Una città - anno IV - n. 34 - settembre 1994

problemi_ i confine obiettivo della riabilitazione psichiatrica. Come, più in generale, di ogni riabilitazione. Pensiamo agli anziani: gli anziani non è che desiderano essere ricoverati in clinica, una clinica costosa, e morirci dopo dieci anni di ricovero: desiderano, al contrario, essere assistiti nella casa dove hanno vissuto una vita; il che, tra parentesi, sarebbe anche più economico per la società. Siamo nel delicato discrimine fra rispetto e abbandono. Il concetto di riabilitazione richiama quello di manutenzione. Non interessano tanto i sintomi, né la diagnosi, quanto i funzionamenti. Il rispetto dei tempi diversi. Il farmaco che deve servire a lenire, non a prevenire il dolore. Le conseguenze gravissime delle lunghe degenze in istituti. Il patteggiamento coi familiari. Il break down adolesceziale di oggi. La necessaria riabilitazione dei riabilitatori. Intervista a Giorgio Villa. Un eccessivo rispetto può mascherare un disinteresse, un abbandono, quindi dobbiamo stare molto attenti. Prendersi carico di situazioni difficili e delicate vuol dire elaborare anzitutto un setting, un terreno nel quale possa avvenire l'incontro, il percorso di vita, e ci possa, quindi, essere una riabilitazione al ritmo, alla continuità, alla coesione, alla volitività e all'affettività. Questi quattro parametri sono centrali non solo per l'analisi delle relazioni oggettuali del sé, ma proprio per il livello del rapporto. Noi curiamo, ci prendiamo cura, riabilitiamo attraverso la relazione in un contesto in cui si fa e in cui, attraverso il fare, si è, dicendolo in termini proprio spiccioli. Giorgio Villa, psicoterapeuta epsichiatra, Lavora presso il Dipartimento di Salute Mentale RM I I a Roma. Ha insegnato Antropologia Culturale all'Università di Urbino. Tu ti occupi di riabilitazione nel campo psichiatrico e psicologico. Cosa vuol dire riabilitazione? Riabilitazione è una parola che da alcuni anni va molto di moda , si fanno convegni, c'è la proposta per un inserimento in un insegnamento universitario. Ma, forse, per chiarire il significato di riabilitazione va superato un pregiudizio fondamentale, quello della formazione medica, che prevede: una prevenzione primaria, cioè tutte quelle misure di igiene collettiva a cui dovrebbe essere sottoposta l'intera popolazione, dalle vaccinazioni alla cura delle acque, ai controlli sulla carne macellauv,eccetera; dopodiché c'è la prevenzione secondaria, cioè la cura, che riguarda quella parte della popolazione che, sfuggita alla prevenzione primaria o, anche se sottoposta a prevenzione primaria, per agenti patogeni esterni o per debolezza costituzionale si ammala. Di questa parte si occupa il medico. Dopodiché una parte delle persone malate guariscono con difetto, quindi devono essere sottoposte a riabilitazione. In pratica quando non si sa cosa fare si pensa alla riabilitazione, ma in realtà la riabilitazione è tutt'altro e coinciq~ più col concetto di manutenzione. Quanto più la società diventa complessa e quanto più la durata e la speranza di vita aumentano tanto più la quantità di pratiche volte aila manutenzione aumenta. Pensiamo soltanto ai nostri problemi odontoiatrici. Tanto più la popolazione vive a lungo, tanto più la nostra dentatura non tiene, per problemi filogenetici, per paradontopatie, per cattiva cura del dente. Chiaramente in una società con una speranza di vita di 40 anni, il problema della manutenzione dentaria sarebbe molto ridotto. Ebbene, la manutenzione del dente comporta tutta una branca di specialisti che si occupano di protesi, di riparazioni, eccetera. Il problema della riabilitazione è quindi un problema molto complesso. In campo psichiatrico è reso ancora più complesso dal fatto che spesso noi, prima di avere il rapporto con una persona, dobbiamo consentire che TEMPO VERRAI