Una città - anno II - n. 16 - ottobre 1992

resti di Forlì, mi vendicai; salvo poi ritrattare al volo. Quando ci rivedemmo in carcere gli dissi che inquel momento avrei voluto ucciderlo ... Però, dentro continuavamo a ridere e a scherzare; certe amicizie, certi feeling, non si possono spezzare facilmente. • • un v1agg10 lungo un mese in una stanza Ma, una volta usciti, capimmo che il nostro rapporto si era definitivamente rotto. Lui continuava a negare. Quando infine confessò di essere stato lui, lo fece piangendo. Non lo sapeva nemmeno lui perché lo aveva fatto. Io gli avevo fatto solo del bene; non c'era mai stata una ripicca fra noi ... Da allora gli ho telefonato solo una volta e ho persino faticato a riconoscerne la voce ... COSE D'AMA7~0NIA fa prima volta Fu nell'estate 1974 in Perù. Già dal piccolo aereo che mi aveva portato ad Iquitos avevo fantasticato su quel nastro di fiume snodantesi fra la compatta macchia verde della selva. Nella piccola città di frontiera, stracolma di belle ragazze "mestizas" e di uomini di ventura, d'avventura e di sventura, c'era voluta la discarica dei rifiuti, all'ingresso dell'abitato, per riportarmi al senso della realtà: una fetida montagna ricoperta di corvacci e avvoltoi che contribuivano allo smaltimento delle parti organiche. spese di dogana ... la droga colombiana, invece, prosegue per gli Stati Uniti ...". Di fronte a tali argomenti, chi potrebbe dubitare che siamo nel paese del rischio e dell'avventura? Un boa di 30 metri è certamente una rarità zoologica di immenso interesse scientifico: per quanto ne so, il più grande serpente esistente è l'anaconda, che può raggiungere gli 8 metri e se ne fa 12 è già un fenomeno. La coca-cola fatta penetrare clandestinamente attraverso le acque melmose di un periglioso fiume amazzonico mi stimola un desiderio trasgressivo di consumo immediato. Ma Peter non la tiene nel suo bar: lui preferisce il rum. ineantesimi Proprio dell'anaconda andiamo alla ricerca solcando in silenzio il Pissurì, uno di quegli ingannevoli tranquilli canaletti che si insinuano nella selva. Il monotono sciabordio contro la chiglia della canoa, il lento pagaiare, il profumo della vegetazione densa di "caria brava", di alberi del pane, di orchidee e di felci preistoriche, favoriscono una mia senile sonnolenza. Ma non mi perdo niente: dell'anaconda nemmeno l'ombra. Più proficua è la visita alla comunità india dei Secoyas. Lo sciamano della tribù ci viene incontro e, con garbo assolutamente urbano, ci dipinge in viso, col rosso dell "'achote", i segni del benvenuto. Si chiama Don Cesario, che mi sembra più nome da patròn di hacienda che da taumaturgo di foresta. Suo figlio Cesar, destinato ad ereditare la carica, ci accompagna in sei va per istruirci sulle piante medicinali: foglie emostatiche, muschi disinfettanti, scorze anestetiche ... Non c'è alcuna ragione per dubitare delle proprietà chimico-sanitarie di queste piante. Qualcuna ne esiste riguardo alla cerimonia successiva. Don Cesario ci fa sedere, uno alla volta, su di un basso sgabello e lui, alle nostre spalle, da un tronetto più alto, ci inonda di fumo di sigarette, recitando magiche formule e spazzolandoci schiena e testa con una scopetta di foglie secche. Ogni tanto dà una scrollatina al mazzo crepitante, quasi a togliere la polvere. In realtà, per modo di dire, egli sta liberandoci dagli spiriti malvagi. Poiché siamo nove e l'esorcismo è piuttosto lungo, essendo noi i fornitori di sigarette per le soffiate purificatrici, alla fine ci ritroviamo consumata una mezza stecca di Marlboro. Quanto agli effetti si vedrà... Ma il mio amico Eugenio, cui è stato poi rubato il portafoglio