Una città - anno V - n. 43 - settembre 1995

d, volontariato e stato sociale I Il terzo settore del volontariato e delle imprese no profit è una realtà che non trova nella politica la giusta risposta. L'indecisione sulla riforma dello stato sociale. Il limite di un'idea di cittadini come minorenni da accudire. Le motivazioni, a volte anche orrende, di una cittadinanza attiva. L'idea di un "governo congiunto". Intervista a Giovanni Moro. Giovanni Moro è segretario del Movimento federativo democratico, da cui è nato il Tribunale dei diritti del malato. Cosa sono le reti di solidarietà, che rapporto intessono con la sfera politica? Si può dire che queste reti di solidarietà -che complessivamente coinvolgono una fetta rilevante della nostra società, occupando una forza lavoro di circa 400 mila persone, cui si aggiungono almeno 4-5 milioni di cittadini che vi partecipano a vario titolo- fanno riferimento a un fenomeno che va oltre i confini dell'Italia; si tratta di quel fenomeno chiamato anche "cittadinanza attiva", "terzo settore" o cose di questo genere, tutti nomi che indicano un'attitudine dei cittadini in quanto tali ad organizzarsi per affrontare problemi che riguardano la loro vita, ai quali gli stati non riescono più a far fronte per la loro debolezza, la mancanza di risorse finaziarie o di volontà politica. Una parte di questo mondo della cittadinanza attiva vive questa esperienza sulla base di una motivazione che si può"ricondurre al tema della solidarietà. Ora, la parola "solidarietà" in Italia è spesso usata in forma polemica nei confronti di un modello sicuramente antisolidale, legato al successo; tutta una parte di questo mondo, invece, è legata alla solidarietà in senso stretto, cioè ali' idea di un impegno a sostegno dei più deboli, di una responsabilità dei più forti nei confronti dei più deboli. Queste reti sono costituite da organizzazioni tradizionali, storicamente collegate alle grandi famiglie culturali e politiche italiane, i cattolici e i comunisti (Acli, Arei ecc.), oppure da nuovi movimenti, associazioni, organizzazioni, realtà di base, che magari provengono sempre dal mondo cattolico o dal mondo comunista oppure da nessun mondo in particolare, senza avere però un legame diretto con i partiti. In queste reti della solidarietà si ritrovano in genere due atteggiamenti di partenza: uno che tende a prendere le distanze, a marcare l'autonomia in quanto cittadini, da sindacati e partiti; l'altro, nel quale c'è la consapevolezza che i cittadini hanno una responsabilità politica che va oltre e non coincide necessariamente con i partiti, ma che deve, tuttavia, misurarsi con i problemi della politica. Gli ultimi referendum, quelli sull 'informazione in particolare, sono stati largamente promossi da organizzazioni che si potrebbero definire come appartenenti alle reti della solidarietà e costituiscono il segno più recente del loro avvicinamento alla politica in senso stretto. Ci sono, pertanto, questi due movimenti, uno che dal mondo politico tradizionale si allontana, e uno che da una posizione di maggiore estraneità si avvicina invece al mondo della politica. Rispetto all'ultimo decennio c'è stato un cambiamento nel rapporto con la politica da parte del terzo settore? Sì, credo che ci sia stato qualcosa di nuovo, nel senso che è aumentato il senso di un'autonoma responsabilità politica dei cittadini, che non si confonde più con quella dei partiti. Un po' in relazione a Tangentopoli e <alla sparizione decartiti dl~ scena, un po' in relazione a quel senso di autonomia che i cittadini italiani hanno conquistato nei confronti dei partiti e che si è manifestato, ad esempio, nel referendum sulla preferenza unica; tutto questo negli anni '90 è cresciuto, anche se è vero che rimangono atteggiamenti di dipendenza dal mondo dei partiti, dallo Stato, dalle istituzioni, magari espressi sotto forma di richiesta di assistenza, di aiuto, di sovvenzione, volendo ancora una volta che lo Stato si occupi di queste associazioni. Negli ultimi mesi c'è stata una discussione fra le leadership di queste organizzazioni riguardo alla possibilità che nel quadro della riforma dello stato sociale -e quindi della diminuita presenza pubblica nella gestione dei servizi dello stato sociale-, si dovesse chiedere un sostegno diretto alle organizzazioni sotto forma di contributi, facilitazioni oppure se si dovesse semplicemente chiedere una politica di defiscalizzazione come avviene negli Stati Uniti. Quelle organizzazioni che si misurano con un certo tipo di consenso dei cittadini avranno più risorse, quelle, invece, che non riescono ad esprimere niente di nuovo ne avranno di meno. Questa discussione c'è stata ed è significativo che ci sia stata. L'intervento del terzo settore riesce a bilanciare l'abbandono di certi servizi da parte dello Stato? E' difficile dare una risposta univoca a questa domanda in questo momento perché si tratta di un processo in corso e perché, tutto sommato, non c'è stata nessuna