Una città - anno IV - n. 35 - ottobre 1994

che in questo mondo ripetitivo e omologante esiste qualcosa che rompe le maglie della rete. Individuo è libertà e la libert~Iè quella materiale di muoversi e consumare e alla fine. rispe110 alle vecchie organizzazioni, preferisco questo individuo, anche se perde ... Berlusconi è il frutto di questa nuova libertà consumistica? Ceno, perché uno dei motivi per cui la destra ha vinto è proprio nel fallo che ha capito dove andava la società metropolitana oggi. In primo luogo, ha saputo recepire benissimo questa crisi del politico tant"è vero che la sua ba11agliaè stata contro il ceto politico professionalizzato. In secondo luogo, ha capilo la fone carica anti-istiluzionale della società per cui si è presentata non solo come un ceto nonpoli1ico, tant'è vero che la maggior pane sono bo11egai,ma come un ceto non statuale. ricorrendo alla parola d'ordine '·meno stato··. Si è presentata come destra movimentista non partitica; Forza Italia infalli non è un partito, ma un movimento d'opinione con un suo capo, senza il quale non esisterebbe, che è un rappresentante di un ceto economico, guarda caso, neanche tan10 produttivo, ma ·'consumatore", finanziario ... Berlusconi ha vinto non tanto perché ha le televisioni -certo, questo l'ha aiutato- ma perché rappresema un po' l'uomo contemporaneo, se vuoi anche metropolitano, privo di ideologie e vuoto, solo immagine, teso ai consumi e al successo. E' impensabile che potesse vincere una sinistra intrisa ancora di partecipazione e che ancora non ha capito che qui non vuol partecipare più nessuno. La gente non vuol partecipare, vuol divertirsi e muoversi, vuol agire e comunque se e quando volesse partecipare vuol anche decidere. Invece la sini tra ha predicato una partecipazione senza poter decidere nulla, così, solo per la nobiltà della cosa ... - questo aspetto orrido ... E' assodata una crisi della rappresentanza politica e della democrazia rappresentativa non congiunturale, che nasce dalla rottura di una serie di nessi che nella democrazia industriale del nostro secolo si erano affermati con vigore: il lavoro come centro dell'identità individuale, iI lavoratore come detentore per eccellenza dei diritti di cittadinanza, quindi la rappresentanza del lavoro nello stato. Su tali nessi si è affermata la moderna democrazia di massa nel secondo dopoguerra, ma ora tali nessi sono caduti, la vita del singolo non è più rappresentata dal lavoro e dunque non esiste una "sostanza" che chieda di essere rappresentata. li concetto di rappresentanza è minato proprio nella sua radice materiale e tale crisi della democrazia rappresentativa comporta un diverso modo di prendere le decisioni che riguardano gli affari comuni. E se vi sono due possibilità, mancando l'una sopravviene l'altra, visto che la natura delle nostre società non sopporta il vuoto, la stessa possibilità trova una risposta opposta a quella mancata. Ora, la crisi di cui stiamo parlando può essere gestita prendendo atto che "non è più possibile la democrazia rappre entativa, quindi meno democrazia", con un conseguente privilegio attribuito agli apparati amministrativi in cui, senza passare auraverso la formazione preventiva del consenso, la decisione assume un cara11erctecnico, autoritativo, e inquesto modo la crisi della rappresentanza divercome la macchina dello stato, per quanto a volte digrigni i denti, tutto sommato ia un apparato marginale e periferico. Lo stato può sl essere prepotente come una banda, ma si tratta di una banda di periferia rispetto ai saperi e alla capacità cooperativa che potenzialmente hanno oggi le relazioni sociali. Uno dei motivi per cui ora prevale la destra liberaldemocratica, o può prevalere questo fascismo sociale post-moderno, sta anche nella pochezza e nel carattere stantio della cultura della sinistra che è stata una cultura statalista e lavorista, tesa a restaurare i valori della rappresentanza politica nel momento in cui essa è diventata un disvalore. Ma se la sinistra tenta di tenere in vita col polmone artificiale quello che nel1' esperienzacomune è venutomeno, è facile che prevalga chi, in forme reazionarie, a suo modo interpreta tale fondo di realtà espresso dai gusti, dagli usi e costumi quotidiani e a una condizione sentita come reale tenta di dare una risposta, seppur carica di nuove gerarchie e alti prezzi. Per non dire poi i casi in cui la sinistra ha assunto alleggi amenti reazionari in senso strello per far valere questi valori: per far valere il valore del lavoro predicò la politica dei sacrifici, in seguito