Una città - anno II - n. 17 - novembre 1992

POTERE CHE SI ESERCITA il potere globale, aprioristico, totalitario, onnipotente e quello della testimonianza della singolarità, delle piccole cose, della memoria. Intervista a Gianluca Manzi, scriffore. Gianluca Manzi è poeta e saggista. Legato fin da giovanissimo ali' atmosfera delle arti visive e dei movimenti di avanguardia, ha pubblicato diverse raccolte poetiche e articoli di taglio filosofico. Ha viaggiato a lungo in Europa e America latina. Recentemente hai detto che al centro delle tue preoccupazioni sta in questo momento la questione del potere nel suo rapporto con la giustizia. E' una questione sulla quale ruota la riflessione critica portata avanti da questo giornale. Puoi chiarirci il tuo punto di vista? Simone Weil fa un esempio straordinario; riguarda il potere in senso trascendente e in senso immanente, che poi è il problema della giustizia. L'esempio è tratto da Tucidide. Durante la guerra del Pelopponeso, Atene, che ha bisogno di una roccaforte per assediare Sparta, chiede alla piccola città di Melos, alleata di Sparta, di arrendersi. Loro rifiutano e chiedono giustizia, ma gli ateniesi ribattono: "Se voi foste al posto nostro, cosa fareste? Se doveste conquistare Sparta ovviamente dovreste distruggere tutto". In altri termini l'esercizio del potere non può che essere incondizionato. Un potere che si concepisce come onnipotente è nemico della giustizia. La giustizia, infatti, nasce come valore laddove si dà una rinuncia a questa onnipotenza: "io, anche se ho il potere di conquistarti, di distruggerti, non ti distruggo, ti considero anzi uguale a me, non perché tu effettivamente lo sia, ma perché rinuncio al mio potere e riconosco il tuo diritto di essere". se onnipotente è irrilevante sterminare un popolo Se si concepisce il potere come onnipotenza, diventa irrisorio e irrilevante se si stermina un popolo o se si fanno dei crimini di guerra. Pensiamo alla guerra del Golfo: il non sapere quello che è veramente successo per noi è diventato irrilevante, perché si suppone che qualsiasi cosa sia successa sia legittimata dallo stato di guerra. Noi ci stiamo abituando sotto tutti i punti di vista a questa guerra di massa, aquesto esercizio del potere nemico di ogni costruzione di giustizia. Si veda, ad esempio, il modo in cui si fa informazione: si stabilisce in modo globale e aprioristico che il sistema dei partiti è male e che dunque va distrutto, dunque si crea il consenso con fittizi appelli "democratici" alle masse cui si rivolgono pseudo-domande che in realtà sono già risposte. Tutte le trasmissioni di maggior ascolto fanno riferimento alla massa, ma è un riferimento di tipo fascista. Le persone che vengono chiamate a rispondere sono semplicemente dei pretesti, oppure delle esemplificazioni di una teoria, dei casi sociologici. Simone Weil parla anche di un potere in senso trascendente. Un Dio che è onnipotente, che non lascia agli uomini alcuna libertà, che non li considera eguali, questo Dio, dice S.Weil. è un Dio da idolatri. Altro è il Cristo, figlio dell'uomo e figlio di Dio, che subisce la giustizia degli uomini e di Dio, che sacrifica il potere, non lo esercita ... Tu conosci la campagna che questo giornale ha fatto perché fosse onorata la memoria di alcuni ebrei massacrati dai nazi-fascisti a Forlì. Non credi che l'esercizio pietoso della memoria potrebbe essere un antidoto a questo strisciante totalitarismo? Sì perché questo potere sostanzialmente totalitario vuole togliere proprio il peso della memoria, cioè della tua singolarità, di ciò che tu hai vissuto. • una memoria fragilissima è fa speranza tout court Se tu hai una singolarità, per es. se sei ebreo, cristiano, ti viene detto "spiegalo, riportalo a una generalità, a una globalità". Un esempio tipico, su cui anche molta filosofia russa ha scritto, è la crocifissione, quando il centurione dice a Cristo "Se sei