Una città - anno III - n. 22 - maggio 1993

Qualcosa si sarebbe potuto fare all'inizio. Oggi è molto difficile. Il numero di coloro che tengono in assedio Sarajevo non è grandissimoed è vero che un'azione di interposizione come è stata fatta recentemente a Srebrenica, si sarebbe potuta fare con buona probabilità di successo, senza spargimento di sangue, già molti mesi fa. Non è stato fatto. Ma va anche detto che se questa guerra, come tutte, può avere una spiegazione nei cattivi gruppi dirigenti, quelli che hanno evocato i fantasmi del nazionalismo, come Milosevich o Karadzich, però non è solo questo. Quelli che assediano Sarajevo non sono solo militari e una delle cose paurose di questa guerra è il suo carattere "popolare": una guerra che entra nei cortili delle case, con i ragazzini delle parti in conflitto che fanno il simbolo del loro schieramento, con i vecchi che portano vecchi fucili, una guerra che è molto "civile", nel senso che è interpretata, voluta e continuata da una parte della popolazione. Questo particolarmente nei paesi attorno a Sarajevo. Sarajevo, Tuzia sono tra i pochi posti in cui esiste una grande massa di civili non impegnati nella guerra, non combattenti, in cui si può parlare veramente di una popolazione civile in qualche modo ostaggio della guerra. stai attento, lo sai cosa viene dopo la 680? La 681 • Nei paesi invece, per un certo radicalismo del contadino che ha un sapore antico, spesso si vede il paese intero in armi che si difende da chi lo vuole attaccare, o attacca. Non è una cosa che può essere ridotta solo ad un problema di milizie. Purtroppo è anche una guerra che ha radici: la guerra condotta dai serbi e che ha radici forti nella popolazione di etnia serba della Bosnia. Non si può parlare solo di pochi dirigenti. Quando Karadzich è riluttante a firmare, credo sia anche per un problema reale: c'è un estremismo bellicoso nella gente. I delegati del cosiddetto parlamento serbo rappresentano abbastanza bene le idee che esistono fra i serbi di Bosnia, l'idea di avere il mondo contro, che c'è qualcosa da giocarsi e che bisogna "fargliela vedere". Naturalmente tutto questo confortato dagli errori che si sono fatti in tutto quest'anno, dalla lontananza, dall'assenza, dall'impotenza. Circola là una barzelletta che esprime bene questo: un mediatore internazionale dice a Karadzich «stai molto attento, perché lo sai cosa arriva dopo la risoluzione 680» e lui risponde «sì, la 681 ». Sono andati avanti a forza di risoluzioni non facendole rispettare. Quella internazionale è stata una politica molto lassista, piena di incertezze, equesta è una cosa che ha alimentato tra lutamente ininfluente. Bisogna poi considerare chi ha preso la direzione politica e militare sul campo. capipolo rozzi, non sono certo emersi i migliori Nel sobborgo serbo di Sarajevo, e che oggi è la capitale degli assedianti, il sindaco è uno che faceva il macellaio e che improvvisamente si è trovato ad essere un capopopolo. In genere non sono venuti fuori i migliori, quelli predisposti a capire, ad ascoltare, ma i più rozzi. Anche l'elemento contadino è un elemento fortemente presente nella direzione militare sul campo. Questo spiega anche come sarà molto difficile che siano rispettati gli accordi, perché in ogni paese c'è un capomanipolo che fadi testa sua ed è convinto di sfidare il mondo. Quindi è sicuramente vero che l'assedio di Sarajevo rappresenta anche l'assedio della campagna alla città. E nelle campagne questa situazione a macchia di leopardo non esiste più? Per i 3/4 della Bosnia la pulizia etnica è cosa fatta. Il mondo se n'è accorto in ritardo. Ho attraversato la Bosnia occupata dai serbi e tutti i paesi dove c'era un minareto erano vuoti, deserti. C'era solo un gruppo di miliziani al centro del paese. La stessa cosa vale, a onor del vero anche se in misura molto minore, per i paesi serbi in Herzegovina: ce ne sono alcuni completamente deserti. Dopo un 'po' si riesce a capire cos'è un paese bombardato: si vede una casa distrutta, una casa incendiata ... Ma un