ha fallo corpo col partito dei giudici e così via, nequizia dopo nequizia. un sistema di appartenenze simulate rebbe crisi della democrazia tout- Ovviamente tutto questo non va court, oppure tale crisi diventa il inteso in maniera schematica, imterreno su cui sperimentare un'idea putando tulio al capitalismo, quasi di democrazia assai più radicale di fosse un deus cx-machina e rapquclla che ereditiamo dalla tradì- prendesse in sé il male, ma capendo zione poi itica inauguratasi nel '600 come queste cose siano scontro di e che potremmo chiamare "demo- culLUrc,di valori, di mentalità, che crazia non rappresentativa". Una attraversa noi lulli. Cercare sicudemocrazia, cioè, radicale da non rezzc nello stato, affidandosi al soprcndere, come nel '68, come una vrano moderno, è un modo per vinsorta di democrazia assembleare, cere l'ango<;cia di queste società ingenua, chiassosa, ma come una aleatorie in cui non esistono diredemocrazia sapiente e sofisticata, zioni di marcia predeterminate, ma in grado di introie11aretutte quelle ognuno di noi è anche teso ad apcompetcnze e quei saperi che oggi prezzare la libertà derivante dalsono depositati nel!' amministrazio- l'essere col lettivamcntc più ricchi e B (ota1ote°cam 0Gì nOi dgu~a quaCotato possa essere. Allo stesso modo, rispetto al lavoro, alla rappresentanza politica, ognuno di noi può nutrire nostalgia per meccanismi sperimentati ed abituali, come,d'altra parte, può desiderare di sperimentare qualcosa di nuovo in forme di sfera pubblica non statuali, non rappresentative ... Ma quali forme di vita comunitarie sono possibili nelle società odierne? Una rispostamoltogenericaè quella che dice "le forme di vita oggi prevalenti hanno tutte un elemento comune: il non sentirsi mai veramente a casa propria", che vuol dire non sentirsi appartenenti ad una solida comunità sostanziale, fatta di abitudini, tradizioni e costumi che indicano il modo in cui comportarsi e in cui vivere. Il non avere più una comunità nella quale sentirsi radicati, a proprio agio, comporta una situazione di paura non solo rispello a pericoli determinati, ma più generica, onnilaterale e inquietante ri peno al fatto stesso di stare in un mondo vasto e indeterminato con cui si è empre in un rapporto che è diventato immediato. Direi che le forme di vita contemporanee tentano di dare risposte a quel senso di paura indeterminata e larga, cercando di costruire ripari dai pericoli che spesso, però, con una dialeLLicaparadossale ed inquietante, diventano pericolosi per il senso della vita del singolo: affidarsi supinamente al "sovrano" o costruirsi una piccola patria razzista facendo ricorso in modo surrettizio ed irreale ad un'origine etnica. La stessa esaltazione dcli' efficienza, del carrierismo, il fatto che si lavori o si adottino i criteri del lavoro anche quando non si lavora, possono essere viste come risposte alla contingenza, alla precarietà e alla paura da sradicamento, all'angoscia cielnon avere radici. E' un modo di organizzarsi l'esistenza visibile nelle mctropol icontemporanee e presente anche nei miti elciI' allualc destra italiana: come non leggere nello sbanclicramcntochccssa fadel tempismo, clcll'cfficienti~mo, della prontezza una forma di difesa dal disordine da <,radicamento? La dialettica delle forme di vita sta quindi in quale genere di riparo costruisco rispetto al senso di pericolosità di una situazione contemporanea esposta alla contingenza e ormai privata di comunità abituali. Una risposta alternativa sta forse nel fattoestremamente generale che abbiamo un intellello, abbiamo un linguaggio, e questa potenza generica dell'intelletto si può contrapporreall'indeterminatezza del mondo e al suo "far pressione''. La vita della mente, per usare un'espressione di Hannah Arendt, è qualcosa che può offrire immediatamente, anche nei suoi caratteri di semplice facoltà. un riparo, un velo protellivo, allo sradicamento. la pochezza dello statalismo e del lavorismo Chi non si sente mai a casa propria deve riorientarsi e, non potendosi più orientare con le tavole della legge della sua comunità, può far conto solo su quel tratto comune al genere umano che è la "vita della mente". Ma questa, come forma di difesa, comporta un'innovazione rispetto al modo tradizionale in cui essa è stata intesa dalla nostra tradizione filosofica, ossia come qualcosa cui si accede in solitudine. E' vero, d"altronde, che i filosofi hanno considerato r intclleno come qualcosa di comune, ma per accedervi occorreva lasciare le pubbliche adunanze, la comunità politica. la relazione con gli altri e