Una città - anno II - n. 16 - ottobre 1992

CHI FARI? Intervista a Carlo GinzlJurgsul prolJlema del • • • rev1s1on1smo storico David Irving, "storico" revisionista, di quelli che negando che l'olocausto sia avvenuto, non ha potuto partecipare ad un convegno organizzato a Roma da un gruppo filonazista perché bloccato al confine dalle autorità italiane. Ma in un caso simile è giusto mettere in discussione il principio della libertà d'opinione e di espressione? Prendo la cosa un po' da lontano e, innanzitutto, premetto che non uso la parola "olocausto" perché è un termine religioso, che dà una sorta di cornice provvidenzialistica: è un po' come se il brutale sterminio diventasse qualcos'altro nel momento in cui entra in una prospettiva in qualche modo religiosa. Preferisco parlare di sterminio. Dicevo che prendo la cosa da lontano, perché mi sono trovato in una situazione minima, che però tocca il tema di cui stiamo parlando, qualche anno fa al Salone del libro a Torino. Ad un certo punto sono venuti a dirmi che c'erano i libri di una piccolissima casa editrice che pubblicava i testi dei cosiddetti storici revisionisti - quando si parla di revisionismo, bisognerebbe precisare: una cosa è Nolte e un'altra sono i negatori puri e semplici dello sterminio come Faurisson e lrving- e mi hanno chiesto una firma per un appello agli organizzatori per espellere questi espositori. Firma che io ho dato. Penso che se me la richiedessero forse la ridarei, ma è un tema su cui ho delle incertezze. Penso che sia un problema di modi e di tempi per evitare la provocazione, perché non c'è dubbio che questa gente cerchi la provocazione. Ora, all'estremo opposto, abbiamo la posizione di un ebreo come Chomsky, per il quale un Faurisson ha diritto di esporre in qualunque momento le sue tesi. Scrivendo la prefazione ad un libro di quest'ultimo, in cui fra l'altro dichiara di non averlo neanche letto, Chomsky afferma che, per principio, Faurisson può esprimere qualunque idea. Io trovo questa posizione di Chomsky sbagliata e leggera; se non altro avrebbe dovuto leggere il libro. Battersi per il principio secondo cui chiunque, e dovunque, possa esprimere qualunque tesi non mi pare responsabile. Per citare un altro caso che tocca la libertà di stampa, io non sono per l'esposizione della pornografia dovunque e comunque a chiunque. Per esempio, non credo giusto esporre ai bambini immagini pornografiche di carattere sadico. Non sono per una libertà di stampa indiscriminata. Credo giusto che ci siano dei limiti, limiti che possono e debbono essere posti sulla base del contenuto di cui si tratta. Una menzogna può contenere un elemento intollerabile per molte persone, che possono essere state toccate nei loro rapporti familiari dallo sterminio o che, pur non avendo legami di parentela con persone uccise, possono trovare tutto questo insopportabile. Certo, questo pone problemi difficili e delicati. Chi deve decidere? Tuttavia il fatto che il problema sia difficile non toglie che la tesi della libertà di stampa indiscri~inata non sia, a mio parere, giusta. C'è poi un problema non già di principio, ma di opportunità politica: come rispondere alla provocazione cercata da queste persone. Ho letto un'intervista di Miriam Mafai a Irving, un'intervista inquietante perché Mafai viene indicata come mezza ebrea e poi trova, tornando a casa, stampa neonazista nella buca delle lettere. Insomma, come dicevo, si cerca la provocazione. Allora, che cosa è meglio: farli parlare o non farli parlare? C'è infine un terzo problema, più circoscritto, ma delicato: quanto rilievo bisogna dare a queste figure, come rispondere a questo tipo di tesi? Credo che sia giusto dare loro un certo rilievo, perché queste tesi, nella situazione che s'è creata in Europa negli ultimi anni, non sono patrimonio di alcuni pazzi squinternati, ma hanno un potenziale esplosivo di cui bisogna rendersi conto. Dopo 1'89, cioè dopo la caduta del comunismo nei paesi dell'Est, è all'ordine del giorno il problema di un antisemitismo senza ebrei, perché si tratta in alcuni casi di paesi dove non ci sono più ebrei. Per fare degli esempi, in Polonia, che conta ormai poche migliaia di ebrei, s'è fatto in passato dell' antisemitismo sotto la veste dell'antisionismo; ma anche in Austria esiste un antisemitismo praticamente in assenza di ebrei. La componente fantasmatica, nel caso dell'antisemitismo, è così forte che non ha nemmeno bisogno della presenza degli ebrei. Allora queste tesi hanno una sorta di valenza politica che può essere usata comunVia MF. errari BandBinui1ti,5 Te(/0. 