paese dove è stata fatta la pulizia etnica si riconosce dal fumo attorno alle finestre: le case sono state minate dall'interno, regolarmente. Non ci sono segni di bombe nei cortili: hanno messo le bombe dentro ogni casa e le hanno fatte saltare. Questo dimostra bene anche quanto sia profondo l'odio. Essendoci molti profughi, anche da parte serba, si poteva pensare che ricomponendo una mappa etnicamente omogenea, quelle case sarebbero andate ai profughi della stessa etnia. No.rodio è tale da distruggere tutto, anche il passato. Poi le moschee fatte saltare da una parte e, in pochi casi, le chiese ortodosse dall'altra. La pulizia etnica è una cosa che possiamo dare per avvenuta e senza ritorno. Non credo possibile, seppure sotto la i serbi di Bosnia la convinzione di poter agire impunemente, di poter " •. coltivare il sogno, che non hanno mai nascosto, di fare una grande Serbia e di tenere collegate saldamente fra di loro tutte le varie macchie di carta geografica abitate in maggioranza da serbi. A questo mirano e sfidano tutti con I' arroganza di chi, cresciuto in una cultura guerriera, fortemente nazionalista, è convinto che il mondo non abbia voglia di sporcarsi le mani con questa storia. In una intervista che pubblichiamo in questo stesso numero un giovane di Sarajevo ci dice che è venuto fuori anche un odio delle campagne contro la città cosmopolita. Secondo te è vero? E' assolutamente vero. C'è da tenere presente un fatto che si può spiegare, credo, con la proprietà della terra. I paesi generalmente si alternavano: c'è il paese mussulmano, a tre chilometri il paese serbo, poi ancora il paese mussulmano e così via. Nella campagna i paesi erano etnicamente omogenei. A Sarajevo, dove -tranne che nei sobborghi, dove c'era il quartiere mussulmano e quello serbo- la popolazione era davvero mista, con un alto numero di coppie miste, non c'era divisione. La divisione B iOr·noteiè8ra <31 no presenza del contingente multinazionale, imporre una pacifica convivenza a gruppi che si sono scannati a vicenda. Gli odii personali sono ormai destinati a protrarsi per decenni sicuramente. E adesso, dopo il voto del parlamento serbo-bosniaco, come vedi la possibilità, oggi più concreta, di un intervento? Continuo a essere contrario ad un intervento tipo bombardamento delle posizioni, perché è molto difficile, anche tecnicamente, e probabilmente del tutto ininfluente sul piano dei rapporti di forza reali. gli odii destinati ormai a protrarsi per decenni Quello che ci vorrebbe e che ci sarebbe voluto già mesi fa è l'invio di un grande contingente di terra con una notevole forza di dissuasione in grado di procedere lentamente a interporsi ovunque ci siano situazioni di conflitto, perdi fendere nei fatti quelle zone che sono state poste sotto salvaguardia internazionale. E lentamente far tacere le armi. Ma ci vorrebbe un contingente enorme di soldati, un contingente di pacificazione attiva. Un bombardamento, invece, avrebbe il significato di un'esibizione, molto poco produttiva sul terreno ed oltretutto molto pericolosa per i caschi blu che già ci sono. Non esistono grandi acquartieramenti, e anche bombardare gli aeroporti serve a poco perché hanno fatto un uso dell'aviazione molto limitato in definitiva. Le stragi, le scene di pulizia etnica, sono tutte cose fatte la sera, con i coltelli, con i fucili mitragliatori. Non sono grandi operazioni campali verso cui la superiorità tecnologica dell'occidente possa essere esercitata con efficacia. Avrebbe un potere simbolico, capace forse di intimorire molto di più Belgrado che ha in mano la situazione economica, che non i serbi di Bosnia. Loro le armi le hanno casa per casa, non hanno caserme, hanno dei paesi. Pensare di bombardare questi paesi vuol dire bombardare anche la popolazione civile serba. Ci si troverebbe in un tunnel senza sbocco. - Le foro di quesre pagine e delle due pagine successive sono srare scauare alcuni mesi fa a Mosrar, da Marco Ricci. ex-Jugoslavia UNA CITTA' 3

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==