Una città - anno IV - n. 34 - settembre 1994

Pesa 70 grammi, sta nel palmo di una mano, salta prima di scoppiare per devastare meglio arti inferiori e gen un sistema ad istrice al ritmo di 2000 al minuto, ipersensibile a ogni contatto resterà in agguato per decenni e dece1 ce ne sono già dai 100 ai 200 milioni. Ogni mese 800 persone muoiono nel mondo, spesso per mancanza di sa sono le migliori, come decanta il depliant pubblicitario, hanno un'alta potenzialità di hidden killing power. lnterv Nicoletta Dentico è una delle responsabili italiane della campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo. Paradossalmente una delle caratteristiche più terribili di queste armi sembra essere quella di non essere mortali. Quindi comportano un problema di carattere medico, di assistenza ... L'aspetto sanitario -quello, cioè, della cura delle vittime- in società dove l'assistenza sanitaria è estremamente precaria, è un problema di dimensioni catastrofiche. Per fare un esempio, in Cambogia c'è un rapporto tra medico e paziente di 1 a 30 mila, quindi pensiamo cosa può significare avere dai 4 ai 7 milioni di mine disseminate nel territorio, praticamente una per abitante: la stragrande maggioranza di coloro che restano feriti muoiono per mancanza di soccorso. Le mine sono un'arma che si abbatte prevalentemente sulle popolazioni civili, sono armi indiscriminate. E le mine italiane sono considerate particolarmente tremende, nefaste e micidiali, proprio per questo, perché non uccidono, perché sono fatte apposta per ferire, per mutilare, per rendere claudicante un'intera società. In tutti i paesi in(estati da mine, in cui questa calamità colpisce le popolazioni, le mine italiane sono conosciute per essere fra le più micidiali che esistano. La Vs50 della Valsella e la Sb33 della BdpDifesa e Spazio sono fatte apposta per ferire. Sono mine che saltano su pressione e provocano un'esplosione che in genere colpisce gli arti inferiori e i genitali, creando devastazioni enormi che non uccidono, cioè che anche in una logica militare non provocano una distruzione del nemico, né provocano la mutilazione grave. La Sb33, per esempio, è particolarmente micidiale perché dotata di disposi tivi atti a contrastare chi riesce ad individuarla e vuole toglierla: esplode anche a un contatto gentile, esplode ugualmente, cosicché sminarle diventa un lavoro tremendo. La logica è quella, ancora più perversa dell'uccidere, di rendere claudicante la società, di renderla zoppa. Sembra un accanimento contro i civili ... Evidentemente. Oggi le guerre si abbattono prevalentemente sulla popolazione. Basti un dato: all'inizio di questo secolo solo il 10% della popolazione ferita o colpita dalla guerra erano civili, il 90% erano soldati. Oggi è esattamente il contrario. Quindi quando si parla di guerre bisogna sapere che non si parla di eserciti, si parla di popolazioni che la guerra non l'hanno voluta, non l'hanno decisa, e comunque che sono solamente vittime sulla scena, ma non protagonisti delle dinan1iche di una guerra. Infatti è nel 900 che la guerra diventa guerra totale, indiscriminata, di sterminio delle popolazioni tanto quanto degli eserciti. Ma allora, uno potrebbe dire, perché una campagna contro le mine come armi specifiche? Non sono armi come le altre? La mina, secondo me, ha un valore e una valenza simbolica enorme. Quando uno pensa alle questioni del disarmo, alle questioni delle distruzioni di massa, pensa in genere alle bombe nucleari e alle armi chimiche o batteriologiche, che hanno poteri nefasti enormi e colossali, però, fortunatamente, vengono usate in una misura estremamente ridotta. Le mine invece sono pane quotidiano. Ogni mese secondo una stima delle Nazioni Unite confermata anche da quella di un rapporto del Dipartimento di Stato, pubblicato lo scorso luglio col titolo Hidden killer. "assassini in agguato", sono circa 800 le persone che muoiono ogni mese. e 450-500 quelle che restano ferite. In realtà un'arma come la Sb33, così piccola, più piccola di un pacchetto di sigarette, apparentemente così innocua, che sta nel palmo di una mano, pesa 70 grammi, possiede un tale potere di distruzione e ad azione così ritardata, al di là dei tempi e degli scopi per cui gli ordigni sono stati collocati, da non ver mullada inv·diare alla bomb,-nu.çlea- C . L"'l re, alle armi chimiche o batteriologiche. Questa cosetta a cui nessuno attribuirebbe un valore micidiale non si toglie più, resta là, diventa perenne, e assommate l'una all'altra, e disseminate così diffusamente sul terreno comportano una devastazione dalle proporzioni enormi, veramente catastrofiche. Si calcola che siano circa 100 milioni le mine presenti disseminate oggi, ma il vice s~gretario dell'Onu parlaaddiritturadi 200 ll)ilioni di mine sparse in un terzo del pianeta. A proposito dell'Onu non ti nascondo che nel far firmare questa petizione, quando leggevano nell'iscrizione che si chiedeva l'istituzione di un fondo governato e amministrato dall'Onu, alcune persone avevano delle reazioni negative pensando che ormai, dopo le mediocri prove date dall'Onu negli ultimi anni, questo organismo