all'aeroporto di Quito, si è già fatta una precisa convinzione. Al termine, aggiungiamo una mancia generosa allo stipendio fisso che certamente l'Agenzia passa al "curandero" per questo allargamento delle sue prestazioni professionali. Prima di salutarci ci mostra una sua nipotina che trema di febbre e ci osserva con occhioni allucinati dall'emaciato visetto mongolo: ha un attacco di bronchite, non avremmo qualche pastiglia per la tosse? perieofi Quando visitiamo il villaggio Cofanes, il nostro anfitrione Alexandro si scusa per non averci ricevuto col tradizionale mazzocchio di penne: ha un forte mal di testa. Quasi a togliersi il peso dell'impegno, ci fa strada a colpi di macete nel- !' intrico vegetale per un'escursione in selva. Lo seguiamo senza discutere ma il percorso è tutt'altro che agevole. Spesso siamo costretti a superare torrenti e fossati su incerte passerelle di tronchetti improvvisate sul momento. Durante il guado di un pantano piuttosto esteso, parecchi di noi affondano nella melma ed anch'io riesco faticosamente a strappare dalla morsa del fango gli stivali di gomma, dove i miei piedi ormai sciaguattano nell'acqua putrida che li riempie. Due di noi affondano fino alla cintola e tengono alte le braccia per sai vare cineprese e im ressioni di via io camere fotografiche. I nostri accompagnatori, destreggiandosi in un abile gioco di equilibrio, li sollevano per le ascelle. Improvvisamente una delle nostre donne arricchisce di strilli l'umido respiro della foresta: "Serpente! Serpente!". Io, che sono già in salvo su terreno solido, non vedo nulla ma chi è ancora in mezzo al pantano si appresta a sfruttare l'unica occasione per fotografare il "peligroso" animale che, dopo essere sgusciato sotto i piedi della starnazzante signora, pare abbia drizzato più in là l'irritata e sibilante testina prima di sparire fra i cespugli. Alexandro sta ritto accanto a me, lindo e impassibile nella sua sottanella scura, lui; infangato fino alla cima dei capelli che non ho, io. Come me non ha visto nulla e chiede: "Colubra? Di che colore?". "Verde e giallo". "Muy venenoso!". Coloro che erano più vicini al colubra si gonfiano d'orgoglio e ricostruiscono i dettagli del- !' avventura. Al lodge raccontiamo a Peter l'episodio. Non fa una piega: "Buena suerte! Otto ore di vita se mordeva, ma facevate in tempo a tornare qui dove tengo l'antidoto ...". Bontà sua! Ma noi che ci siamo venuti a fare in Amazzonia? Libero Casamurata nel prossimo numero: interviste eon due eapi indiani amerieani In un altro tipo di viaggio, tu ti chiudesti in una stanza: dormire, svegliarsi, farsi, dormire, svegliarsi, farsi... Fu ad Istanbul, nel '76, l'anno in cui fui arrestato. Ero arrivatoquasi in fuga dall'Italia, dove ero ricercato per una storia di droga e piccolo spaccio. Con due veneziani che avevo incontrato là, loro avevano un etto di roba, ci siamo chiusi in una stanza di hotel per un mese. Pensavamo solo a farci e basta. Dormivamo e quando ci svegliavamo ci rifacevamo e ci riaddormetavamo. Oppure leggevamo di continuo dei fumetti italiani che avevamo trovato ad Istanbul. La stanza era ridotta in uno stato indescrivibile: con mezzo metro di carta, di fumetti, di sporcizia. Mangiavamo pochissimo: tiravamo avanti a panini e a mezzi litri di latte, comprati di tanto in tanto all'alimentari ... Mi ritrovai su di un vecchio cargo arrancante sul grande Rio, disteso su sacchi di granaglie, a contemplare, sulla sponda che costeggiavamo, un groviglio di piante sporgenti sull' acque fangose. Infine, con una piccola barca, ci inoltrammo nella foresta attraverso uno di quei fiumiciattoli che scorrono pigri sotto una galleria di alberi