Una città - anno IV - n. 34 - settembre 1994

.. diversa da quella di uno buttato su una linea dove, già da subito, deve fare il suo lavoro. Ma anche questo, che è sicuramente l'elemento più forte nella mani della Fiat, può essere un grosso strumento nelle mani degli operai che, in questo modo, hanno un notevole potenziale di intervento attivo. Il problema, il paradosso, della fabbrica integrata è che essa, come già i modelli toyotisti, chiedono ali' operaio molta intelligenza, ma si vorrebbe che questa intelligenza venisse strettamente esercitata entro i limiti e i tempi stabiliti dal padrone. Il modello taylorista chiedeva all'operaio di lavorare con tempi e ritmi da Tempi moderni, ma non gli chiedeva di essere intelligente: gli chied~- va di rincretinire sulla linea di montaggio. Poi l'intelligenza dell' operaio veniva fuori lo stesso, ma il modello aveva una sua coerenza. Adesso, invece, anche all'ultimo operaio del montaggio si chiede di pensare, quindi c'è la contraddizione di chiedere più intelligenza però, contemporaneamente, di volerla confinata in forme in cui l'intelligenza sta stretta. Questo è un grosso terreno di sfida per il sindacato, un terreno nuovo di scontro tra classe operaia e capitale. Rispetto a questo il sindacato può perlomeno preparare le condizioni iniziali, in cui la negoziazione di certe cose blocchi la possibilità che tutto questo venga regolato dal padrone. La formazione ha una doppia faccia: è probabile che, almeno in un primo tempo, gli operai o i tecnici saranno più coinvolti nella fabbrica integrata perché capiranno di più il significato delle cose che fanno, perché si sentiranno un po' protagonisti anche nell 'allestimento della fabbrica, contemporaneamente, però, possono emergere molte contraddizioni. Peresempio, si potranno porre questioni di salario, di inquadramento, di carriera, proprio grazie alla loro formazione: questi operai potrebbero proporre delle cose che gli verranno rifiutate perché magari il capo non le vuole, eccetera. Io credo che quel loro background potrà essere uno strumento importante anche dal punto di vista della lotta sindacale. Negli anni 70, proprio partendo dalle concrete figure di fabbrica, il sindacato è riuscito a costruire un suo progetto, un suo terreno nuovo di contrattazione, che era forte proprio perché attingeva all'esperienza e alle conoscenze di queste persone, senza pregiudizi ideologici. E se c'era l'operaio che faceva critiche alla commissione di lavoro, il sindacato ascoltava, anche se quello poi non faceva sciopero ... Oggi ha perso un po' l'abitudine di fare questo e Melfi è un punto decisivo e sarebbe interessante ascoltare i tecnici, gli impiegati ... L'aumento della produttività, con questo tipo di fabbrica, è rilevante? L'aumento rilevante si è avuto con l'introduzione dell'automazione, non è che Melfi rispetto a questo rappresenti una svolta. L'introduzione dell'automazione ha comportato un aumento di produttività spettacolare sia per la sua entità, sia perché era visibile in un tempo brevissimo. Quando partiva un impianto tipo Termoli e lo confrontavi con quelli di produzione meno automatizzata, per dare una cifra a caso, la produttività era superiore dell' 80%, mentre a Melfi il livello di automazione non è molto diverso da quello di Termoli e di Cassino. Credo che quel che la Fiat cerca di fare a Melfi sia mettere in moto un meccanismo dove l'aumento di produttività non sia pagato a prezzo di una grossa rigidità dell'impianto, come avveniva in passato. Che cerchi, cioè, di avere il massimo di aumento di produttività possibile, però in condizioni di flessibilità, e soprattutto di avere quello che loro chiamano miglioramento continuo, cioè una situazione in cui ogni giorno c'è un passo avanti nel livello di produttività o di qualità o di regolarità della prestazione. La superiorità del modello giapponese è nella capacità di mettere in moto un meccanismo capace di miglioramento continuo, mentre in passato, con lo schema taylorista, tu facevi lo stabilimento, dicevi che il livello di produttività era tot, ci mettevi un po' per raggiungerlo, poi .rimanevi su quel livello. Quindi lo stabilimento era un blocco unico, aveva quelle potenzialità, se tutto andava bene le realizzavi al di là di quello, invece adesso non c'è limite. Ma questo può essere possibile solo con l'apporto dei lavoratori e questa è la contraddizione di fondo: il miglioramento continuo non è possibile CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' NEL CUORE DELLA CITTA' 1101ecaL:;1nots1an dal vertice perché è la somma di tanti piccoli miglioramenti, innovazioni, e questo rappresenta un salto rispetto al taylorismo perché il ruolo di tutti i lavoratori, non di una piccola minoranza, diventa indispensabile come contributo di intelligenza. D'altro lato, però, questo, che rappresenta un indubbio vantaggio del lavoratore, può rappresentare anche un rischio mortale, perché, se il taylorismo era un sistema di regole certe -se andava male ti imponevano, se andava bene negoziavi, in ogni caso sapevi cosa aspettarti, costruivi le tue difese, riuscivi ad avere dei piccoli miglioramenti-, il toyotismo rischia di diventare un sistema in cui le regole non ci sono, nel senso che oggi si lavora così, ma se domani qualcuno ha un'idea su come lavorare più svelti, si lavora più svelti; oggi la qualità che ci basta è questa qui, ma domani magari il mercato chiede una qualità migliore e tutti dobbiamo darci da fare. è pericoloso vedere il toyotismo alla 1984 Allora, il problema è come introdurre, in un meccanismo del genere, una dialettica negoziale, quindi anche di conflitto, ed è un problema del tutto nuovo per il sindacato. Non ci si può limitare alla difesa delle regole tayloriste, laddove restano pezzi di taylorismo. Certo, nella linea di montaggio -dove io operaio devo fare ogni minuto queste 4 o 5 operazioni- devo difendere le vecchie regole tayloristiche perché, visto che devo fare queste cose, devo sapere in che tempo devo farle e se tu, come ha fatto la Fiat, me lo cambi senza giustificazione devo oppormi. Ma negli altri casi la questione è più complicata: se io sono un conduttore di impianti, che sta buona parte del tempo a guardare l'impianto stando attento a capire se qualcosa non va, è difficile che possa chiedere un tempo preciso, ma devo trovare comunque dei modi per contro I lare le mie condizioni di lavoro perché non capiti che, se ho trovato un marchingegno che mi avverte in anticipo di qualcosa che non va in un punto lontano, mi dicano "Benissimo, allora ti do un'altra macchina da controllare grazie al tuo marUNIPOL ASSICURAZIONI chingegno". Occorre evitare che la flessibilità si traduca in un meccanismo infernale in cui aumenti lo sfruttamento dei lavoratori e non si abbia niente in cambio. Certo, è una sfida molto grossa, ma con pericoli che non credo maggiori di quelli passati al momento dell'introduzione del taylorismo. Anche allora si sarà detto che era spaventoso, che se il lavoro di prima si svolgeva in condizioni pesantissime però tu lo controllavi, che era meglio del nuovo sistema che metteva tutti in riga ... Di fatto poi un po' di lotta di classe, di capacità di contrattazione, è venuta fuori anche nel taylorismo e penso che verrà fuori anche qui ... Secondo me sono pericolose quelle ideologie che vedono un po' tutto alla 1984, cioè chiudono già tutto il cerchio e fanno il capitalismo più sistemico e più onnipotente di quello che è. Quello che io non credo è che ci siano delle condi zioni tecnologiche e organizzative che impediscano forme di autonomia di classe, anche nella fase posttayloristica. Su questo si può ragionare in termini sindacali, ma anche politici ... Ma è vero che la fabbrica integrata di per sé necessita di un mercato del lavoro deregolato? L'elemento centrale nel caso di Melfi, al di là del fatto che sia una fabbrica integrata, è di essere un grosso elemento di industrializzazione in una zona non industrializzata, tra l'altro l'unico costruito al sud di questi tempi. E' chiaro che in quella zona l'impatto occupazionale è solo positivo, ma non perché la fabbrica sia integrata: se tu fai una grossa fabbrica, col suo indotto attorno, in una zona in cui non c'era produzione industriale il fatto è comunque positivo, in termini qualitativi e quantitativi. Più in generale i I sistema della fabbrica integrata, pensiamo sempre al sistema Fiat, ha un nucleo centrale e poi ha fornitori di primo livello, poi dei subfornitori e dei subsubfomitori. E' chiaro che via via che ti avvicini alla periferia del sistema le garanzie di occupazione calano. Ma anche il sistema taylorista era fatto così, con alla fine il subsubfornitore che magari si serviva di lavoro nero. Di per sé il cambiamento del modello organizzativo certamente induce a dei mutamenti, ma questi non sono semUNIPOL: DA 5 ANNI, AMICA PERTRADIZIONE AGENZIA GENERALE Via P. Maroncelli, 10 FORLI' - lei. 