Una città - anno V - n. 43 - settembre 1995

ricordando Alex Langer Quello che segue è un testo autobiografico che Alex scrisse nel 1986 per la rubrica Minima personalia della rivista Belfagor. «Perché papà non va mai in chiesa?». Crescendo a Sterzing (950 m, 4000 abitanti), in una famiglia democratica e borghese, che a casa parla in lingua (tedesca) invece che in dialetto tirolese e nella quale Giovanni Bigazzi, l'avvocato trentino Domenico Boni, uno sconosciuto contrabbandiere e qualcun altro. E che, viceversa, lei ed i suoi genitori, perché contrari all'opzione per la Germania di Hitler, erano stati isolati nel paese. «Né tutti i tedeschi, né tutti gli italiani sono buoni o cattivi, bisogna distinguere». si respira un clima molto rispettoso e tolle- Bandiere. rante, mi inquieta molto il fatto che mio Mi piace molto girare il mondo, e per padre non vada mai in chiesa. fortuna i genitori me lo permettono, anche Un giorno, approfittando del mio compie- se vado molto da solo. A piedi, in montaanno, oso chiedere alla mamma il perché. gna, nei dintorni di Sterzing; in bicicletta, Me ne sento un po' in colpa, come anche con un raggio d'azione che arriva fino al per il fatto di non parlare in dialetto. «Il lago di Garda, all'Engadina, nel Nordtiropapà, stando in ospedale tutto il giorno e lo; poi con un ciclomotore che mi regalatutti i giorni (era l'unico medico chirurgo . no: scopro la pianura padana, la Lombarde) circondario) serve Dio in altri modi- te •dia, la Toscana, l'Umbria, i monumenti lo potrà confermare il cappellano che va .. studiati nella storia dell'arte, i luoghi di cui benecosì.»Ilcappellano,unpretececoslo- ho letto nei libri. Più tardi l'Europa. Mi vacco in esilio, conferma. piace dormire negli ostelli, conoscere gioPiù tardi mia madre mi spiega anche che vani di altri paesi. Ho sempre trovato commio padre è di origine e~ica e che non plicato spiegare da dove vengo. «Ma allora conta tanto in che cosa si crede ma come si sei italiano o tedesco?». vive. Lei, in quegli anni, fa parte del con- Nessuna delle bandiere che spesso svettasiglio comunale, come indipendente eletta no davanti a ostelli o campeggi è la mia. sulla lista «tedesca» della Svp, ma ne esce Non ne sento la mancanza. In compenso presto, quando il clima peggiora e la ri- riesco, con il tedesco e l'italiano, a parlare chiesta di avere antifascisti in lista non è ed a capire nell'arco che va dalla Danimarpiù così forte. ca alla Sicilia. Nella mia cittadina, che amo molto, sento (A proposito di bandiere: a casa mia non si una certa estraneità che mi rende facile il è mai issata la bandiera tirolese, né alpassaggio precoce alla scuola media, a cun'altra bandiera. Nella festa del Sacro Bolzano, dai francescani. Faccio il pendo- Cuore passava qualcuno che si segnava sul lare settimanale con Bolzano, per la scuola taccuino le case con bandiera. Per conto (a Vipiteno, paradossalmente, solo gli ita- del partito tirolese. Un altro faceva la stesliani hanno le scuole superiori: un quarto sa cosa, per conto della Questura.) della popolazione, ma con i figli degli ufficiali). Chiedere il biglietto o un'informazione in tedesco è impensabile. In città ci si sente proprio in minoranza, da tirolesi. Sul mio autobus (linea 3 di Bolzano) siamo solo due bambini di lingua tedesca. I fascisti fanno cortei per l'Ungheria e per «Magnago a morte». Me ne sento minacciato anch'io e comincio a sentire il fascino della resistenza etnica. Ogni sabato leggo la terza pagina del Dolomiten che riporta capisaldi della storia sudtirolese, informa sui soprusi degli italiani, delle promesse non mantenute dallo Stato, di come si viveva sotto il fascismo. Il processo contro i «ragazzi di Pfunders» (accusati -credo ingiustamente- di avere ucciso un finanziere, in