Una città - anno III - n. 22 - maggio 1993

figlio e piglia la scorciatoia per andare in Paradiso? Cominciamo allora a dire che la giustizia terrena dovrebbe limjtarsi a quello che noi sappiamo ... Ma questa etica della modernità è gia implicita in questa e si deve in qualche modo riconoscerla, oppure è una cosa ancora tutta da costruire? Ci sono tutti i segni di un'etica moderna, ma sparsi, senza unità, perché quello che li può unificare è soltanto la coscienza del diritto e questa è una coscienza che va distribuita. Non la puoi tenere chiusa in Parlamento. Oggi il problema è la distribuzione della cultura equesta è una cosa che non è mru stata fatta; la gente viene lasciata crescere secondo i principi di diecimila anni fa. Non c'è una cultura del diritto, se non a livello di chi se ne occupa. La cultura è un privilegio aggiottato, per cui ogni volta che ne hru bisogno devi andare dal1' esperto, perché da solo non sai come fare. Per la religione già non è più così. E' nata con una casta di "illuminati", ma via via si è poi svelata alla gente e adesso qualunque credente di qualunque religione ha il diritto di essere protagonista della propria fede, senza dover render conto ogni volta al sapiente. Ha un rapporto diretto con Dio, gli è stata distribuita una dottrina, sa che Gesù è nato lì... Ora sta succedendo la stessa cosa con la cultura in generale: non è giusto che il fruttivendolo non pensi neppure di leggere Omero. Perché non gli dici che non solo è un suo dovere, ma è un suo diritto il godersi Omero? Perché dovrebbe essere solo un piacere per l'intellettuale? Questa è una forma di aggiotaggio per cui la cultura e il diritto vengono trattenuti nelle mani di chi poi può anche trasgredirli, perché tanto nessuno se ne accorge. L'etica che io voglio deve fare i conti con questo: bisogna impostare l'educazione degli esseri umani nella direzione in cui poi li costringi ad andare con le leggi. Gli dici di non ammazzare i gatti, di non vilipendere i monumenti, ma non gli dici perché. Io credo che ci sia tanta gente che non ha nessuna idea del perché una chiesetta in Provenza, che non visiteranno mai, ha il diritto di essere tutelata anche con spese cospicue da parte della collettività. E' come dargli il televisore, poi se non funziona è un mistero e bisogna chiamare il druido ... Credo che il problema stia qui: la religione è stata distribuita e non c'è credente al mondo che non sappia quali sono i misteri che devono rimanere tali e se gli si guasta la fede se l'aggiusta da solo mentre ci sono ancora persone civili che sostengono la pena di morte, perché non partono da un'etica e da una cultura che si fondi su determinati valori ... Nessuno ti spiega cos'è il diritto sul quale abbiamo fondato questa repubblica. Questa parola, "diritto", è una specie di bandierina che passa di mano in mano, che chiunque chiama in causa e si ha sempre bisogno di qualcuno che faccia da tramite e te la traduca. Se la gente fosse capace di giudicare da sola non sarebbe meglio? Invece è ancora possibile fare dei polveroni in nome del diritto. rinunciare alla vendetta è il risarcimento La gente non ha idea di cosa sia il diritto, perché ali' istinto vendicativo, che è originario, non è stata sovrapposta nessuna ferma e convinta educazione. Ma essere consapevoli dei perché è la vendetta, il risarcimento. Io rinuncio a veder scannare l'assassino di mio figlio, ma mi sento fiero di questo, esattamente come il martire cristiano si sentiva fiero di essere sbranato dal leone: era al centro della fede, gli stava accadendo quello che era accaduto a Gesù. Perché non siamo capaci di dare al padre di una vittima questo sentimento di fierezza nel rinunciare, in nome di un valore non perché la costituzione lo vieta, alla propria originaria reazione, che è la stessa di un qualunque animale? Ma il valore deve sostituire questa prima reazione originaria o solo temperarla, canalizzarla? Secondo me tutte e due le cose: tra l'essere appagati solo vedendo un uomo ciondolare dalla forca e il saperlo in carcere, sottoposto a una disciplina che tu in quanto Stato hai stabilito, c'è una temperanza. Però è anche vero che si tratta di un'altra cosa e se sottrai alle persone la cultura di cos'èquest'altracosa, gli chiedi solo un sacrificio. La cultura delle cose che vengono fatte è un diritto di tutti. Se domani uno si mettesse a stampar soldi e si sapesse in giro, quanta gente penserebbe all'inflazione e non andrebbe a prendere quei soldi? La gente ci andrebbe di corsa perché non sa che cos'è un processo inflattivo. Pagare le tasse è solo un obbligo e se si può non pagarle è meglio. Ma questi sono i fondamenti dello Stato e non vengono spiegati: la CASSARURALEDARTIGIANA - FORLI' NEL CUORE DELLA