do e quindi è importante che lui, nonostante soffra, viva. Questa è una percezione che il paziente ha anche sesi parla d'altro, anche sesi parla di banalità, anche se si parla di calcio: ha la percezione che chi parla con lui vuole la sua esistenza per lui e quindi in questo caso si restituisce al morente la sua importanza, per cui questo dice: "sì, la mia vita sarà breve, però ho un progetto". Un progetto non perché parte da me, ma perché sono importante per altri. Oppure ci sono delle situazioni in cui le persone non vogliono morire perché hanno ancora dei compiti da assolvere, perché, per esempio, hanno dei figli giovani, ragazzini,e allora dicono: ·'sì, io sono ammalato, però, fin quando posso... non sono solo un assistito ma cerco di realizzare questo rapporto d'amore. preparo questa strada...". Hanno un compito che va oltre il tempo della loro esistenza ecercano, quindi, di prolungare questa esistenza. li sensodi séè decisivo nel modo in cui si affronta la morte: ci sono delle persone che hanno resistito, che hanno eroicizzato la loro morte per non depotenziare r immagine che avevano avuto nella vita. Persone pubbliche che avevano parlato agli altri, che avevano tenuto uditori i, in cui l'immagine data era quella dei forti, dei maestri, hanno affrontato la morte con crisi soggettive. individuali molto forti volendo tenere fede a quell'immagine, per non del udere. Tutto ciò vuol dire che le modalità dell'accompagnamento alla fine vengono decise in rapporto alla specificità del soggetto con cui si ha a che fare e l'elemento di relazione personale, quindi la comunità, diventa un elemento non di razionalizzazione perché lamorte non si razionalizza, ma di valorizzazione di sé finché si è al mondo. Da tutto ciò si può dedurre la verità che il dolore è un fatto relativo, legato alla cultura della società e delle singole persone? E' la riflessione che ho sempre fatto sul dolore: il dolore non è solo esperienza del danno, ma l'esperienza del dolore esiste e consiste nell'attribuzione di sensoche i I soggetto riesce a dare al danno. Ecco perché il dolore non è universale, universale è i I danno. Uno può rompersi un braccio nello stessopunto, radiografia documentando, sia nel VJ0 secolo avanti Cristo che nel mondo indiano o nel mondo cristiano, oppure oggi e il significato che attribuisce a quel danno è completamente di verso. Nell' attri buzionedi significato al danno c'è l'esperienza vissuta del dolore. Quindi è positivistico, ingenuo considerare il dolore a partire dal danno, tant'è vero che la soglia di dolore è maggiore o minore nel soggetto a seconda della condizione con cui questo dolore è vissuto. Non esiste un'oggettività nella soglia del dolore. Ma perché? Perché i nervi sono diversi? Anche per questo, ma perché oltre alla costituzione fisica esiste una costituzione psichica che non è un fatto privato. Quando l'uomo nasce non inventa una lingua e, ammesso che lo potesse fare, non parlerebbe con nessuno: entra in un discorso già in atto, in una scenache è quella della vita già in atto e come apprende a parlare apprende a soffrire, entra a far parte di una comunità che dà un senso alla sofferenza o non lo dà. Nascere cristiano non è la stessa cosa che nascere buddhista, non è la stessa cosa che nascere grecopagano, non è la stessa cosa che nascere nell'età della tecnica. Nell'età della tecnica sin da bambini, si apprende che il problema del dolore èqualcosa che si risolve in prima istanza tecnicamente. Se oggi un bambino sta male, la prima percezione che ha è quella della mamma che chiama il medico. Ma una volta, se la malattia era particolarmente grave, la mamma chiamava il sacerdote oppure gli diceva: ''Dì la preghierina che Gesù ti aiuta", e quindi tutta l'esperienza della sofferenza si andava ad accentrare su Gesù. Era l'animazione religiosa della sofferenza. Costituzione psichica