immergersi in una sorta di sospensione dal mondo. Ora invece, a causa dello scomparire delle comunità tradizionali, dello sradicamento, la vita della mente viene fuori come immediata risorsa protettiva a cui tulli ricorrono in prima istanza per orientarsi in un mondo che preme minacciosamente. Ad essa ora si accede in molti e nel praticarla si è sempre in relazione con gli altri: la "vita della mente", cioè la facoltà intellclliva, diventa un punto di rcla7ionc ineludibile con la moltitudine dei propri ~imili e in tal ~cnso potrebbe diventare una forma di esistenza politica. Si potrebbe parlare, se l'espressione non sembrasse scandalosa, di un ''intelletto pubblico" che è facoltà comune, bene comune appariscente e immediatamente correlato al proprio stare al mondo. E, forse, in questo senso la celebre espressione marxiana generai inrellecr potrebbe essere letta come "intellello generale" che sempre più reggerà le nostre società al posto del tempo di lavoro. La "vita della mente", la nuda facoltà di intelletto e linguaggio intesa come risorsa protettiva, cesserebbe allora di essere un'occupazione solitaria per diventare un luogo d'incontro con i molti, la possibilità di una sfera pubblica di tipo del tutto nuovo, radicalmente democratica, la forma contemporanea di vita politica. Mi rendo conto che tutto questo è un po' generico e astratto, ma nelle forme di vita contemporanee, in cui è così forte la ricerca di protezione derivante aal fallo di non sentirsi più a casa propria, se è facile fare l'elenco delle forme di vita abielle e negative che si sono susseguite dalla fine degli anni '70 in poi, riferirsi a forme di vita·promeltenti o appaganti è, viceversa, solo un lavoro sintomatico in cui il nome anticipa la cosa. on c'è il rischio che anche l'intelletto pubblico prenda forme regressive? Certo. Anche la vita della mente può rivelarsi terribile, una fonte di pericolo, perché. anche diventando un qualcosa di pubblico. di esteriore e di collettivo, non nccessariarnentecostituirebbe uno spazio immediatamente abitabile per la moltitudine. da nessuna parte ci sentiamo più a casa nostra li fatto che io abbia in comune qualcosa con un gruppo di persone può dar luogo anche ad un rapporto maledettamente simbiotico in cui, anziché articolare i singoli in uno spazio dove si distanzino, dialoghino, decidano degli affari comuni, si è addossati gli uni sugli altri, in un legame che diventa simbiotico, incontrollabile, solcato di gcrarchie. Usando ancora una metafora di Hannah Arendt, in una seduta spiritica tutti hanno qualcosa in comune -gli spiriti evocati, il fatto di star tutti seduti attorno a un tavolo- ma tutti sono risucchiati da qualcosa che li stringe gli uni addosso agli altri. Se la pubblicità della "vita della mente" non dà luogo ad una sfera pubblica, ad uno spazio politico, si ha esattamente l'inquietante realtà cui assistiamo oggi, esposta ai mass-media. Infatti Berlusconi è la pubblicità senza sfera pubblica, è un esempio di comunanza simbiotica senza comunità politica. Comunità che sono attraversate non più da gerarchie '•giustificate" dagli elementi pseudo oggettivi della divisione tecnica del lavoro, ma da gerarchie il cui carattere arbitrario è straordinario, spesso basate sulladipendenza personale, non più da un ruolo oggettivo, e a dipendere, in una dispotica unione simbiotica, è la mia intera persona come gusti, come facoltà di linguaggio ed intelletto. Per Freud iI pe11urbante è qualcosa che nella nostra infanzia o ai primordi della civiltà era familiare e protettivo e ricompare, dopo essere stato superato dal corso storico, come inquietante, sinistro e pericoloso. Ora, una delle possibilità del perturbante che ricompare è la cosiddetta credenza animistica nel1' onnipotenza dei pensieri, cioè che un proprio pensiero possa bloccare un pericolo del mondo. Siamo in un terreno simile alla vita della mente come esperienza pubblica. E tale onnipotenza dei pensieri è inquietante, dice Freud, perché. se il pensiero ha delle con eguenze per cui io penso una cosa ed essa si realizza, ciò vale anche per gli altri cd io sono in balìadei pensieri degE altri. sono stretto agli altri in un rapporto pericoloso, sono esposto agli altri. Allora, nel nostro caso si può dire che la pubblicità dell'intelletto, pensiamo al rapporto che si crea coi mass media, può diventare perturbante laddove non diventando sfera pubblica e spazio politico, dà origine ad un rapporto simbiotico in cui io sono sempre in balìa degli altri. • UNA ClffA' I 3

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