543) 7007•67 FAX 78C(J65 moo FORL/ 1 Il va1il:sloupportaolla promozionde llaVs.attività Vendita i Ideazione Orologi da parete e da tavolo, oggettistica da scrivania, articoli promozionali "ad hoc". 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Conoscendo questo retroscena, ho trovato la lettura di un lungo saggio, pubblicato in un volume tradotto in italiano "Gli ebrei, la memoria, il presente", non solo sconcertante, ma anche dolorosa. Mi sono chiesto: ma perché Vidal-Naquet, per controbattere a quello che dicono Faurisson e gli altri, s'è sottoposto allo sforzo di trovare minutamente le prove delle camere a gas? Devo dire che alla fine ho trovato questo saggio non solo uno straordinario esercizio morale ed intellettuale, ma anche di grande efficacia politica. Perchè effettivamente, nel ricambio di generazioni, possiamo pensare che molti giovani, che hanno sentito parlare solo vagamente dello sterminio, possano prestare ascolto ai discorsi dei revisionisti. Contro questa tentazione o attenzione distratta le pagine di Vidal-Naquet sono molto efficaci. Con questo io non credo sia necessario ogni volta riproporre la verità fattuale dello sterminio. Credo che Mafai non abbia avuto torto a dare per scontato che lo sterminio c'è stato. Anche da un punto di vista giornalistico penso che sia più che legittimo non rifare ogni volta la storia, però -lo dicevo in una trasmissione radiofonica a Bolognala "dimostrazione" non può essere fatta una volta per tutte, probabilmente ci sarà bisogno di qualcuno che ritorni su questi temi. In questo sono pessimista. Mi sono occupato di questo tema da un angolo visuale diverso -non sono uno storico dell'età contemporanea, però mi interesso di problemi di metodo storico- e, in un saggio che ho pubblicato in inglese e che in questi giorni è uscito anche in italiano, discuto, fra l'altro, le argomentazioni di Hayden White, uno storico e filosofo americano, che ha scritto un saggio in cui, parlando della posizione di Faurisson, non esprime una ripulsa precisa. C' é una tendenza che ha preso piede in America, un po' anche in Francia, meno a mio parere in Italia, di attenuare le differenze fra affermazioni di fatto e affermazioni puramente di finzione, quindi fra narrazioni fattuali e narrazioni di finzione, dicendo che, in pratica, si tratta sempre di finzione e che, comunque, non è possibile tracciare una differenza. Dato che, si dice, esiste un elemento di finzione costruttiva anche nel lavoro degli storici è impossibile confutare le affermazioni di Faurisson. Questa è una tesi apparentemente sofisticata. A mio parere è semplicemente falsa, però ha una grandissima fortuna nelle università americane e mi è sembrato giusto intervenire su questo tema. Quindi se da un lato questo revisionismo si richiama ad un pubblico molto rozzo, dall'altro può trovare anche una sorta di tolleranza da parte di un pubblico intellettualmente sofisticato. Certo, lo sfondo è quello dell'Europa degli ultimissimi anni in cui, dopo il crollo degli elementi di controllo che erano dati dai regimi socialisti, c'è questo feroce acutizzarsi di connitti etnici prima "congelati". Per esempio in Russia il movimento Pamjat, che gioca la carta del risentimento reazionario in chiave etnica, ha come punto di richiamo il razzismo. Non ha l'impressione che l'abuso di retorica abbia creato un clima addirittura più favorevole alla penetrazione delle tesi revisioniste? E' un problema che si pone sempre a chi insegna, sto per dire una banalità: è importante cercare di capire chi si ha di fronte. Nel momento in cui certi discorsi diventano giaculatorie ripetute di anno in anno, di generazione in generazione, allora questi discorsi si disseccano e su questo terreno può prendere piede un discorso rozzo, brutale, come quello dei negatori dello sterminio. La retorica distrugge l'attenzione nel senso profondo, distrugge il rapporto vitale con il passato, in questo senso la retorica è il primo nemico da battere. Di fronte ad una giovane generazione che prova un'insofferenza per quella che appare la solita solfa sullo sterminio, sarebbe assurdo proseguire nella retorica e