seguito ad una lite d'osteria, e duramente condannati) mi emoziona e mi indigna. Quando una mattina, passando in treno da Waidbruck (Ponte Gardena), vedo che il «duce di alluminio» è stato fatto saltare di notte, ne sono contento. Fanfani prometterà poi di ripristinare quella statua equestre al «genio italico» che rappresentava Mussolini a cavallo, ma non succederà mai. «Perché noi non odiamo gli italiani?». Percepisco che il clima in casa è diverso da quello fuori, anche nella seconda metà degli anni '50, quando si va verso gli attentati dell'autonomismo ed irredentismo tirolese. So già abbastanza bene l'italiano: i genitori ci tengono che a scuola io lo studi bene, e mi avevano persino mandato ali' asilo italiano. Insieme ai fratelli registro la differenza etno-linguistica tra la gente come un gioco: per strada ci mettiamo a indovinare chi è «tedesco» e chi «italiano», e verifichiamo col saluto. Non ci si sbaglia quasi mai. Dopo i primi attentati avverto una certa differenza di tono tra mia madre (più solidale con le ragioni tirolesi) e mio padre (più preoccupato dei possibili rigurgiti nazisti). Più marcata è la differenza di toni in famiglia e fuori. Mi sento un po' insicuro se un «ciao» italiano -usato in famigliapossa essere un tradimento, una dissociazione. A mia madre chiedo: «perché noi non odiamo gli italiani?». Mi spiega, tra l'altro, che se è vero che i fascisti hanno licenziato mio padre nel I938, per via delle leggi razziali, è anche vero che dopo il '43 sono stati degli italiani B a salv,argli I vita:~ magistrato toscano Né giudeo né greco. Il primo ideale universale che riesce a convincermi ed a coinvolgermi è quello cristiano. I miei genitori non ne sono entusiasti, ma non mi reprimono. Leggo, rifletto, prego.« Mi impegno», sentendo questo impegno come cosa molto seria. Cerco di lavorare in senso ecumenico, come in quel tempo si dice: per il superamento della concorrenza tra associazioni cattoliche; per un dialogo e conoscenza reciproca con i (pochi) protestanti di Bolzano; per momenti comuni tra cattolici italiani e tedeschi. Ognuno di questi gradini presenta qualche difficoltà in più rispetto a quello precedente. Sono gli anni del Concilio. Molte le aperture e le speranze. E' bello sentirsi parte di una comunità universale in cui non si distingue «né giudeo né greco». Ci rimango anche durante gli anni dell'Università, nella Fuci. Come non sono diventato comunista. Magari per sensi di colpa, magari per sensibilità sociale cristiana, magari per istinto di giustizia sento molto interesse « per i poveri» e per le questioni sociali. Con altri organizzo un servizio per portare legna a vecchi indigenti. Dò lezioni gratuite aragazzi poveri. Mi piacerebbe anche sapere (e far sapere) come sono i comunisti. E benché da noi del comunismo ci si faccia un'idea piuttosto per aver sentito parlare di Budapest o di Praga che non del sindacato o della resistenza, prendo il coraggio a quattro mani e vado ad intervistare per il nostro periodico di liceo (Offenes Wort, "parola aperta", da me fondato) il segretario della federazione giovanile comunista Anselmo Gouthier, uno che poi farà carriera fino alla segreteria del partito ed al parlamento europeo. Si parla in italiano, sono fiero di riuscire a condurre un'intervista in una lingua non mia. Gouthier parla di frontiere inviolabili, e che se si mette in discussione il Brennero, vacilla anche l 'Oder-Neisse. Cerco di capire cosa fanno i comunisti, e vengo a sapere che tengono «attivi». Per essere un'intervista che a scuola e presso i francescani mi costa caro, mi sembra molto magra e deludente. Forse se mi avesse spiegato in termini semplici che il mondo non si divide solo in italiani e tedeschi, credenti e non credenti, buoni e cattivi, come magari io Io