non goda più di alcuna fiducia. Questo non crea poi una difficoltà quando si tratta di cercare un'autorità sovranazionale? Su questa critica ali' Onu penso siamo tutti d'accordo. Le performance recenti sono state estremamente povere e spesso contraddittorie, e spesso hanno riflettuto gli interessi di pochi. Però è anche vero che l'Onu resta l'unico istituto, l'unico organismo sovranazionale. Una questione del genere, come quella dei sistemi d'arma non può essere vista che a livello internazionale, con un coordinamento che non può che essere gestito da un organismo sovranazionale, perché appena si affida questa questione ai singoli governi, o anche alle singole entità sovranazionali locali, quella europea, quella asiatica, eccetera, si entra in conflitti di interesse che forse soltanto l'Onu riesce in qualche modo a regolare. Più in generale va anche detto che oggi, nonostante i suoi limiti, c'è sempre una maggiore fame di Onu nel mondo, e con l'invio di un numero sempre maggiore di contingenti, di soldati, spesso del primo mondo, in zone di guerra dove le mine sono disseminate, dove si incrementano anche i rischi per i nostri soldati di morire sulle mine, sicuramente l'Onu è diventato più sensibile a questa questione. E' l'Onu stesso ad essere protagonista di una iniziativa positiva rispetto alla questione delle mine e Butros Ghali è favorevole a un bando totale di questi strumenti d'arma. Ed è la prima volta che un segretario dell'Onu si schiera in una maniera così politicamente netta. L'Onu oggi si trova di fronte al problema non soltanto di fermare la disseminazione di questi ordigni, ma anche di far qualcosa per togliere quelle già sul terreno. Un problema enorme se è vero che ci sono aree del mondo, come l'Afghanistan dove si calcola che per togliere le mine ci vorrebbero 4.300 anni. Però, anche in casi simili, quello che sicuramente si può fare è demarcare i territori che sono connotati da una grave presenza di mine, affinché la convivenza con le mine da parte delle popolazioni sia la meno nociva possibile ... D'altra parte è gravissimo che mentre noi siamo qui a parlare le mine si continuano a collocare. Cito un dato recentissimo fornito dall'Onu che riguarda la ex Jugoslavia: le mine collocate nella ex Jugoslavia ogni mese ammontano a circa 50 mila, le mine che si è stati in grado di rimuovere in un anno sono circa 80 mila. Quindi la sproporzione fra la dinamica della collocazione delle mine e invece la dinamica della rimozione è paurosa. Qualche cosa bisogna fare, assolutamente. Quindi è vero, l 'Onu sicuramente ha una credibilità da ricostruirsi, l'Onu deve essere modificato, però personalmente non riesco a vedere oggi realisticamente chi, se non l'Onu, possa farsi carico di queste questioni. Per venire all'Italia, nell'attuale panorama politico, con unatteggiamento della classe politica attuale in Italia di difesa ad ogni costo dell'apparato industriale, dei posti di lavoro connessi a qualsiasi genere di industria, incluse dunque necessariamente anche quelle militari, quali sono le speranze concrete? L'Italia, che è il terzo più grosso produttore ed esportatore di mine insieme a Cina ed ex Unione Sovietica, è in gravissimo ritardo nell'affrontare il problema. Se il parlamento europeo si è pronunciato nel maggio del '92 invitando i paesi membri a ratificare la convenzione dell'Onu, del 1980, che cerca di controllare ed imporre restrizioni sull'uso delle mine, e se l'Italia è uno dei paesi firmatari di questa norma- \;;:~4 ~t:;-: ~.::~. (,',$¼:: -~/4:, tiva, in realtà non l'ha mai ratificata, e a tutt'oggi, dopo 14 anni dalla sua entrata in vigore, l'Italia partecipa alle riunioni di revisione di questa convenzione come osservatore e non come paese membro. La ratifica dovrebbe arrivare fra poco, come ci hanno garantito fonti del Ministero degli Esteri. Ma va segnalato che già per ratificare questa convenzione, che per altro non impone sanzioni contro chi la viola, c'è stata un'opposizione durissima dei militari italiani, quindi ci immaginiamo che sarà molto difficile che a livello italiano si possa percepire, accogliere, con una certa capacità di dialogo altre istanze della campagna stessa. Oltre tutto si è chiesto di attuare una moratoria sul commercio, per ora non si parla assolutamente di produzione, ma neanche in questo l'Italia è riuscita ad essere alla pari degli altri paesi. Gli Stati Uniti hanno attuato la loro prima moratoria nel '92 per un anno, e l'hanno rinnovata nell'ottobre del '93 per tre anni, la Francia ha attuato una moratoria, così il Belgio, la Germania dovrà attuarla entro luglio, perfino la Grecia ha attuato la moratoria di un anno sul commercio delle mine, e altri paesi come il Sudafrica hanno attuato questa moratoria. L'Italia ancora è lontana. C'è molto da fare e credo che l'opinione pubblica possa giocare un ruolo determinante proprio perché l'opinione pubblica è più propensa e più sensibile della classe politica rispetto agli aspetti devastanti delle guerra moderna. E se ci fosse un'onda che dal basso si solleva verso le istituzioni,

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