piegati ad arco, di liane e di frascame da cui sempre ti aspettavi che dovesse staccarsi un gomitolo di serpente. Raggiungemmo una capanna costruita su palafitte, con brande a castello protette da zanzariere bucherellate, che ci ospitò per una settimana. Eravamo proprio "dentro" la selva, in quello che doveva essere un paradiso di uccelli, di fiori e di farfalle. E invece lo era solo di zanzare: all'imbrunire emergevano dal putridume delle lagune e ti avvolgevano in una nebbia mobile e ronzante. bia di zanzariera per scendere abbasso. Il terrore di un misterioso tramestìo mi inchiodò sul posto facilitandomi la naturale espulsione: sotto un fascio di Iuce Iunare che spacca va l' ombrello della selva un grosso tapiro mi osservò sbalordito e poi si allontanò trotterellando. A fatto compiuto avrei preferito un giaguaro, ma essendo l'unico animale di rango che mi è riuscito di vedere in selva, il ricordo mi si ripropone proustianamente ogni volta che eseguo una certa operazione. Visitammo un villaggio dove un piccolo gruppo di indios si raccoglieva nella grande casa unifamiliare. Quando ce li presentarono come Jivaros, i bellicosi tagliatori e manipolatori di teste normalmente insediati nell'alto Marafion della Montana ecuadoriana, rimasi perplesso. Eppure, secondo le mie scarse cognizioni etnologiche, l'uso del gonnellino e della parrucca di paglia per gli uomini ne confermavano l' identità. Cosa ci facevano nel basso bacino amazzonico? Più che selvaggi si rivelarono selvatici per l'insopportabile puzza che emanavano, per le risate sgangherate, per le zaffate d'alcool di "Chicha" che ti soffiavano in viso dalle bocche nere e sdentate. Chiedevano sigarette e accendini con fare sguaiato e aggressivo. Gareggiavano fra loro con le lunghe cerbottane, mancando grossolanamente il facile bersaglio di zucca. Ali' infuori di qualche ragazzina col pupo al collo, che ancora conservava la grazia di una incredibile maternità infantile, tutti sembravano marci e consunti. La guida mi spiegò in confidenza che sì, erano proprio Jivaros fuori posto, strappati dalla selva ai confini con l'Ecuador e costretti e stabilirsi attorno ai bungalows degli Amazon Camps a fare i buffoni per turisti. Un cinico zoo umano degradato e degradante. Di colpo mi trovai spoglio di ogni fascinazione silvestre. GLI SPOSI DI& SO&LEVANTE Per fortuna la roba finì. Altrimenti forse saremmo morti lì, e senza nemmeno curarcene troppo. A certi livelli, la roba ti può portare ad una totale dimenticanza dell'esistere ... In un attimo di lucidità ci rendemmo conto dello stato in cui ci eravamo ridotti: i capelli erano diventati tutti a treccia per lo sporco, la pelle cambiava colore solo a strofinarci un po' ... Per prima cosa andammo ad un bagno turco, a lavarci e a tagliarci i capelli. Poi iniziammo a scalare rapidamente le dosi, quanto bastava per riprenderci. In quel periodo eravamo molto intossicati. Vivevamo solo per la roba, per procurarcela e poi farcela. Poi sei entrato in carcere? Mi arrestarono quando arrivò la mia ragazza. Avevo deciso di restare ancora una settimana. Un tipo che conoscevo, un austriaco che lavorava per la polizia, venne da me ad acquistare mezzo grammo di eroina. I soldi erano segnati e subito dopo la polizia mi trovò addosso le prove dello spaccio. In tribunale fui condannato a otto anni e quattro mesi, di cui ne ho scontati quasi cinque ... continua nel prossimo numero: • • cinque anni nel carcere di Istanbul In questo regno dei pappagalli e delle scimmie non riuscii a vedere nemmeno una coda di platirrina e l'unico pappagallo era quello adottato dal guardiano del rustico lodge, che stazionava sulla ringhiera