Una città - anno IV - n. 35 - ottobre 1994

di società e altro CONSUMO DI LIBERIA' La crisi delle identità fondate sul lavoro e la nuova identità, soft e impolitica, fondata sul consumo. La libertà è solo quella, ben materiale, di poter attraversare la metropoli. Intervista a Massimo llardi. Massimo llardi è ricercatore presso l 'Irsifardi Roma e collabora a Il Manifesto e L'Unità. Sulla metropoli ha curato La città senza luoghi (Theoria). Potremmo partire dal comportamento consumistico dei giovani, dal loro rapporto con l'individualità... · Per capire la volontà di consumo bisogna partire dal desiderio di libertà che è l'elemento determinante della vita metropolitana; io ritengo, infatti, che ancora oggi la città renda liberi. consumare determinanti nel dare identità, un'identità molto labile, molto soft, ma comunque importante. Enon vale dire che poi quello che si compra è tutto uguale, perché, per ricevere identità, è importante il significato che diamo a ciò che compriamo. Tant'è vero che non si può parlare di culture giovanili se non si riesce a decodificare le migliaia di segni che riguardano il vestiario, il modo di ascoltare la musica, i luoghi frequentati. La città, quindi, continua a liberare. Ma è cambiata la città? Quando noi pensiamo alla città pensiamo alla polis, o alla città sono individui in fuga, che attraversano i luoghi della metropoli alla ricerca di qualcosa che li renda individui e non più individui-massa, alla ricerca di una libertà, in un certo senso, negativa, che si limita a ricercare il massimo della noninterferenza altrui. All'individuo metropolitano non importa nulla del suo destino o di chi governerà nella metropoli, gli importa semplicemente che la sua azione non abbia interferenze, che il suo modo di agire non subisca intromissioni di alcuno e poi chi governa governa. Questa è la libertà che l'individuo cerca e questa è la crisi della politica. Vi sono differenze fra le metropoli del nord America e quelle europee? lo credo che ci stiamo avvicinando gradualmente al modello di vita americano, che è quello vincente, e questo è un segno positivo: la libertà è stata inventata lì. La libertà ha bisogno di grandi spazi, ha bisogno della frontiera, deve andare da oriente a occidente. La libertà ha bisogno della mobilità e per noi europei è molto difficile passare da un lavoro ad un altro... E' evidente, comunque, che per noi europei lametropoli diventa un luogo del la mente, iI~ognoamericano è questo, è il sogno della massima mobilità, della massjma spazialità, dei deserti, delle Montagne Rocciose, del Mississipi, di Los Angeles, però questa è la libertà. La libertà non è un atto della nostra coscienza, non è un sentirsi liberi dentro: non serve a niente essere liberi dentro, noi dobbiamo essere liberi fuori. La libertà è azione e se non riesci ad agire che libertà è? Se la libertà fosse un atto della coscienza allora saremmo liberi anche sotto una dittatura o incarcere. Questo è fondamentale, non possiamo rinchiuderci dentro di noi, soprattutto nel territorio metropolitano. Poi il problema della metropoli non è un problema insediativo o abitativo: esiste anche questo, ma è anche vero che i centri delle metropoli si vanno spopolando a vantaggio di un territorio che comunque rimane metropolitano. Tu che abiti a Cattolica, non è che sei fuori dalla metropoli, forse Cattolica è più metropoli di molte zone di Roma. Dobbiamo abituarci a pensare che tutto ormai è metropoli, perché ovunque è arrivata la televisione, tutte le reti comunicative, senza parlare poi di mode, gusti: si è comunque inseriti in questa rete metropolitana. Il vero problema della metropoli è quello della mobilità, poterla percorrere, attraversare; toccarla, sfiorarla, avere appunto il massimo di mobilità. Ma poiché la metropoli è la comunicazione, questa è movimento materiale, dai giornali alla lv, dall'informatica alla metropolitana, e tutto questo è libertà. Dove queste possibilità sono ristrette ci troviamo in un posto diverso. D'altra parte, dopo che le grandi categorie della politica e del lavoro sonocadute,caduteeticamentc, non scandiscono più, cioè, il tempo della nostra vita, i nostri tempi sono misurati sui tempi di movimento e attraversamento, sui tempi della nowa libertà e questa libertà non coincide più con gli ~pazipubblici, istituzionali, ma non coincide ncanchccon qualsiasi tipo di comunità tu voglia inventare fuori degli spazi istituzionali. Puoi fondare una comunità o un'associazione che si ponga fuori delle istituzioni -è il caso dei centri sociali-, ma anche lì, comunque sia, immediatamente si pone il problema dell'istituzione, dcli' organizzazione, della gerarchia. I