decisione, non dico del Parlamento o del Governo, ma proprio del paese, -perché queste sono decisioni che riguardano il destino di un paese e vanno prese attraverso la costruzione di un sentire comune-, sul futuro dello stato sociale in Italia. Preso atto che lo stato sociale così com'è costa troppo, che la sua qualità è troppo bassa rispetto al costo, allo stato attuale non si è deciso ancora nulla: né di smantellarlo, né che questo insieme di servizi venga fornito gratuitamente solo alle perbiMnose. né che cf fornisca a tutti facendo in modo che paghi chi ha più risorse. Anche la decisione su chi deve gestire questo tipo di servizi non è stata presa. Questo è un male per l'Italia, perché in assenza di queste decisioni si continua a seguire la linea tradizionale, ma con sempre minori risorse finanziarie e con un aumento sempre maggiore della pressione contributiva sui cittadini, per cui i servizi sono sempre di meno però aumentano i tickets, le rette degli istituti e altre cose di questo genere. In questo quadro il mondo del terzo settore si inserisce, avendo già costruito un sistema di servizi che sono gestiti direttamente, che sono mediamente di buona qualità e di costo ridotto, mentre i servizi che gestisce lo Stato hanno dei costi altissimi, soprattutto per via della quantità di personale impiegato. Però, che questo impegno da parte del terzo settore possa portare a una sostituzione senza residui, dell'intervento dello stato, questo non si può dire. un telefonino a chi attraversa Centrai Park Ci sono però altri elementi da considerare, come per esempio il fatto che anche nel settore privato chi si occupa di servizi comincia ad immaginare il proprio ruolo come un ruolo no profit: è il caso delle farmacie private, che noi conosciamo bene, perché come Tribunale dei diritti del malato abbiamo fatto negli ultimi anni una politica nei loro confronti affinché diventassero, da semplici esercizi commerciali, gli snodi di un servizio sanitario moderno a livello di base. E lì il tema più importante non è più il profitto, ma la qualificazione della farmacia come un servizio per i cittadini. Quindi, c'è questo primo punto, servizi privati che tendono a diventare servizi no profit. Un altro punto è come tener conto delle nuove tecnologie: per esempio, molti servizi di medicina di base, che prima erano forniti attraverso strutture materiali (l'ambulatorio, il personale, le macchine), sempre più nel futuro saranno forniti attraverso tecnologie telematiche (il telesoccorso, la telemedicina, la telediagnostica). Non solo il controllo delle condizioni di anziani a rischio, ma anche tutta una serie di esami possono essere fatti per via telematica. E questo cambia un po' i termini di paragone, quello che prima costava I00 perché doveva essere presente fisicamente, adesso può costare molto meno perché non è necessaria la presenza fisica affinché ci possa essere il servizio. Dal punto di vista '!Strettamente politico le reti di solidarietà possono apparire come realtà limitate alla funzione che svolgono, come qualcosa di circoscritto. Per anni c'è stata contro questo mondo una polemica in cui si sosteneva che siccome queste organizzazioni si occupano solo di argomenti concreti, non avevano la dignità di possedere un punto di vista politico generale, erano cioè movimenti one issue, "a una sola uscita", secondo il linguaggio degli studiosi di politica americani, per cui alla fine solo ai partiti spettava questa visione generale. Ora, invece, è sempre più chiaro che la politica si giocherà per il futuro sulle politiche più che sulla Politica, cioè sulle singole e concrete politiche che vengono fatte piuttosto che sui rapporti di schieramento; e su queste i partiti hanno poco da dire, anzi non hanno quasi niente da dire. Spesso per i partiti le politiche sono solo un campo di battaglia per la Politica, per cui c'è l'alluvione, tutti litigano, ma è chiarissimo che a nessuno importa nulla dell'alluvione, stanno in realtà litigando sulle maggioranze e minoranze in Parlamento, che è l'unica cosa che interessa veramente. Una politica sulla Protezione civile, ad esempio, nessuno ce l'ha; tani' è vero che nessun governo ha mai messo la fiducia su una legge riguardante la Protezione civile e nessuna opposizione ha mai fatto ostruzionismo in Parlamento per far sì che siano sbloccati dei fondi per la Protezione civile. Certamente le organizzazioni dei cittadini esprimono una vocazione ad avere competenza e ad esercitare potere all'interno delle politiche concrete, molto meno all'interno della Politica. C'è poi la crisi della rappresentanza tradizionale, per cui mentre prima vi era un unico luogo che rappresentava lutti gli interessi presenti nella società, adesso questo è sostituito da una pluralità di luoghi, di forme di rappresentanza, così come da una pluralità di soggetti che esercitano potere politico in senso lato: per esempio, il potere di prevenire fenomeni di violazione dei diritti degli utenti nell'area