vedevo, ma anche in class· e che questo lo si poteva riscontrare o anche nella realtà sudtirolese, chissà ...Così invece mi appariva più concreta la San Vincenzo. E solo molti anni dopo ho saputo che a Bruneck (Brunico) in quegli anni qualcuno aveva fatto del marxismo uno strumento critico per capire meglio la situazione in cui agiva. Ma era stato a studiare fuori. Un gruppo misto. Insieme a diversi amici comincio a capire -a metà degli anni '60- che forse un «gruppo misto» può essere la chiave per capire ed affrontare i problemi del Sudtirolo: sperimentare la convivenza in piccolo. Il gruppo si raccoglie, i più sono di provenienza cristiana, qualche non credente, ragazze e ragazzi, di madrelingua tedesca, italiana, ladina. Cominciamo a incontrarci regolarmente, a studiare insieme la storia della nostra terra (scoprendo le reciproche omissioni e reticenze), a farci un'idea di come potrebbero andare le cose. Ci sentiamo impegnati contro gli attentati (ormai di matrice neonazista, e con i servizi segreti implicati), per una giusta riforma dell'autonomia, per un futuro di convivenza e rispetto, nella conoscenza reciproca di lingue e culture. (Ma io, per non essere chiamato «Alessandro» dagli amici italiani, che allora trovavano naturale tradurre tutto in italiano, preferisco ricorrere all'abbreviazione «Alex».) Ci sforziamo di fare in modo che le critiche ai «tedeschi» vengano formulate da «tedeschi», e viceversa. Il nostro gruppo non ha nome, non compare in pubblico, ma in breve diventa un nucleo di elaborazione e di proposta che nel 1967 se la sente persino di indire un convegno, con 200 partecipanti, promosso da «6 giovani sudtirolesi» (i firmatari dell'invito di convocazione), con un benevolo appoggio di Umberto Segre su Il Giorno. Comprendiamo che ci occorrono amici anche fuori provincia, e che dobbiamo creare rapporti con l'opinione pubblica democratica italiana ed austriaca, se vogliamo uscire dal periodo delle bombe ed entrare in una stagione democratica ed autonomistica. Comincia a far riferimento al nostro gruppo - tuttora piuttosto impolitico, e senza legami con alcun partito - anche Lidia Menapace, allora assessore provinciale (Dc) alla sanità, una delle po- 1 che persone di madrelingua italiana pienamente convinte della necessità di una riforma coraggiosamente autonomistica dello statuto sudtirolese. Insieme a Lidia in autunno faccio una tournée di buona volontà a Roma, a lnnsbruck, a Vienna. Aiutati dal Mir (Movimento internazionale di riconciliazione) teniamo conferenze sull'Alto Adige, ed abbiamo qualche incontro con personalità di rilievo, tra cui il card. Konig di Vienna. La nostra ispirazione e la nostra pratica - per niente estremista e lontana dal popolo - avrebbe potuto costruire la base sociale ed ideale per dare respiro e sbocco al «pacchetto di autonomia». Invece le forze dominanti (Dc, Svp) preferiranno un accordo tutto diplomatico, concordatario, basato sulla reciproca delimitazione e contrapposizione dei gruppi etnici come blocchi. Dissidenti sudtirolesi. A metà degli anni '60 comincia a manifestarsi un po' più liberamente il dissenso sudtirolese di lingua tedesca. Principale luogo di incubazione: la Sudtiroler Hochschulerschaft , l'associazione degli universitari, iquali -essendo il Sudtirolo privo di Università- sono sparsi in numerose città universitarie, a maggioranza in Austria: lnnsbruck, Vienna, Graz, Padova, Firenze, Milano, Bologna, Salisburgo, Roma, Monaco, Zurigo, Venezia ... Sarà questa la prima - ed a tutt'oggi l'unica - organizzazione di massa sudtirolese in cui prevale, fin da quel tempo, una maggioranza non conformista. Mi ci impegno anch'io, rafforzato dal fatto di avere un «gruppo misto» alle spalle. I nostri temi principali sono la battaglia per la