centri sociali non capiscono che rimanere dentro fortini assediati li porterà prima o poi alla rovina, alla riserva indiana, che il problema non è trovare il luogo dove stare chiusi a fare auto-organizzazione, ma è la possibilità di avere in mano la metropoli, di attraversarla. E non è vero neanche che ormai si possa comunicare stando seduti, che so, col fax e la rete telematica. Tu la città la devi attraversare, la devi occupare, la devi toccare e toccare è un fatto materiale. L'uomo di oggi sarà l'uomo informatico, ma è soprattutto l'uomo materiale concreto che ha bisogno di soldi per consumare, che desidera aver in pugno la città, che ha l'esigenza materiale di poterla percorrere. Quindi metropoli e comunità sono antitetiche? Sì, secondo me sonocompletamente antitetiche. La città classica era comunità. Anche la metropoli, certo, ha le sue comunità, le bande giovanili lo sono, però sono ancora rimasugli di un'epoca che tende a scomparire. un uomo vuoto, consumista e di successo C'è un bellissimo libro di Ballard Il condominio dove c'è un grande grattacielo in cui vi è lo scontro fra inquilini dei piani alti, gli inquilini dei piani intermedi e quelli dei piani bassi che rispecchia anche una suddivisione di classe fra più riechi, meno ricchi e poveri. E allora, il gratlacielo diventa un campo di ballagliadi conflitti spaventosi, con blocchi fra un piano e r altro, eccetera, ma alla fine chi riesce a conquistare l'ultimo piano è un uomo, è un individuo, non è la comunità dei piani bas~i. lo credo che il fatto eversivo oggi sia proprio questa incontrollabililà del l'individuo che attraversa lametropoli, che è in fuga, che sente di non avere alcuna possibilità di vivere una comunità né di accedere a uno spazio pubblico, ma ha l'opportunità di non avere alcun tipo di controllo o di governo su di sé. Se tutto è così individualizzato, atomizzato, anonimo in che modo si può parlare di cultura metropolitana? Questo tipo di individui non crea nulla di politico, rifugge dalla politica così come l'abbiamo conosciuta dai nostri padri. Ciò non toglie che, essendo il loro un desiderio di libertà come movimento, la libertà diventa un fatto politico perché raggiunge un'intensità tale per queste persone che sono disposte anche a morire per essa, ma è un fatto politico del tutto individuale. Il problema sarebbe quello di trovare un modo di aggregazione diverso da quello tradizionale, che non riproduca una comunità e un'istituzione contro cui questo individuo si scaglia. E che ci sia una domanda nuova di politica lo si sente. Poi va detto che tutto questo è anche un luogo della mente di tutti noi. E della tua individualità non puoi farne la biografia: I' individualità è un caso, un'eccezione, un evento che tu trovi fra le pieghe ripetitive e omologanti della metropoli, ed esserne coscienti è ancora più difficile. Ungrande filosofo diceva che l'individualità è difficile da raggiungere perché vanno fatti grandi sprechi per ottenerla. I momenti, gli attimi di libertà di questi giovani, attimi che continuamente ritornano, sono eventi, casi, che comunque testimoniano Occorre comunque partire dagli anni '70,quandoandò incrisi !;agire politico classico e con esso gli strumenti della politica: l'organizzazione, il partito, lamilitanza. Con questa forte crisi dell'agire politico (che non ha saputo rinnovarsi, tant'è che oggi al governo abbiamo un ceto economico che nulla ha a che vedere con un ceto politico classico) è andato in crisi in maniera determinante anche lo spazio pubblico che su quell'agire, sulle istituzioni, sul partito, sull'organizzazione, sulla militanza, sui tradizionali spazi d'interazione pubblica, s'innervava. Questa crisi dello spazio pubblico ha liberato, secondo me, delle energie impensabili nel senso che quel tipo di spazio pubblico, che poneva la politica al centro della vita dell'individuo, aveva anche un obiettivo preciso: controllaree integraregli individuidentro le istituzioni. · industriale e operaia disegnata sulle.es.igenze della fabbrica, ma ora questo tipo di città non esiste più perché le mura della città sono cadute al suono dei media. Se la città classica, per essere tale, aveva bisogno di confini, di mura, di una divisione netta fra quello che era città e quello che non lo era, fra la città e la campagna o la periferia, oggi queste divisioni sono crollate definitivamente: non vi è più differenza fracentro e periferia, le parti, anzi, si sono invertite e ormai è la periferia ad avere una cultura egemone dentro una città che vince sulla vecchia cultura delle classi borghesi del centro. Se andiamo a fare dei giri in periferia vediamo che incerti casi, accanto ai quartieri