vuol dire inerenza a una società, a una cultura. a un ambiente, non esiste una costituzione psichica privata. Ecco per~ ché uso parlare di scenari della sofferenza. La terapia del dolore si colloca dentro lo scenario della sofferenza tecnica, però con una singolarità: nella terapia del dolore si ha insieme la percezione della potenza edell'impotenza della tecnica, e quindi ciò che oggettivamente è un bene perché riduce lo strazio può creare un altro tipo di dolore che è il dolore mentale. Tutto il problema dell'eutanasia si pone qui, perché la terapia del dolore di fatto pratica l'eutanasia come eutanasia passiva: ormai la medicina più seria, come ègiusto, dismette l'accanì mento terapeutico quando vede che non c'è più una possibilità di cura e comincia ad introdurre la terapia del dolore che vuol dire, per esempio, un dosaggio di morfine, oppure la resezione di un certo organo che diminuisce la vitalità dell'uomo. Sono interventi che. nel momento stesso in cui operano sul dolore. riduncendolo, sanno di ridurre la vita, di introdurre elementi di morte che addolciscono la morte stessa.L'eutanasia passiva, cioè, è praticata per accompagnare la decadenza del corpo riducendo il dolore il più possibile. Il problema serio, invece, quello veramente dibattuto e rispetto al quale la medicina non può dare una risposta perché non è un problema medico, è quel lo del r eutanasia atti va, quando, cioè, il soggetto, in condizione di fine certa però vivibile, proprio grazie alla terapia del dolore, dice: "Ma io che ci sto a fare in questa stanza, che cosa ci sto a fare al mondo ... ?" Allora la terapia del dolore mostra la grande potenza della tecnica, la grande utilità della tecnica, ma anche la necessità che bisogna andare oltre, che il problema della tecnica è un problema di visione del mondo, di filosofia, chec'è bisogno. quindi, di scambi, di legami, di un altro ordine di relazioni che non può esserepensato tecnologicamente. Cosa cambia rispetto alle "due prospettive": quella greca del reggere nel dolore e quella ebraico-cristiana del resistere al dolore in vista di qualcosa ...? Non solo "in vista'' di qualcosa, ma radicandosi in una fiducia originaria ... Direi che però la dimensione della tecnica rende possibile sia l'una che l'altra occasione. Lo spazio più ampio che si apre tra la vita e la morte può essere riempito sia nel sensogreco del reggere che in quello cristiano dello sperare. La tecnica non annulla un elemento rispetto all'altro perché la motivazione è ospitata dalla tecnica. Quello che è grave è che l'eccesso di fiducia nella tecnica abbia cancellato sia la dimensione greca del reggere che quella ebraico-cristiana del resistere. Che la tecnica stessa si sia trasformata in salvezza. E qui si dà quella situazione terribile di profonda delusione, dove non c'entra La testata UNA CITTA' è di proprietàdellacooperativaUNACITTA'. Presidente: MassimoTesei. Consiglieri: RosannaAmbrogetti,PaoloBertozzi, RodolfoGaleotti, FrancoMelandri,Gianni Saporetti, Sulamit Schneider. Redazione: RosannaAmbrogetti,MarcoBellini,FaustoFabbri,SilvanaMasselli, FrancoMelandri, MorenaMordenti, MassimoTesei, Gianni Saporetti (coordinatore). Hanno collaborato: EdoardoAlbinati,LorettaAmadori,Antonella Anedda,GiovannaAnceschi,GiorgioBacchin,PaoloBertozzi,Patrizia Betti, Aldo Bonomi, Barbara Bovelacci,Vincenzo Bugliani, Dolores David, LianaGavelli,MarzioMalpezzi,GianlucaManzi,CarlaMelazzini,GabiMicie, LejlaMusic,LindaPrati,CarloPaletti,StefanoRicci,RoccoRonchi,donSergio Sala, SulamitSchneider. Interviste: A Salvatore Natoli: FrancoMelandrie GianniSaporetti. A Giovanni Moro: Marco Bellini. A Edi Rabini: Gianni Saporetti.A Marco Rossi Daria e Cesare Moreno: MassimoTesei.A Flavia e Sandra Busalla: FrancoMelandri. A Irina L'vovna Oobrohotova: MirellaFanti. Disegni di StefanoRicci. Foto di FaustoFabbri.Incopertina,di