Dio scendi dalla croce". In questo modo persino la singolarità viene riportata ad un consenso totalitario, viene cioè privata di memoria, perché la memoria è viva esattamente proprio per quel- !' evento che sta nella croce e che deve essere ricordato come martirio. Sul piano storico le persone, come il martire, devono essere ricordate con nome e cognome, invece vengono espropriate proprio attraverso la riduzione ad una globalità. E' il problema degli ebrei, del loro sterminio. Una lapide è certo una risposta fragile, ma io credo che vada posta tutta la speranza in questa fragilissima memoria che, se vogliamo vederla dal punto di vista cristiano, come fa Simone Weil, è chiaramente la speranza tout court. Dobbiamo sfuggire a un pensiero globale, anche il governo dell'emergenza non è altro che una mentalità globale. Per i problemi economici GAIA B1 cosa ci viene infatti detto? Che c'è sempre un qualcosa di più grande: l'Europa, il mondo, la guerra ecc. Di fronte a tutti questi impegni globali il diritto diventa allora assolutamente secondario. Non importa come si arrivi alla soluzione del problema. E' chiaro che non si farà giustizia. In un tuo aforisma si dice che l'autentico potere è quello che non si esercita. Che razza di potere è un potere simile? L'unico potere affermativo è quello che si sta cercando di rimuovere: il potere della testimonianza. Potere che non si esercita, ma si mostra. Non si esercita nel senso che si manifesta e chiede agli altri non una giustificazione in sé, ma fuori di sé. per il potere fa morte è male e va dimenticata Mi spiego: esso chiede di essere riconosciuto non sulla base di principi, di teorie, di ragioni, ma sul fondamento del suo mostrarsi, della sua testimonianza. Tale è il Dio del cristianesimo così diverso dal dio razionale e comprensibile della teologia naturale greca. Questo è il grosso salto del Nuovo Testamento: un Dio che non esercita il potere. In questo senso è diverso anche dal Dio del Vecchio Testamento, cui pure si riallaccia. E' chiaro che nel verso cui facevi riferimento c'è più che altro un'esperienza di tipo poetico. "Il potere non si esercita" mi pare sia sostanzialmente la resistenza della poesia. La poesia in generale è un potere, perché è affermativa, ma la sua affermazione concerne delle cose apparentemente, e in parte anche storicamente, deboli. Non ha giustificazioni, le mostra. C'è un frammento di Leopardi molto indicativo che dice che la forza dell'arte è quel silenzio che essa crea nell'animo e che, "per almeno cinque minuti" non permette che siano compiute e nemmeno concepite delle cattive azioni. Questo è il potere della poesia. Per questo mi accontenterei semplicemente che la poesia riuscisse a "stare accanto", che il suo fosse cioè un linguaggio appropriato a delle esperienze continuamente singolari. Che possa stare accanto alla malattia, alla morte, dare voce a tutto ciò che è sconfitto. Ma, sia chiaro, non è la povertà che oggi è sconfitta, è sconfitta la ricchezza. La poesia canta infatti l'amore, tutto ciò che in questa società crea imbarazzo, che è oggetto di dimenticanza. Sostanzialmente, credo che la poesia debba avere come compito preciso di dar voce a ciò che possiamo definire come "morte", che è per essenza ciò che si oppone al potere. Perché il potere abbia forza di convincimento deve infatti dire che la morte è male e deve essere dimenticata; ma la poesia può invece dire che la morte non è negativa, che la morte, viceversa, è la fonte di ogni ricchezza, che questa finitezza è ciò a cui tendiamo. La poesia può prendersi carico di questa singolarità, può accompagnare, può aiutare. E' una delle tante forme. E' chiaro che questo compito è il più difficile, perché tutti i giorni ci viene detto proprio l'opposto: che la morte è meglio dimenticarla, che parlare di queste singole cose non ha praticamente importanza. Questo "praticamente" in realtà è la cosa più astratta