residenziali, ci sono le bidonvilles, il miscuglio a livello residenziale non dà più modo di distinguere centro e periferia. LA POLITICA Tutti gli spazi pubblici hanno avuto questo obiettivo, gli stessi partiti politici che sono stati il soggetto attivo di questi spazi pubblici erano ritagliati e semplificati sulla macchina dello stato: vedi il Pci, il Psi o la Dc, che dentro lo stato ci viveva addirittura. la libertà vuole frontiere, deserti, metropoli Le nuove generazioni non hanno più come obiettivo la conquista del potere né la militanza inorganizzazioni politicheche,quindi, inquanto politiche, abbiano questo obi_ettivo, ma hanno l'obiettivo del massimo della libertà possibile, di una libertà non astratta, giuridica, non quella formale del cittadino di cui tanta sinistra si riempie la bocca, ma di una libertà materiale, concreta, spaziale. La libertà, cioè, di attraversare la metropoli, di agire dentro la metropoli, di conquistare spazi materiali di libertà che non servono solo a rendere più libero l'individuo, ma anche, e qui sta la disperazione della vita metropolitana, a ricercare un'identità. In un mondo di tutti uguali, che omologa tutti, dove tutti vestiamo e mangiamo alla stessa maniera, abbiamo gli stessi desideri e necessità, in un mondo informatizzato e computerizzato al massimo, dove ormai la tecnica invade la vita di ognuno, la disperazione va alla ricerca di un'identità, ma non di un'identità fondante, che dia un fondamento allavita dell'individuo come l'identità politica o quella lavorativa, ma un'identità leggera, anche momentanea, da sabato sera: un'identità, cioè, che spesso si ritrova nei consumi. Mettersi una maglietta rossa o nera, mettersi il cappello in una certa maniera, portare ijeans levi's o scoloriti, andare in discoteca o a un rave-party, ascoltare la musica B I ra o heav~, sortutti mti dii La città era anche il luogo della politica, infatti, lì si decidevano le sorti politiche del paese, c'erano i palazzi della politica, il ceto politico, ma tutto questo ormai non esiste più, la città è completamente scompaginata e quindi non si capisce più cosa sono i cittadini. Il cittadino era colui che prendeva parte alla vita della città, che aveva la politica come obiettivo e pratica della sua vita; la politica, l'interessarsi al bene comune, dava un senso alla vita, ma ora tutto questo è crollato, non c'è più. La libertà non si ottiene più attraverso l'agire politico, ma è qualcosa di immediato, che si ottiene camminando, agendo, percorrendo la metropoli, attraversandola. Il fatto eclatante avvenuto con la nascita della metropoli è che la connessione fra spazio pubblico e libertà, chiara fin dai tempi della città greca, si è definitivamente rotta: ora la libertà non ha più nulla a che vedere con la comunità, con la collettività, con lo spazio pubblico, con la volontà generale, con il bene comune, è una libertà tutta individuale, al singolare. Anzi, più si allontana dai luoghi pubblici, più si allontana dalle leggi della collettività, più io tenderei a chiamarla libertà. non ci si salva in riserve indiane o in fortini In uno spazio pubblico il desiderio esasperato dell'individuo contemporaneo di trovare un'identità propria ha meno possibi Iità, perché ehi gli sta accanto è una persona omogenea a IL1in, on è diverso, non ha quella diversità che gli fa riconoscere la sua individualità come tale e, allora, lo spazio pubblico, politico, è un ambiente soffocante da cui fuggire. E se l'agorà in quanto spazio pubblico crolla, crolla anche la città e allora non siamo più cittadini, ma indiv'dui metropolitani, che o DELLA MENTE ' Diminuzione del tempo di lavoro, crisi dello stato, esaltazione delle differenze: sono possibilità di libertà, ma anche di nuova barbarie. Il generai intellect, la vita della mente, non più solitaria ed elitaria, può forse diventare un nuovo luogo politico. Intervista a Paolo Virno. Paolo Vimocollaboraa li Manifesto. Recentemente ha pubblicato Mondanità (Manifesto Libri). Cosa intendi quando parli di "nuovo fascismo europeo"? Per nuovo fascismo europeo non intendo tanto una politica conservatrice, autoritaria, reazionaria o repressiva degli stati -né, ovviamente, mi riferisco all'avvento in Italia di una qualche "nuova destra"- quanto qualcosa che affonda radici in sommovimenti profondi nelle mentalità, nelle forme di vita, nei modi d'essere delle nostre società: la diminuzione dell'importanza del lavoro nelle nostre società, la crisi della forma-stato come punto più alto della socialità umana, il gusto e l'amore delle differenze, cioè la possibilità di farvalere l'irripetibilità del singolo. Queste tendenze, cui ci si riferisce come la base