democratizzazione ed il pluralismo ideale e politico nella comunità di lingua tedesca. Non ci basterà lo skolast, la rivista degli universitari. Con Siegfried Stuffer e Josef Schmid fondiamo die bracke, "il ponte", nel I967. Non sempre siamo d'accordo su tutto: quando scrivo della necessità di una «nuova sinistra» (novembre I967) e di arrivare ali' organizzazione piuri-etnica nella politica sudtirolese ( 1968), il collettivo redazionale vuole sottolineare che si tratta di idee solo mie. Sul «pacchetto» si delinea una posizione comune: fare presto ed andare oltre. Nel 1969 die brucke, che dal 1968 aveva cominciato ad ospitare articoli anche in lingua italiana, cessa le pubblicazioni. Le strade dei redattori si dividono: chi approda alla socialdemocrazia sudtirolese, chi al partito comunista, chi alla sinistra extraistituzionale. Nel nostro «laboratorio letterario» hanno pubblicato le loro prime opere Norbert C. Kaser, Joseph Zoderer, RoIand Kristanell ed altri. E nell'insieme die brucke aveva dimostrato la possibilità di un cammino autoctono della giovane sinistra tirolese. Tra i suoi interlocutori più solidali e disponibili troviamo l'avv. Sandro Canestrini, uomo di sinistra che ha saputo capire e distinguere tra i «dinamitardi» tirolesi e il bacillo neonazista. Firenze. Senza molta convinzione mi iscrivo a giurisprudenza. Con molta convinzione vado a studiare a Firenze. Ci resto intensamente dal 1964 al 1967. Meno intensamente ci starò anche nel 1968. Non me ne pentirò mai. Sono gli anni del dialogo tra cattolici e marxisti. Vengo a conoscere la variegata sinistra italiana. Scopro in particolare la sua componente popolare. Incontro Giorgio La Pira, mio professore; Ernesto Balducci, che ogni settimana tiene una lezione sul Concilio, al cenacolo. Entro in contatto con Il Ponte di Enriques Agnoletti (pubblicherà nel I967 un mio lungo articolo sul Sudtirolo ), con Testimoniam:e (che anche mi invita a scrivere), con Politica (idem). Conosco Giorgio Spini, Paolo Frezza, Enzo Mazzi, Paolo Barile (con cui mi laureo), tanti altri. Imparo ad apprezzare i pregi della democrazia italiana. Vedo i comunisti da vicino, seguo le vicende del dissenso cattolico, vado ai dibattiti, faccio amicizie. L'incontro più profondo è con Don Milani e la sua scuola di Barbiana, per la quale insieme ad una vecchia ebrea austro-boema, Marianne Andre, tradurrò in tedesco Lettera ad una professoressa (pubblicata nel 1970). Come farò a non diventare «maestro» anch'io? Il '68 in provincia. Per il forte impegno locale passo il quarto anno di Università prevalentemente a casa, nel Sudtirolo. Così mi capita di partecipare ai movimenti del '68 in periferia. La nostra campagna anti-Springer, virulenta e convinta, è contro il monopolio del Dolomiten e l'editore Ebner. Pubblichiamo sulla brucke articoli sul movimento studentesco (ma abbiamo scarsi contatti con Trento). Nel corso della mia prima supplenza di tedesco, al liceo scientifico italiano di Bolzano, occupiamo la scuola per alcuni giorni; tra le rivendicazioni degli studenti: imparare il tedesco così bene come i loro coetanei tirolesi imparano l'italiano. Durante una visita del ministro Gui per la campagna elettorale della Dc assediamo il Municipio con un grande sit-in. Il ministro deve uscire dalla porta di servizio. In primavera voto Pci (se fossi stato a Firenze, avrei votato per il Psiup), con preferenza al candidato di lingua tedesca. E' il mio primo voto, dato in mancanza di meglio. In estate, con amici, visito la Germania orientale e la Cecoslovacchia, dove assisto ali' invasione sovietica ed ai primi giorni di occupazione (rimaniamo più a lungo che si può). In autunno lavoro per conto del Cnr a Bonn, per una ricerca di diritto costituzionale comparato, e conosco più da vicino I' Apo (opposizione extra-parlamentare). La Germania, l'Austria. La mia formazione «letteraria» (dalle fiabe ai libri di avventura, dai classici ai contemporanei) è avvenuta praticamente tutta in lingua tedesca. I miei studi, i miei incontri, le mie frequentazioni invece hanno un segno più italiano. Così mi resta una forte domanda di conoscenza del mondo di lingua tedesca dall'interno. Dopo la conclusione del corso di studi a Firenze, cerco e trovo occasioni per fare questa conoscenza ravvicinata, che mi accompagnerà poi per sempre. Un anno a Bonn, con il mio posto di lavoro alla biblioteca del Bundestag e l'iscrizione come Gasthorer all'Università; viaggi in molte città tedesche, austriache e svizzere; articoli pubblicati -dal 1967- su giornali e riviste di questi paesi; amicizie o scambi epistolari; un secondo soggiorno prolungato in Germania (autunno 1973 - estate 1975) con la costruzione di un vero e proprio osservatorio politico e sociale (per conto di «lotta continua») sui paesi dell'Europa centrale e nordica, e con numerosi contatti con operai e sindacalisti tedeschi, austriaci, immigrati, gruppettari, militanti, studiosi. Diventa sempre più ricco, più fitto e più variegato il reticolo di rapporti, di scambi, di ponti. Nel periodo in cui a nord delle Alpi si guarda con interesse ed invidia all'Italia, sono ritenuto «esperto» di cose italiane: nelle conferenze e nei dibattiti che tengo a Berlino, a Vienna, ad Amburgo, a Innsbruck, a Bema, a Francoforte, a Colonia, a Utrecht, parlo delle lotte, delle organizzazioni sociali, della particolare spontaneità ed autonomia di classe in Italia; a sud delle Alpi, insieme ad altri compagni, cerchiamo di far conoscere la realtà del «proletariato multinazionale europeo». Più tardi le parti si invertiranno, per qualche tempo, ed in Italia scoppierà la voglia di conoscere la Germania, l'Austria, i verdi, le Burgerinitiativen. Sul mio ponte si transita in entrambe le direzioni, e sono contento di poter contribuire a far circolare idee e persone. Non mi viene mai alcun senso di inferiorità rispetto ai tedeschi delle madrepatrie: a volte mi sembra, anzi, che da sudtirolese certe cose della cultura tedesca si apprezzino di più. Il primo sciopero sudtirolese. Nel 1969 l'autunno caldo ha riflessi persino nel Sudtirolo. Il 17 settembre c'è lo sciopero nazionale dei metalmeccanici. Decidiamo di portarlo davanti ai cancelli di una fabbrica sudtirolese: la Durst, a Brixen (Bressanone). In una decina di persone, prevalentemente di lingua tedesca, siamo lì all'alba. Per essere creduti mostriamo il Dolomiten che annuncia lo sciopero nazionale. Si formano subito capannelli, quasi nessuno entra. Una segretaria di direzione inveisce e strilla contro di noi. Gli operai del pullmino della valle non varcano il cancello. Quando arriva di gran carriera il direttore del personale, chiamato d'urgenza, investe con la macchina un operaio. E' la goccia che fa traboccare il vaso: «pensate se I' avesse ferito gravemente o ucciso ... il Gasser ha quattro figli!». Lo sciopero riesce in pieno, facciamo un' assemblea con gli operai nell'osteria vicina, veniamo festeggiati, ci pagano da bere. Parliamo di rivendicazioni ugualitarie, troviamo consenso. Quando poi ci capita di parlare con un operaio che nel suo paese fa il sagrestano, e proponiamo qualche idea ugualitaria anche per l'andamento delle cose di chiesa, lui è decisamente contrario. Ma si complimenta con noi per la riuscita dello sciopero. Ancora dopo anni ripenso con piacere a questo sciopero. Intanto i padroni si faranno più avveduti, e per distribuire un volantino agli operai pendolari della Val Sarentino o della Val di Non bisognerà inseguirne la corriera fino ai luoghi di origine.

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