dei servizi pubblici di interesse collettivo (trasporti, sanità ecc.) è esercitato molto più dalle organizzazioni di autodifesa dei cittadini che non dai governi e dalle amministrazioni pubbliche. Ci sono delle cose che devono essere fatte per governare questo paese che non finiscono più dentro il Parlamento; noi dobbiamo immaginare che un paese come questo funzioni secondo il principio del governo congiunto, come dire: tanti soggetti, pubblici, privati, collettivi, che cooperano per esercitare quelle funzioni di governo che prima, in un mondo che era più semplice, venivano esercitate soltanto dallo stato. Insomma, il terzo settore sta superando in questi anni una logica di mera protesta e rivendicazione e sta assumendo una prospettiva di responsabilità di governo, perché ormai non è più vero che i governi hanno potere di vita e di morte su tutto e pertanto certi problemi devono essere risolti direttamente dai cittadini. Tuttavia c'è una grossa difficoltà: la cultura pubblica italiana stenta molto a riconoscere l'importanza, l'autonomia, il valore e la responsabilità dei cittadini in quanto tali. C'è l'idea che i cittadini siano sempre dei minorenni o nei confronti dello stato o nei confronti dei partiti o degli intellettuali. Invece sono dei maggiorenni con tutto quello che di buono e di cattivo ne consegue, così come i cittadini del resto del mondo. Però, mentre in America o in Inghilterra c'è l'idea che i cittadini vengono prima dello Stato, sono i padroni di casa per cui, piaccia o meno, bisogna prenderli sul serio, in Italia, al contrario, l'amministrazione pubblica e le classi dirigenti ritengono superflua o addirittura dannosa l'attivazione dei cittadini. Questo è un enorme problema non risolto. A questo proposito mi ricordo un episodio accaduto tempo fa, mentre ero a New York. Per gestire il problema dell'ordine pubblico a Centrai Park, che è incontrollabile, la polizia aveva fatto un accordo con la Motorola, quella dei telefonini. e aveva messo a disposizione dei cittadini abituati a frequentare Centrai Park per portare il cane, correre ecc., dei telefonini collegati alla centrale di polizia. I frequentatori abituali di Centrai Park disponibili dovevano recarsi alla polizia, ricevevano un telefonino e. se nel corso della giornata vedevano una situazione pericolosa, un'aggressione ecc., avvisavano la centrale che così interveniva in modo mirato. Qualche giorno dopo che questa proposta era stata lanciata si erano offerte spontaneamente più di 3.000 persone per fare questo servizio. Ora non so come sia andata a finire, però questo fa pensare che in Italia non sarebbe mai venuta in mente una cosa del genere: anzitutto avrebbero detto che gli italiani si sarebbero rubati i telefonini, poi -il che è ancora più graveavrebbero detto che erano cose pericolose e perciò non devono farle i cittadini, "a Centrai Park mandiamoci l'esercito", perché in Italia per qualunque emergenza si manda l'esercito, il cittadino non deve occuparsene, "è pericoloso". Se non cambia questa cultura pubblica non ce la facciamo in Italia, secondo me. E' una cultura pubblica che viene da lontano, dal ventennio fa. scista o è frutto del secondo dopoguerra? Qui c'è una grossa discussione. Alcuni dicono che in Italia non è mai nato un senso di cittadinanza legato ali' identità nazionale, alla democrazia come modo di essere comune al di là delle differenze. Certamente, hanno pesato vari fattori. Ad esempio, il fatto che in Italia non ci sia stata democrazia finoa50anni fa; il fatto che lo Stato italiano non abbia costituito, per le crisi che ha attraversato nel '900 (il ventennio, la guerra civile, la resistenza) una fonte di identità comune; iI fatto che per la presenza di un forte partito comunista e per laguerra fredda l'identità dei cittadini si sia costruita più attraverso i partiti che autonomamente. Tutto questo è vero, come è vero che le centrali che tradizionalmente favoriscono l'emergere di un senso comune di cittadinanza (la scuola, il servizio militare) non hanno mai funzionato in questo senso. E' una cosa che parte da lontano ma di certo quel che è successo negli ultimi 50 anni non ha aiutato da questo punto di vista. le risorse umane sono rimaste fuori dalla politica La verità è che i cittadini hanno cominciato. dalla fine degli anni '60 in poi, a costruirsela da soli questa identità, malgrado, e spesso contro, le leadership di questo paese, che preferivano continuare a ritenersi gli educatori delle masse, i tutori dei cittadini. Il mondo del terzo settore può esprimere una parte della nuova classe dirigente? Penso di sì. In Italia abbiamo avuto 15 anni di dominio partitocratico, di regime che consisteva nel fatto che le oligarchie di partito, non avendo più un rapporto vitale con una società divenuta sempre più complessa, hanno reagito chiudendosi e legittimandosi reciprocamente, magari sulla base del denaro, vedi Tangentopoli. La conseguen-

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