materiale di processi emancipativi, di possibilità di sviluppo di libertà e di vita felice, per dirla all'antica, possono costituire il liquido amniotico, il terreno di coltura, di un nuovo fascismo. Di un fascismo post-moderno come una sorta di fratello gemello ghignante e orrendo che inquina i tuoi stessi fiumi e dà un'altra forma alle chances di libertà che pure sembrano tangibiIi.cosiituendone iIlato buio, la possibile catastrofe. Basta fare I" esempio del fenomeno, irreversibile nei paesi a capitalismo sviluppato. della fuoriuscita dalla società di lavoro, dell'importanza decrescente del lavoro come pura erogazione di fatica psicofisica nella riproduzione della ricchezza sociale complessiva, di un vero e proprio mutamento del calendario sociale col lavoro a tempo pieno e vita natural durante sotto padrone -questa sorta di ergastolo contemporaneo- che cessa di essere un destino e lascia posto a una zona grigia composta da pan-time, orari flessibili, passaggio da un lavoro ad un altro, transito da lavoro a non-lavoro, eccetera. Tutto questo è successo perché nellaproduzionedella ricchezza,come già aveva presagito Marx, è diventato preponderante il peso del sapere,dellascienza,della potenzacomplessiva dell'intelletto astratto. Ora, il fascismo post-moderno potrebbe basarsi -si fa un discorso su una possibilità limite- proprio sulla fuoriuscita dalla società del lavoro laddove questo tempo in eccesso, questo tempo di non lavoro, venisse vissuto come tempo di mancanza e penuria e venisse riempito. anziché da istanze egualitarie o da esperimenti collettivi al di fuori della forma-lavoro, da miti e riti extralavorativi. da un sistema di appartenenze simulate e di gerarchie apparentemente regressive.ma del tutto post-moderne e contemporanee. che darebbero vita a un tempo colonizzato nella maniera più barbarica. in cui ritornano criteri di sopraffazione personale, di segmentazione, di contrapposizione sociale a carattere pulviscolare, di appartenenze etniche o razziali. Lastessa dinamica la si può notare nella crisi nella dello statonazione? Infatti. Quel monopolio della decisione politica che prende il nome di '"stato" -e che, per dirla con un autore del '200, è "sostanza di cose sperate" - ha subito quasi una metastasi cancerosa per cui la sua obsolescenza, il suo carallere residuale, rispetto alle forme possibili di convivenza, si manifesta come moltiplicazione all'infinito di tanti piccoli stati, con la conseguente riproduzione in maniera barbarica di criteri gerarchici e simulacri atroci della sovranità. Mentre negli anni '20-' 30, in sintonia strutturale. non culturale o politica, con l'esperimento del socialismo reale e con il New Deal americano, il fascismo storico esaltava e militarizzava il lavorodella fabbrica fordista e metteva al primo posto, soprattutto come soggetto economico, il protagonismo dello stato, oggi si potrebbe ipotizzare un fascismo extra-lavorativo ed extra-statale, manifestazione parossistica della crisi della forma-stato. Va infine notato che se un punto decisivo di ogni trasformazione radicale delle nostre società era stato la possibilità di valorizzare ilcarattere irripctibi ledella vita dei singoli.di far valere ladifferenza e l'unicità presente nell'esistenza di eiascuno, negli ultimi anni il tema delle differenze è andato assumendo un carattere sinistro, orrendo. Un'intera gamma di differenze è andata sviluppandosi, ma si tratta di differenze basate sull'ineguaglianza, sulla sopraffazione, su surrettizi contenuti sostanziali. Se dovessi tracciare con una formula la differenza fra il fascismo storico e il fascismo che polemicamente chiamo post-moderno -dico polemicamente, perché icantori del post-moderno avevano immaginato l'inizio di un'epoca idilliaca in cui sarebbero venuti meno i conflitti dell'età del ferro- direi che, mentre per definire il fascismo storico è stata usata la formula "socialismo del capitale" -per sottolineare l'importanza centrale che vi assumeva la macchina statale nel sistema economico. il carattere centralizzato e statalizzato della vita sociale, il riferimento positivo ed enfatico al lavoro visto come articolazione dell ·esercito- parlerei dell'eventuale fascismo post-moderno come di una sorta di "comunismo del capitale'', proprio perché il concetto di comunismo comporta l'abolizione del lavoro salariato e l'estinzione dello stato. Questa possibilità tutt'altro che utopica prenderebbe la forma di uno stravolgimento di ciò che per altri versi sembra realistico e desiderabile. Viene da chiedersi come mai tematiche tipiche dei movimenti di liberazione rischino di assumere

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==