lucidità che si tratta del più grave attentato alla democrazia, del più grave avvelenamento dei rapporti inter-etnici nel Sudtirolo dall'accordo Hitler-Mussolini e le «opzioni» dal 1939 in poi. Vedo quasi fisicamente l'accelerazione dei processi di separazione e di contrapposizione etnica che il cosiddetto «censimento linguistico» (con tanto di iscrizione nominativa obbligatoria in uno dei tre gruppi etnici riconosciuti) incoraggerà e renderà finalmente possibile senza pieghe o riserve. Sono angosciato per questa grande operazione di razzismo legale che le cosiddette forze democratiche in Italia (tutte, dal Pci al Pii) ed in Austria consentono, minimizzano, appoggiano. Non capisco tanta cecità, tanta noncuranza, tanta confusione tra giuste esigenze di autonomia e di tutela delle minoranze e pericolosi intruppamenti etnici. Mi sembra quasi di toccare con mano un processo analogo a quello che ha portato al muro tra le due Germanie: dove prima la linea di demarcazione era appena tratteggiata sulle carte, e magari con qualche palo, ora c'è la «striscia della morte» e una vera «cortina di ferro» a dividere tra «noi» e «loro». I passi che hanno portato a questa separazione, singolarmente presi, non sembravano così terrificanti. Per un certo - breve- periodo l'effettuazione della schedatura etnica sembra in bilico. Nell'estate 1981 le resistenze, da noi indotte, si moltiplicano e raggiungono il cuore dei partiti, e qualche giornale. Ma poi, dopo tre giorni di dibattito parlamentare, nell'ottobre, prevale la ragion di stato ed i partiti del sedicente «arco costituzionale» appoggiano tutti la soluzione voluta dalla «Volkspartei»: divide et impera, ad ognuno il suo recinto etnico coi relativi capi. Insieme a diverse migliaia di coraggiosi rifiuto di firmare il modulo in cui dovrei scegliere se aggregarmi legalmente al gruppo linguistico tedesco, italiano o ladino. Mia madre, che vive ancora e che aveva già rifiutato l'opzione nel 1939, non firma neanche lei. Come tanti altri «obiettori etnici» subisco presto una precisa conseguenza punitiva: il trasferimento della mia cattedra di storia e filosofia dal liceo di Roma al liceo classico di lingua tedesca di Bolzano, già regolarmente concesso, viene revocato dal I' on. Falcucci, su pressione del partito di Magnago, per il quale non può essere considerato tirolese di madrelingua tedesca chi ha disertato la chiamata etnica obbligatoria del 1981. Mi viene in mente mio padre, ormai morto da anni, che dopo il suo licenziamento razziale nel 1938 venne informato burocraticamente dal dirigente provinciale del- !' organizzazione fascista dei medici che non era possibile alcun altro suo impiego, neanche nell'ambito della Croce Rossa o simili, e che comunque poteva sempre rivolgersi alle superiori autorità se credeva di aver subito un torto. Avrei voluto parlare in costume tirolese. Nell'agosto 1985 vengo invitato dai «verdi» di Passau, in Baviera, a parlare ad una manifestazione anti-nazista, convocata contro un raduno di neonazisti nel corso del quale avrebbe parlato anche il vicecomandante degli Schiitzen sudtirolesi. Ci vado con piacere, pur non amando più da tempo la liturgia dell'antifascismo, ormai un po' consunta. Ed infatti la manifestazione anti-nazista ha molti tratti demodés, ma la seguo con un sentimento di gratitudine. Ad un certo punto vedo arrivare un pullmann pieno di sudtirolesi in costume. Con sbigottimento li vedo scendere e disporsi per il corteo. Chiedo subito il microfono, e dal palco parlo loro: «non lasciatevi ingannare, già una volta il fascismo ed il nazismo hanno portato il nostro popolo alla rovina, state alla larga da quelli lì, un tirolese sincero non ha niente in comune con loro ...». Tutti mi riconoscono immediatamente. Qualcuno esita, i più si fanno beffe di me. Poi i capi fanno partire il corteo. E' la volta in cui avrei voluto parlare in costume tirolese. «Profeta verde». E' la primavera del 1985, le elezioni amministrative sono imminenti, in molte città e regioni ci· saranno «liste verdi». Sulla terza pagina di un quotidiano romano mi trovo apostrofato come «profeta verde». lo mi trovo a girare l'Italia per contribuire a questa semina verde. Cerco di farlo con argomenti ed intenti poco elettorali e molto riflessivi. Anche in questo caso non sono stato"ioa «candidarmi». Anzi, più che mai mi sono sentito ostaggio di un'accelerazione nata dalla combinazione di molte circostanze. Per quanto mi riguarda, è dalla metà degli anni '70 che, principalmente in Germania, osservo ed in qualche modo seguo iniziative e movimenti «verdi». Via via comincio a parlarne, a scriverne, a fungere anche qui da intermediario tra ciò che avviene a nord e a sud delle Alpi. Dal 1982 in poi contribuisco ad organizzare uno scambio più organico ed intenso, che ha un suo epicentro a Trento, anche grazie ali' opera di Marco e Sandro Boato. Nel 1984 vengo invitato a tenere la relazione introduttiva alla prima assemblea itafiana di comitati e gruppi promotori di liste verdi, che si svolge I '8 dicembre a Firenze: mi trovo così investito di una funzione di battistrada e di punto d'equilibrio che svolgo volentieri, nella prospettiva di passare velocemente il testimone ad altri, ma che mi preoccuperebbe, se si perpetuasse nel tempo e se prolungasse ed accentuasse troppo la mia condizione di ostaggio. E' difficile far credere che Bolzano non è la locomotiva verde d'Italia. Si vede che la realtà inventata dai mass-media è più convincente di quella vera. Non resta che darsi da fare per non deludere troppo. Incontri. In p:assatoho forse imparato di più dai libri. !'lei tempi più recenti mi sembra di imparare di pìù dagli incontri che mi capita di fare. (Ma forse era così anche prima, ed il ricordo inganna). Tra le maggiori fortune che mi sono state date in sorte, considero i rapporti con le tante e diverse persone che ho potuto incontrare e conoscere. In gran parte si tratta di incontri che non mi sono stati regalati in virtù di qualche posizione o ruolo (essere figlio di. .., frequentare la casa di ... , ricoprire la carica di ...), ma conquistati e costruiti, per così dire, in proprio. Così mi è concesso, fino ad oggi, di conoscere persone di indole, posizione e cultura assai differente, e di stabilire scambi ed amicizie su tanti piani e in tante direzioni. E se può essere emozionante conoscere da vicino Kreisky o Pertini o Gheddafi o Ingrao o Sofri o Illich, non è certo meno gratificante e fonte di arricchimento interiore coltivare amicizie e scambiarsi idee ed affetto con chi non scriverà mai sui giornali né vi troverà mai stampato il proprio nome. Posso dire che rifuggendo drasticamente dai salotti e dalle persone che mi cercano in funzione di qualche mio ruolo, vivo come una delle mie maggiori ricchezze gli incontri -già familiari o nuovi che siano- che la vita mi dona. Vorrei continuare ad apprezzare gli altri ed esserne apprezzato senza secondi fini. Forse anche per questo converrà tenersi lontani da ogni esercizio di potere. Alexander Lan• UNA CITTA' 9

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==