staziOl'li 'Tempo verrà", così comincia in Leopardi la pagina finale del Cantico del gallo silvestre. Noi leggiamo con il brivido di una speranza o anche di un timore, leggiamo e subito capiamo che siamo di fronte al paradosso di un futuro senza futuro, ad una lastra verticale da cui ogni luce precipita. "Tempo verrà", scrive infatti Leopardi, "che esso universo e la natura medesima sarà spenta. Delle cose create non rimarrà pure un vestigio ma un silenzio nudo, una quiete altissima". Nudità, silenzio, quiete: sono i termini delle liriche, eppure molati su di una pietra grigia e aguzza, sul tono straniero di una musica chiusa e insieme immensa, simile a certi suoni che al mattino ci raggiungono, indecifrabili. Sì, tempo verrà, di linguaggio scagliato di colpo oltre ogni nostalgia e conforto e bellezza: sonno e popoli finalmente inermi con le guance premute sulle braccia piegate, con le gole offerte al vento; esseri immobili accanto ai loro animali, non più offesi da nulla, non più trascinati da nessuno sguardo. Tempo verrà, sulla terra spenta, prossimo al silenzio e tuttavia più complesso del silenzio, schiuso ad una parola diversa e slittante, un'altra lingua lontana dal mondo dei vivi. Tempo verrà come in questa pagina di prosa fragile e secca, di dialoghi stesi sul vuoto, in luoghi senza tempo e nome; non ascolto, ma transito, voci di deserto nel deserto. Forse noi non esistiamo che per imparare il semplice alfabeto dei morti e per raggiungerli quando avremo appreso la loro nuova lingua, forse Orfeo per riavere dawero Euridice doveva capirne la morte, restarle accanto fino a comporre una parola, una musica totalmente diversa da quella che incantava gli umani. Leopardi lo ha fatto nelle Operette e lo ha fatto Marina Cvetaeva, quando nella sua elegia di morte di Rilke ha scritto in avanti, sola e tesa verso una terra sconosciuta, scostando da sé ogni rimpianto: ''giacché a interpretare correttamente I la parola morte I cosa, se non I una serie di nuove rime I è la morte?". Antonella Anedda Einaudi Diffusione Centri Einaudi Electa Conto Aperto un servizioper arricchire la propria biblioteca Con appena 30.000 lire mensili si possono avere subito a prezzo bloccato libri fino a 1.000.000 di lire. La scelta è libera senza alcun obbligo tra tutti i libri Einaudi, Electa. Melangolo, Collana Pleiade. Universale Gallimard e altre Case Editrici consociate. 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Per esempio una persona molto disturbata può avere l'interesse ad andare al mare, a lavorare il legno, a fare ginnastica. Dei nostri infermieri, opportunamente coordinati, negli ultimi sei mesi hanno gestito con un insegnante Isef un corso a Villa Pamphili ottenendo con un gruppo di nostri utenti - alcuni dei quali veramente molto problematici, molto violenti, un tempo si poteva dire anche pericolosi a sé e agli altri - dei risultati stupefacenti, articolando, aila fine di questi incontri, anche una piccola partita di calcio. Si è, cioè, realizzato un gruppo finalizzato al fare insieme qualche cosa, ail'interno di un programma disegnato dall'insegnante Isef. Allora, qual è l'obiettivo generale della riabilitazione in campo psichiatrico? E' di consentire a una persona di vivere, di abitare, di imparare, di avere amici e anche di lavorare in un ambiente di sua scelta. Un secondo obiettivo, di più lungo periodo, è quello di consentire a una persona di sviluppare al massimo la componente non professionale dei suoi supporti, dei suoi ausilii, incrementando quindi il numero di amici, tutte le pratiche preventive, i sistemi di autoaiuto e diminuendo progressivamente la percentuale di interventi specialistici. Per fare un esempio: un paziente psichiatrico grave che viene da noi, e col quale dopo una lunga fatica l'équipe riesce a stabilire un rapporto, chiede tutto alle persone, persone che