452411 FRA LE GRANDI COMPAGNIE, LA PRIMA NEL RENDIMENTO DELLE POLIZZE VITA. CON plificabili. La mia impressione è che, sia nell'uno che nell'altro modello, l'ideale per il padrone sia di avere una fascia di occupazione garantita e una fluttuante. E questo modello si riproduce ad ogni livello, ciascuno ha interesse ad avere un nucleo stabile e, anche al proprio interno, un nucleo fluttuante. Nella mappa di questo dualismo, che ha tante sfumature, io non me la sento di dire, a priori, che con la fabbrica integrata la proporzione tra fluttuanti e stabili cambi a favore dei fluttuanti. fanno più danno le ideologie di deregulation Teniamo presente, tra l'altro, che, nella misura in cui questo modello si estende, c'è bisogno di un operaio -pensiamo al conduttore di impianto, ma anche all'operaio di montaggio- a cui si chiedono una serie di contributi che, anche se non sono di grandissima qualificazione come nel caso dell'operaio del montaggio, si basano comunque sull'esperienza accumulata. Un conduttore di impianti, per esempio, a forza di stare con una macchina quando sente un fischiolino interviene in anticipo, l'operaio di montaggio a forza di montare quel pezzo sa che quella guarnizione lì è quella più rognosa e deve guardarla bene perché è quella più facilmente difettosa. Quindi anche lì il padrone ha esigenze contradqittorie. La novità e che oggi sta vllfÌando la composizione del mix fra· mano d'opera stabile e fluttuante: gli impiegati, per esempio, prima erano tutti stabili, adesso sono diventati fluttuanti, contemporaneamente hai più esigenza di figure operaie stabili. Mentre l'operaio taylorista è il classico intercambiabile, da un giorno all'altro lo cambiavi e non te ne fregava niente, adesso non è più così. Quindi, da questo punto di vista, hai tendenze e controtendenze. Credo che il vero problema, il vero cambiamento, non nasca direttamente e meccanicamente dal modello taylorista o dal modello della fabbrica integrata, ma dall'intreccio tra questi e le condizioni politiche, economiche, sindacali del contesto. li problema è che, dalla sconfitta sindacale in poi e tanto più oggi con l'avvento della destra, si sono diffuse ideologie di deregulation. Faccio solo un esempio: è discorso corrente, accolto spesso anche da parte della sinistra, che il mercato del lavoro è troppo rigido, mentre in realtà oggi usa la chiamata nominativa dappertutto, dal collocamento non passa più quasi nessuno, ci sono contratti di lavoro a tempo indeterminato, contratti a termine, a part time, si può scegliere quello che si vuole. Siccome la fabbrica integrata nasce sotto l'ottica della flessibilità è possibile che per la fabbrica faccia comodo, per esempio, avere dei lavoratori stagionali che assume per 4 o 6 mesi in periodo di punta di produzione, ma questa possibilità ce l'ha già perché la possibilità di contratti a termine esiste già. Ciononostante si continua a dire che però il mercato è rigido, perché? Perché vogliono pagare meno anche quelli a tempo indeterrninato, magari perché sono neo-assunti, pagarli meno degli operai che fanno il loro stesso lavoro, ma questa non è una necessità della fabbrica integrata, è una cosa che fa comodo ai padroni. Il problema è che oggi anche la sinistra spesso ha paura di essere tacciata di rigidità e non osa dire che queste cose non hanno senso, che a queste cose bisogna dire no. Io credo che una certa articolazione sia indispensabile: il fatto stesso che, al di là della contrattazione, una realtà si sia imposta alle vecchie regole e abbia creato una situazione dove non hai più come unica forma il contratto di lavoro a tempo indeterminato e a orario pieno, probabilmente è un portato inevitabile dei tempi, ma allora il problema del sindacato è quello di far sì che ogni tipo di contratto di lavoro sia regolato, tutelato, e quindi si abbia, in quell'ambito, uguaglianza di trattamento tra i lavoratori. Oggi passa l'idea che comunque il mercato del lavoro vada deregolato e allora la fabbrica integrata coinciderà con una completa deregulation, su cui certo i padroni non sputano, perché vorrà dire che poi le regole, di cui neanche loro possono fare a meno, le metteranno loro. - Nella foto: l'inizio dei lavori di costruzione del/o stabilimento di Melfi. W CaffdfleRi ipfarmdi iForlì s.p.A. 11■1• ~) da O a 10 anni da 11 a 19 anni Perloroil miglior futuro possibile Aut. Min. n. 6/1758 del 2/10/93 UNA ClnA•

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