CITTA' Biblioteca Gino Bianco gente li rispetta, ma non pensa che quello che può essere un vantaggio per il singolo è un danno per tutto il sistema. Tu hai scritto un libro che, descrivendo quattro storie di condannati a morte, vuol portare all'abolizione della pena di morte, come è nato? La pena di morte, fin da quando ero piccolo, ha esercitato su di me un' influenza più forte di ogni altra cosa. Credo che questo dipenda dal fatto che quando sei bambino credi a quello che vedi e che ti dicono; quindi credi che siamo civili, moderni, che abbiamo la bomba atomica, ma che non la useremo mai, che i dinosauri si sono estinti e la pena di morte si è estinta come loro. Poi però impari che c'è. Allora, come i dinosauri li vuoi vedere se ci sono, perché ti attirano nello stesso momento in cui ti respingono, vuoi andare a vedere anche cosa succede con la pena di morte e ho deciso di avvicinarmici il più possibile. In partenza il discorso era molto vago. Io scrivo, qualcuno ha abboccato e mi legge, ed ho maturato un progetto: volevo arrivare fin dove si poteva, se mi avessero consentito di assistere avrei anche assistito, sebbene non lo desiderassi. un'esperienza rara, toccata a pochi Quando ho cominciato, la mia opposizione alla pena di morte era totale e di principio, ma non basata su un processo cognitivo di cosa sia la realtà della pena di morte. E basterebbe quello, basterebbe che si sapesse cosa di fatto è in tutti i regimi l'esercizio della pena capitale, quale differenza c'è tra il colpire il colpevole e quello che viene fatto, che anche chi è favorevole cambierebbe idea. La pratica della pena di morte è tutta diversa dalle ragioni per cui la gente la vorrebbe, però te ne accorgi solo andandoci vicino, perché da lontano, col filtro dei media che sono sottoposti alle pressioni politiche da una parte e dell'opinione pubblica dall'altra, non te ne accorgi. Quando c'è un caso di ingiustizia ti viene presentato come un'eccezione e non ti rendi conto che invece è la regola; questa è una delle cose che questo lavoro mi ha dato. Sono partito con una posizione di principio e, non voglio essere ipocrita, con zero possibi I ità di cambiare idea, ma non perché sapessi in anticipo che le cose stavano così. Al massimo avrei potuto concludere che la pena di morte funziona, ma che non è accettabile ugualmente. Sono consapevole di aver vissuto un'esperienza rara, toccata a pochi. Che di solito capita a chi ne fa una ragione di vita, finendo per questo col vedere i sostenitori della pena di morte come avversari da battere. Non essendo un attivista contro la pena capitale mi rimaneva invece lo spazio per pensare, per cercare almeno di capire di cosa sono frutto le posizioni degli altri. Io ho avuto la fortuna di avere una certa idea, ma di non aver quotidianamente la mia vita "piena" di questa idea. Per me è stata un' eccezione avere a che fare con Arnnesty InternationaJ così intensamente; non avevo mai spartito la mia vita con quelli che la pensavano come me su certi argomenti. Questo è stato un surplus che mi è venuto in quell'esperienza di tre anni. Che sensazioni hai avuto intervistando un condannato a morte? Se fosse stato un film sarebbe stato deludente: uno si aspetta chissà che, poi invece si trova davanti un coatto in catene, che non è incazzato, né disperato, nulla di quello che tu pensi sia un condannato a morte. Perché è lì da 13anni e ci ha fatto la bocca; è come incontrare uno che 13anni fa ha subito un grave lutto, che poi però si è abituato, non è cristallizzato nell'orrore del primo giorno, del primo mese, se ne è fatto una ragione. Avevo davanti l'emblema della pena di morte: un essere umano che sarebbe stato soppresso, un essere umano che risponde a chi gli scrive lettere, che dipinge, pensa, che si pente, ma fino a dove può arrivare il suo pentimento, e non gli basta. Lo vedevo concentrato sul fatto di saper affrontare bene la prova ed era sicuro di riuscirci, perché quello gli era dato. Diceva, fra le righe, che in fondo la condanna era un privilegio: siccome quello della morte è il momento supremo, quello in cui tutto raggiunge un proprio culmine, era preparato ad affrontarlo bene, aveva avuto tutto il tempo per prepararsi. Era pronto a morire. Fuori dal carcere erano tutti costernati, lui no. La prima volta era pronto, ma la seconda no: all'ultimo minuto lo hanno fatto uscire dalla camera a gas per poi riportarlo dentro dopo un'ora ... A quello non era pronto. Comunque ho visto una persona concentrata sul dover morire, abbastanza orgogliosa del fatto che ormai sapeva che ci sarebbe riuscito bene. L'unico orgoglio che gli era concesso. - GAIA AlimentazioneNaturale Yoga- Shiatsu via G. Regnali,63 Forlì tel. 0543 34777 -------------stazioni Perché "stazioni"? Perché anche nell'accezione più comune le stazioni sono luoghi di arrivo e di partenza; a volte di lunghe attese, di perplessità, di promesse. Comunque di sospensione e di transito. Stazioni, altresi, in una voce più dotta, come tappe di una via crucis in cui si è invitati a sostare, a rivolgere uno sguardo per trarre edificazione da un'immagine, da una parola, da un esempio. Nulla di esaustivo, dunque. Tutt'altro. Solo il tempo di una breve riflessione a voce alta, nella speranza che possa essere di contributo a quest'avventura comune. I.A POVERl'A' PERDUl'A Maggio 1935, Albert Camus annota sul suo diario: "Ciò che voglio dire: che si può avere -senza romanticismo- la nostalgia di una povertà perduta. Un certo numero di anni vissuti miserabilmente sono sufficienti a costruire una sensibilità." Considerazioni come queste si alternano, in quel periodo, allo studio di uno stato emotivo che, di lì a poco, diventerà il tema di alcuni suoi romanzi (L 'Etranger, Le Malentendu, La peste) e soprattutto di un saggio intitolato Entre oui et non raccolto in L'Envers et l'Endroit. Senza addentrarmi nell'intero piano dell'opera, vorrei limitarmi a questa semplice suggestione iniziale. Ad avermi subito colpito, in effetti, è il fatto che Camus, a differenza di tanti scrittori e poeti che l'hanno preceduto, non indichi in una presunta "età dell'oro", sita in qualche angolo felice dell'infanzia o di un tempo remoto, una possibile fonte di nostalgia, ma nella povertà, in una condizione che, se si è vissuta, si preferirebbe dimenticare o tentare di sovvertire. In che senso, perciò, questa potrebbe suscitare, "senza romanticismo", al di là del suo aspetto a volte pittoresco, nostalgia? In che cosa consisterebbe il suo irragionevole richiamo? E' lo stesso Camus, poche righe dopo, a fornirci, "per comparazione", una risposta: "Alla gente ricca il cielo, per di più dato, pare un dono naturale. Per la gente povera, il suo carattere di grazia infinita gli è restituito." Non a caso, osserva ancora Camus a proposito del personaggio che sta tratteggiando, chi ha conosciuto in qualche modo l'indigenza, nutre un sentimento di "riconoscenza" che presto si rivela come "cattiva coscienza". Se, cioè, da una parte la sua gratitudine è l'espressione della consapevolezza per la fortuna accordatagli dal destino, dall'altra la persistenza del rimorso gli rammenta che, proprio in ragione di questa, egli si è separato da quella povertà che, pur avendo forgiato la propria sensibilità, continua a serbare solo in se stessa una qualità esemplare. La povertà, infatti, privando l'uomo di ogni conforto materiale, gli offre l'opportunità di leggere in ogni accadimento, persino nei favori della natura, un significato spirituale. Le nostre stesse lotte per l'emancipazione, a ben vedere, vengono condotte proprio contro le leggi di natura che inducono ciascuno di noi a considerare come un diritto inalienabile la proprietà. Viceversa, a chi più nulla può essere tolto, tutto può essere dato. Sebbene, comunque, ognuno possa pensare di ritenersi libero da ogni volontà di possesso, e, dunque, al servfzio di ciò che possiede, è assai difficile valutare sino a che punto siamo legittimati ad amministrare una ricchezza che eccede i nostri bisogni più elementari. Soprattutto se questa ricchezza ci è stata affidata senza sforzo. Il fascino, più o meno giustificato, che su di noi esercitano le comunità primitive riposa esattamente su una loro misteriosa autarchia. La nostalgia di una povertà perduta che, allora, chiama alcune persone a farsi poveri, non si alimenta con la distribuzione dei propri averi, che sostanzialmente non ci appartengono, ma con l'impegno a dividere con i poveri una povertà irrinunciabile. "lo credo - scrive ancora Camus - che il mondo dei poveri è uno dei pochi, se non il solo che sia ripiegato su se stesso, che sia un'isola nella società.". Via M. F. Bandini Buti, 15 4 7100 FORLI' Gianluca Manzi Te!. 0513/780767 - Fax 0543/780065 Via Parini, 36 4 7023 CESENA l"rancy Te/. 0547/611044 - Fax 0547/611144 Pzza Tre Martiri, 24 47037 RIMINI Te/. 0541/53294 - Fax 0541/54464 Il validosupportoallapromozione dellaVs.attività Produzione .,, Orologdi apareteedatavolo, oggettisticdaascrivaniaa,rticolpi romoziona"lai dhoc". Oggettisticparomozionale: penne,agendea, rticoldi aufficio, calendarip, ortachiavi, pelletteriavaria,magliette, camicie tuteda lavoro,valigettee, cc. Campagnpeubblicitarie,venti,comunicazione, servizi,allestimenftiere, sponsoriuazionemanifestazionsiportive, realizzaziongirafichedimarchei stampatpi ubblicitarviari, marketingf,ormazionperofessionale,cc. piùsempliceperesserericordati? cile I nostrinumertielefonici! UNA CITTA' 1 5

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