sono per lui gli unici mediatori del rapporto con un mondo in cui, altrimenti, tutto è perturbante ed aggressivo. Nel tempo l'obiettivo è che questa persona e i suoi familiari abbiano una maggiore capacità di potere e di contrattualità, e possano avere quindi un rapporto diretto con il medico di fiducia, con le agenzie sociali, in modo da poter riscuotere la pensione senza la mediazione dell'assistente sociale, da entrare nella graduatoria per la casa popolare senza necessità che un'intera équipe si muova a questo riguardo. Si ha l'impressione che il concetto stesso di malattia venga superato in questa logica. Per lo meno lo si oltrepassa ... Forse la definizione potrà sembrare un po' apodittica, un po' ideologica, ma per noi operatori che ci occupiamo di riabilitazione è una questione fondamentale. Noi non parliamo di pazienti ma di utenti, cioè di persone che utilizzano, che fanno, che agiscono. E non ci interessa tanto perché agiscano, ci interessa solo che ci sia un abbozzo di desiderio. Questo vuol dire che non ci interessa neppure se un persona prenda o non prenda le medicine, anche se per altro verso potrebbe interessarci molto, ci interessa che una volta alla settimana si faccia qualche cosa, che una persona, cioè, abbia la possibilità di fare un percorso di vita con noi e di recuperare un ritmo che ovviamente deve essere tarato. Cioè? Proporre a una persona di fare una cosa una volta alla settimana significa riabituarsi ad un tempo condiviso che deve essere scandito con rispetto. vorrei prendere il té, ma dopo mi scappa la pipì Mi viene da citare un bellissimo libro di Doris Lessing, li diario di lane Sommers, dove si racconta dell'incontro fra una donna in carriera, una editrice di una rivista di moda, quarantacinquenne, e una ultranovantenne. E la descrizione della giornata della ultranovantenne, paragonata a quella della giornalista, è sconvolgente, perché, limitata da un corpo che non si muove, da un corpo opaco rispetto al desiderio, è scandita da desideri torpidi:" ...vorrei prendere il tè, ma dopo mi scappa lapipì, dovrei ria/- zanni di nuovo, allora aspetto un 'ora a prendere il tè, così do da mangiare al gatto.faccio la pipì, e quindi avrò bisogno di alzarmi solo tra un'altra ora ...". Alzarsi ogni ora è già una fatica enorme. Un tempo, quindi, scandito in modo inconcepibile per una quarantenne, e anche il desiderio dell'ultranovantenne di incontrare la donna in carriera alla fine è enorme, è così grosso che viene negato, e la tratta male quando la incontra. Ecco, questo è quasi un apologo del nostro rapporto con una persona che vive in un mondo depauperato, desiderando il rapporto ma temendolo massimamente. Hai parlato di équipe, come funziona la divisione del lavoro fra di voi operatori? GAIA AlimentazioneNaturale Yoga- Shiatsu via G. Regnoli,63 Forlì tel. 0543 34777 Con il mio collaboratore più stretto, che è un grande esperto di psicologia dello sport e allena psicologicamente da molti anni la nazionale italiana di nuoto, abbiamo elaborato l'idea, proprio negli spazi d'acqua, nelle piscine, nelle palestre al Foro Italico, dove facciamo appunto i nostri gruppi sportivi, che un operatore psicologico deve essere un mediatore, non può essere un istruttore di determinate abilità, non può mai occupare due posti contemporaneamente perché induce una grande confusione. Non può far fare l'anforetta di ceramica e poi accompagnare a casa la persona. Occorre, quindi, una figura che sia il tecnico, l'istruttore. Inoltre va utilizzata una molteplicità di setting, non solo quello psicoterapeutico, per cui il concetto di équipe -noi diciamo di costellazione riabilitativa-è fondamentale. Occorre, poi, una supervisione di tutto il lavoro riabilitativo. Non per abusare delle teorie sulla complessità ma, se il lavoro psicoterapeutico è complesso, il lavoro riabilitativo è