poi dar la colpa a loro. Bisogna cercare di ristabilire un rapporto vero, non retorico col passato. Si potrebbe giocare sulle analogie. Anche qui il problema si biforca, perché c'è un rischio di banalizzazione dello sterminio: la via d'uscita non è quella di dire "vedete, era qualcosa di simile a quello che succede ora in Bosnia ma su scala maggiore". No, bisogna partire dall'analogia per comunicare poi gli elementi della specificità. Qualcosa di simile, però qualcosa di•completamente diverso. Analogia iniziale e poi specificazione. Si ha banalizzazione quando l'analogia rimane tale. Si può partire dall'oggi e dire "però, vedete, era una cosa diversa, perché il nazismo era diverso." Perchè era diverso? "Intanto, non solo gli ebrei sono stati colpiti, ma anche gli omosessuali, gli zingari ecc." Cioè, nel momento in cui si parla di qualcosa di reale, cercando di coglierne la specificità senza annegare tutto in un minestrone, si ha un insegnamento, ossia la comunicazione di qualcosa a qualcuno che non la conosce. Il che mi pare una situazione che fa parte della nostra specie, nel senso che la nostra specie è fatta in modo tale che la trasmissione del sapere è costitutiva del suo stare al mondo. Non so se l'insegnamento abbia un ruolo nella vita degli scoiattoli, però certamente ce l'ha in quello della specie umana. nel prossimo numero: sul revisionismo storico, il parere di Marco farciti, esponente della "nuova destra" • Pest Control igiene ambientale ■ Disinfestazioni • Derattizzazioni - Disinfezioni ■ Allontanamento colombi da edifici e monumenti ■ Disinfestazioni di parchi e giardini ■ Indagini naturalistiche 47/00 Forlì - viaMe11cc2i,4 (Zona/11d11striale) Te/.(0543)722062 Telefax(0543)722083 BlhtintA~-· . . CO SI LEGGEVANEL '38. NOI COSA LEGGEREMO? Dai palmizi ai grattacieli il salto è grande! Un...elegantone allo specchio. dal servizio "Negri e bianchi in Africa" del numero 2 de "La difesa della razza". PER CONOSCERE KORCZAK Dopo il dibattito su Janusz Korczak, svoltosi a Forlì il mese scorso, molti degli intervenuti hanno espresso il desiderio di conoscere la bibliografia italiana delle opere di Korczak. Lo abbiamo chiesto ad Andrea Canevaro. Nel 1979 è uscito in traduzione italiana il libro di Janusz Korczak "Come amare il bambino", Emme Edizioni, Milano. Il sottotitolo era: I principali scritti pedagogici del grande autore polacco. C'era una presentazione di Bruno Bettelheim e una prefazione di Aleksander Lewin. Diciamo "era'' perché il libro è introvabile, come la maggior parte di quelli delle "vecchie" Emme edizioni. La stessa Emme aveva pubblicato un anno prima, nel 1978, il libro più famoso di Korczak per i bambini e per gli adulti, "Re Matteuccio". Questo libro è veramente molto conosciuto in molti paesi del mondo. E' stato pubblicato per la prima volta nel 1923, ed è stato seguito, l'anno dopo, da un altro libro che, se fosse edito in italiano, potrebbe chiamarsi: Re Matteuccio sull'isola deserta. Korczak scrisse molto per i ragazzi: storie, libri di consigli, e molti articoli su giornali. Dei tanti suoi scritti, in italiano sono reperibili, con pazienza e con la collaborazione di un buon libraio: "A tu per tu con Dio", Elle Di Ci, Torino, 1979; "I bambini nella Bibbia", Biblioteca Carucci, Roma, 1987; "Diario dal ghetto", che ha avuto diverse edizioni dall'Editore Carucci (Viale Trastevere 60, 00153 Roma - Tel. 06/5806274). Soprattutto questo ultimo libro può essere davvero prezioso per avvicinare meglio, più da vicino, questo grande educatore. Su di lui sono usciti saggi su riviste. E un libro tutto dedicato a Korczak è stato scritto da Anna T. Rella Cornacchia ( "JanuszKorczak. Una vitaper l'infanzia", Emme Edizioni, Milano, 1983), purtroppo anche questo difficile da rintracciare. Forse sarebbe il momento di lavorare ad un libro saggio e antologia. Perché Korczak è soprattutto educatore, e i suoi libri o in generale i suoi scritti andrebbero sempre intrecciati con le sue vicende; scelti ed intrecciati ricercando la coerenza e il fascino di un educatore che ha tanti collegamenti impliciti -e che la parte saggistica del libro dovrebbe esplicitare- con grandi autori e altre pratiche. Korczak non lo sapeva, ma il suo modo di vivere l'educazione era in sintonia con altri, in diversi punti della ten-a. A. C.

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