che esista. Non c'è infatti nulla di più pratico di quello che stiamo vivendo, della nostra finitezza. Ho letto l'intervista di Edoardo Albinati dove, a proposito del rischio che oggi corre l'arte di lasciarsi inglobare nel pensiero della totalità, è fatto un esempio illuminante. Che cosa ci dice dopotutto l'ultimo celebrato film di Wenders? Che il mondo è globale, che è sincronia, che è quello che capita a Berlino ecc. La poesia comincia però proprio là dove racconta di un "altro" mondo. Spazialmente ciascuno sta in un posto e non in un altro e anche quando passa da un posto a un altro Io vive attraverso immagini singole, che sono di ogni uomo, di ogni incontro. lo credo che la poesia debba cominciare a parlare e debba soprattutto tenere viva una memoria presente, non di Dio in generale, ma degli dei nome e cognome, di chi è morto nome e cognome. Perché altrimenti avremo cancellazione della storia, delle singolarità, delle differenze esistenziali. Si tratta di un lavoro controcorrente perché è chiaro che è molto meglio avere una rappresentazione globale del mondo, è molto più facile e molto più convincente andare davanti ad un pubblico con una visione del mondo che parlare di piccole cose di cui si può dare testimonianza, per cui si è disposti a morire. Il linguaggio che occorre è quello della singolarità. Ma quale efficacia pratica può avere questo potere che non si esercita, non rischia di rimanere una astrazione tutta poetica? C'è una bellissima novella del Boccaccio (VIII novella - ultima giornata del Decamerone) che racconta di due amici, Gisippo e Tito, uno dei quali viene ingiustamente incolpato di un furto. L'altro amico si presenta allora fingendosi colpevole. Il vero colpevole di fronte ad una simile straordinaria gara di solidarietà tra amici, si fa allora avanti e dice: "No, sono stato io il vero ladro". Probabilmente il ladro non avrebbe mai riconosciuto di fronte ad Ottaviano di essere ladro. L'ha riconosciuto non davanti alla giustizia astratta della legge, ma davanti a questa testimonianza. Quando poi parlo di poesia,. parlo di vita. Non posso distinguere. Un grande rischio dell'epoca è che la poesia, dopo la stagione della rottura, torni ad essere un'attività specifica, un genere letterario, che il poeta sia qualcuno che occupa un ruolo, che l'avanguardia, per così dire, tomi ad essere pittura. In realtà la poesia è semplicemente il mio modo di parlare come i miraggi sono per il nomade arabo la lingua del deserto. Il poeta francese Jaccottet ha detto giustamente che I' importante non è scrivere, ma scrivere in modo tale che sia naturale. Il problema insomma non è il rapporto tra vitae scrittura, ma trovare quella vita che permetta alla scrittura di essere naturale. Tu hai viaggiato molto equesti viaggi non sono stati ·un fattore accidentale rispetto alla tua attività poetica, ma una condizione esistenziale, costruttiva anche nella tua esperienza poetica. Che sen- · so ha dunque per te il viaggiare? Cominciamo col dire che inizialmente ho viaggiato contro la mia volontà. li mio desiderio sarebbe infatti quel lo di stare in un posto, non trovandolo viaggio. Col tempo mi son venuto convincendo che il viaggio non è neppure una promessa di trovare un luogo, ma una condizione. E' il mio panorama. Nella prima parte della mia vita in qualche modo mi sono sentito un disadattato temporale. Non mi integravo con il mondo degli adulti. Sono cresciuto contro il mondo degli adulti, da disadattato, in senso temporale, rispetto a questo mondo; col tempo questa condizione è diventata anche geografica, voglio dire non solo temporale ma anche spaziale. Spesso mi sento come quegli Americani che vengono nella piccola Europa e dicono "Oh quant'è bello!", ma hanno dentro come un'ampiezza che gli viene _dal loro continente, la quale non gli permette comunqùe · fino in fondo di apprezzare questa continua "vicinanza". Si sono abituati a delle