ipercomplesso, perché le variabili sono enormi. Quindi occorre stabilire dei parametri valutativi e una supervisione costante che consenta alle persone che lavorano in questo contesto di superare la barriera della psicosi, di avere un rilancio che può essere un rilancio poetico, iconografico, ludico, o di qualsiasi altro tipo che ci permetta di continuare a sperare di superare il blocco di fronte ai molti elementi negati vi che costellano la vita di una persona. Occorre la capacità di sviluppare un dialetto riabilitativo, che sarà diverso da un quartiere all'altro, da una città ali' altra. Inoltre ogni processo riabilitativo ha un funzionamento ottimale quando è invisibile, quando è fatto là dove la gente ha desiderio di incontrarsi e di riunirsi per fare cose. In quel caso abbiamo le attività migliori. il farmaco è solo per il bruciore estremo della crisi Quando si fanno delle attività isolate per i matti, o in un contesto per i matti, o nella bella clinica per i matti -e uso questo termine con chiaro intento provocatorio- la partenza di per sé, come ha già detto perfettamente Basaglia, è una partenza sbagliata, perché non potranno essere riabilitati in un contesto che non è il luogo nel quale possono e desiderano vivere, imparare, avere amici, che è, invece, il primo L'ultima cosa: chi si occupa di questo lavoro deve avere strutturalmente una sorta di vitale ottimismo di base. Non quello acritico del dire "va tutto bene, andiamo avanti, le cose si risolvono" ... ma un ottimismo nel fare, nell'individuare un percorso riabilitativo anche minimo. "Una volta alla settimana tizio, buttato giù dal letto e messo nella vasca da bagno, e accettato questo livello di rapporto, uscirà con me a prendere un caffè ... ecco, prima o poi ci riusciremo". Questo è un progetto ottimistico che consente di stabilire un piccolo percorso di vita, al di là del processo emarginante farmacologico. Che ruolo ha il farmaco? Stiamo parlando nella sala d' attesa, per altro confortevole, del mio studio, e di fronte abbiamo un palazzo. Oggi, da mezzogiorno alle due, dall'ultima finestra, un anziano signore, come tutti i giorni, apre la finestra e si mette a urlare frasi irripetibili verso la gente che passa. Su mille, millecinquecento persone qualcuno si alza e gli rivolge qualche parola incominciando un alterco. L'anziano signore è arteriosclerotico e etilista, la sua unica effrazione è questa qui. Dentro di me pensavo che ho messo i doppi vetri, che corrispondono anche a una mia barriera mentale, che nessuno dei miei pazienti si è mai accorto di questo signore, e che una cosa simile non sarebbe stata possibile soltanto vent'anni fa: le urla e gli insulti avrebbero attirato gente, ci sarebbe stato un chiacchierare, un tentativo per sapere perché, per come, chi, i figli, i cognati ... In realtà in una società mutata, in cui il singolo ha il sentimento di impotenza e di irrilevanza del proprio comportamento, la tolleranza sociale per certi aspetti di devianza è molto aumentata e quindi è mutato anche l'uso del farmaco come controllore sociale dei comportamenti. In una società tendenzialmente autistica un paziente schizofrenico che ha sintomi negativi, cioè rifiuto del rapporto, negativismo, mancanza di affettività, e quant'altro, è una persona tutto sommato bene integrata, perché non dà fastidio. Quando si parla invece della persona che dà fastidio si parla di solito di persone che hanno un quadro psicopatologico non tanto interessante per lo psichiatra: persone caratteropatiche, pantoclastiche, che hanno il quadro del border SOFTWARE - SYSTEM HOUSE CENTRO ELABORAZIONE DATI CONSULENZE INFORMATICHE CONSULENZE DI ORGANIZZAZIONE . . - - CORSI DI FORMAZIONE Soc. Coop. a r.l. Via A. Meucci, 17 - 47100 FORLI' Tel. (0543) 727011 Fax (0543) 727401 Partita IVA 00353560402

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