RobertoValli;pag.7, dall'archiviodi EdiRabini; pag. 13, di Mimmo lodice, per concessionedell'AssociazioneQuartieriSpagnoli.A pag. 1 O, di EnzoNicolodi.A pag.15,trattada America-La riscoperta, Ed. SocietàS. PaoloS.r.l. Grafica: "CasaWalden".Fotoliti: Scriba. Questo numero è stato chiuso il 28 ar;osto'95. B 01 o eca ~ 1not:S1anco la medicina palliativa ma c'entra il placebo in generale: un eccesso di fiducia nella medicina, pensataalla stregua di Dio, diventata un surrogato del divino. la tecnica, come la vita, è ambigua Prima si pregava santa Apollonia poi la medicina onnipotente, poi si è divinizzata la tecnica, infine nel momento in cui questa fallisce si cercano altre tecniche. Ecco allora le cosiddette medicine non classiche. si va in oriente, tutto diventa buono. Siamo a un uso tecnologico della tradizione pre-tecnologica. E questo è il parossismo: la delusione della medicina ti porta all'arcaico non come a un meglio, ma per delusione. L'elemento è scelto non già perché vale, ma perché va a sostituire e nella sostituzione l'importante non è mai il contenuto ma il movente. In definitiva la terapia del dolore offre solo una chance che poi bisogna saper cogliere ... Si può morire in vari modi da un punto di vista biologico, ma in che modo il soggetto si può valorizzare anche in questa perdita? Credo che sia necessario stabilire dei legami di continuità, lasciar immaginare che oltre la propria morte ci sia dell'altro, che non è la vita eterna, ma può essere la memoria. La verità è che l'uomo muore male se muore sradicato, se muore solo, se muore separato. Ma in questo caso io sostengo che la separazione, la morte èavvenuta prima, nella vita, nei rapporti di esistenza. Molte volte gli uomini muoiono soli perché sono già soli e nella morte si rivela un'impotenza cheèstata silenziata, velata, nascosta prima. Chi, invece, da prima non è solo, viene accompagnato nella morte equindi vive il trapasso come un transito, non come una sconfitta. In definitiva la terapia del dolore lascia spazio al tempo intermedio tra la vita e la morte, un tempo che può sviluppare disperazione e dolore mentale o può essere, invece, l'occasione di un incontro o di un bilancio di esistenza, quindi di una maggiore ricchezza ... Un'occasione per una prolungata scena degli addii ... Certo, un'occasione per lunghi addii. L'uomo ha questa volontà, ha questa voglia di lunghi addii. Molte volte quando ci ci lascia dopo una serata con gli amici si sta sul pianerottolo quasi non ci si volesse lasciare mai. Nell'uomo c'è molto forte la dimensione del legame e allora se lo spazio che la terapia del dolore lascia è uno spazio entro cui si può coltivare il legame molte cose possono nascere. Dalla morte nasce sempre qualcosa. La morte può essere istruttiva per chi vive. La tecnica ha avuto sempre nella storia questi elementi di ambiguità. La mia tesi, poi, è che la vita è ambigua, il mondo non è mai né UNA ClffA' vero né falso, il mondo è fatto di opportunità, di occasioni in cui bisogna giocarsi con la propria soggettività: dividere il mondo in buono e cattivo, in vero e falso, è moralismo e pigrizia insieme. Così, allora, demonizzare la tecnica, dire "il mito, il simbolo" è un modo strumentale con cui degli imbroglioni vogliono proporsi come guru, impiantarsi a maestri. "La tecnica è il male, il negativo, il disastro, torniamo al mito!", come se nella società del mito non ci fosse i I dolore, la paura, l'orrore, le notti senza luce, la fame, il freddo ... Bisogna invece saper convivere e saper cogliere le opportunità in questa ambiguità del mondo, in questa incertezza del vivere. Aristotele aveva ragione: l'uomo è colui che sa cogliere il tempo opportuno. Chi ha questa capacità vive meglio emeglio la esercita chi è più attento alle modulazioni dell'esperienza. Chi meno taglia. -
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