grandi distese. Identificare i fuogltl con le persone, col nomi Ora io non voglio assolutamente dire che questa sia la condizione spirituale della modernità. Si tratta della mia condizione, per cui quando il mondo intorno a me diventa angusto scopro che non è tutto angusto, perché se si alzano gli occhi al cielo, le stelle diventano la navigazione e si naviga attraverso le stelle. Io trovo fantastico che alcuni poeti riescano a parlare dei loro luoghi e trovo bellissimo e ammiro tantissimo che si possa dire: "Mont Saint Victoire è René Char e Cezanne". E' bello identificare i luoghi con le persone, con i nomi, con le storie d'allrove che ci sono. lo purtroppo appartengo a quel tipo di persone per le quali non c'è più un luogo dove stare, ci sono solo questa navigazione, queste stelle e eventuali compagni di viaggio. Ora, qualsiasi tentativo di vedere un punto d'arrivo significa per me non farsi più guidare dalle stelle ed io non voglio più avere punti di arrivo, voglio andare con le stelle. Voglio sperare che l'andare seguendo le stelle sia quello che ha portato dei re che non conoscevano il cristianesimo davanti a Cristo bambino, a riconoscerlo, a portare oro a questo nuovo re, che non è stato riconosciuto da chic' era, ma da chi non sapeva neppure cosa stava cercando. lo spero che questo apra verso una stella cometa; per ora vedo semplicemente l'incombenza di tutto questo, la fatica, il disagio ... La tua eccentricità spaziale e temporale ti garantisce forse un punto di vista privilegiato per tentare un giudizio del- ) 'Italia attuale. E' inevitabile che sia un'immagine disgustosa, proprio perché sostanzialmente è un'Italia che non ha più luoghi, che viene consumata ovunque; anche la televisione nelle piazze invece di parlare della realtà consuma luoghi e spazi. Forse è un destino di tutti popoli, sicuramente qui lo si sente di più. Un posto angusto,quindi. Questa violenza che è presente in Italia potrebbe però anche suscitare delle forze, anzi credo che molti provino oggi un indeterminato bisogno di impegno. Per quanto mi riguarda ti confesso che trovo più un posto nei cuori delle persone, nelle case dove sono accolto o dove io cerco di accogliere gli altri piuttosto che in determinati luoghi spaziali, perché i luoghi non mi danno più pace. Qualsiasi casa è per me in mare aperto, non la vedo risolutiva per la mia vita in questo momento. Però, se mai fossi costretto ad un luogo, cercherò di condi videme la storia. tomare sullo stesso calle, ripassare: fa passacaglia Ti racconto una cosa che mi è capitato a Cetona, in Toscana, dove attualmente vivo. Guardo spesso dalla finestra del mio appartamento la piana senese di Chiusi. E' magnifica. Una signora, mia vicina di casa, mi ha spiegato che tutta quella zona era stata oggetto di indiscriminati bombardamenti e che molti ragazzi vi sono stati sepolti. Ascoltare e andare a ritrovare: io credo che la poesia sia questo, nient'altro che questo. Riandare alla ricerca .... sotto le strade ci sono dei sentieri, le pietre dei sentieri sono lucidate dai carri... ritrovare quella luce dei carri, quel ripassare. E' un movimento se vuoi anche musicale, la passacaglia, ritornare sullo stesso calle, sullo stesso posto. Noi stiamo forse vivendo un grande pericolo. Una professoressa americana ha detto che siamo pieni di cose che ci possono interessare e che ci distraggono, ma dobbiamo trovare la forza di non abbandonare un pozzo, per quanto piccolo sia, fintanto che l'acqua non è finita; perché tanto tutti i pozzi danno acqua. Questo è il punto: non bisogna abbandonarlo finché l'acqua non è finita. Questo vale anche per me anche se io credo che il mio pozzo non ci sia come luogo geografico, ma si risolva nel lasciare i pozzi sempre puliti, perché si possa da essi sempre attingere acqua fresca. • nel prossimo numero: OS MININOS DIRUA UNA CITTA' 1 5

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