della scaletta. Il pappagallo, non il guardiano. Quando azzardai una carezza mi buscai una robusta beccata cui reagii, meccanicamente, con una sberla del tutto estranea alla mia educazione animalistica: un alone di piumaggio smeraldino lo circondò per un attimo, prima di adagiarsi morbidamente sulla torba del sottobosco. Da allora lo relegai fra i pappagalli delle barzellette. Ad una escursione negli acquitrini della selva sacrificai un paio di scarponcini Clark e una pesca alla lenza in uno stagno verdastro miri velò che il pi rafia non è quel mostro bulimico che si vuol far credere: nonostante la sua rispettabile chiostra di denti a sega, è assai più facile che siamo noi a mangiare lui che non lui noi. Una visita notturna in canoa, sotto un diluvio che continuò a infradiciarci, con lo sgocciolamento degli alberi, anche due ore dopo la fine del temporale, ci fece individuare, nella tenebra, gli occhietti luccicanti dei caimani appiattiti sulle lingue di arenile del fiume. Ma un amico malizioso mi aveva preavvertito che uno stuolo di silenziosi salariati, muniti di piccole torce a pila, sopperiva alla scarsa o nulla presenza di questi abominevoli rettili. Il mio caso fortunato capitò di notte. Una liquida esigenza mi obbligò a lasciare la mia gab- ,$~ , /-ry~ d'-:~ ~l;J ~;:~ Viale Bolognesi, 5 - 47100 FORLI' - Tel. e Fax. (0543) 28289 FORNITURECOMPLETEPERUFFICIO CANCELLERIAVARIA· FORNITURETECNICHE - ARCHIVIAZIONE STAMPATI·ARTICOLIDAREGALO SCRITTURA.SCHEDARI • SCHEDE • REGISTRI fa seeonda volta In questa estate 1992 sono in Ecuador, nella zona di Lago Agrio dove scorre il fiume Aguarico, un tributario del Rio Napo. L' Amazon Jungle Village capovolge i termini dell'inganno: anziché creare l'illusione di un ambiente aspro e inospitale, offre bungalows confortevoli, con doccia e acqua calda, ristorante ali' aperto e piccolo bar, scimmiottando un trattamento da Hilton Hotel. Ma basterebbe il fastidio delle "cucarache", grossi scarafaggi volanti che ti invadono il letto, a fare la differenza. In compenso non ci sono zanzare: che Amazzonia è mai questa? Tuttavia Peter, il gestore del lodge, un simpatico giovanotto olandese biondissimo e butterato, non ha dubbi: "Questa è selva: non molto tempo fa a 100 metri dal campo ho visto un boa di 30 metri e voi domani forse potrete vedere l'anaconda ... Qui si è nascosto, per qualche giorno, Escobar di Medellin con la sua scorta di 50 gorilla ... Di notte scorrono sull' Aguarico le canoe della cocaina e della coca-cola ...". "Coca-cola ...?". "Sì, entra di contrabbando per evitare le .. Findalla prima volta che posi piede in Giappone, fui incuriositodal gran numero di pubblicità fatta da agenzie specializzate in matrimoni. Ma non intendo dire agenzie matrimoniali che organizzano incontri per chi cerca l'anima gemella;si tratta di società che organizzano le cerimonie, così come un'agenzia di viaggi organizza le vacanze. In Italia siamo abituati, chi si è sposato lo sa bene, ad occuparci, insiemeal futuro/a sposo/a di tutti i particolari: la scelta delle bomboniere, la visita in tipografia pergli inviti, la sceltadel ristorante e la trattativa con iI ristoratore perdeterminare prezzo e servizio, la scelta degli abiti e via elencando. Questa attività pre-matrimoniale (l'unica, probabilmente, approvata dalla Chiesa) può essere vissuta come un impazzimento o come un piacevole diversivo. In Giappone no! Nel senso che il problema non si pone proprio. Chi si sposa inGiapponesi rivolge alle agenzie matrimoniali, che propongono dei veri e propri "pacchetti-matrimonio". L'agenzia si occupa di tutto: dalla scelta degli abiti per gli sposi (la sposa cambiaabitodiverse voltedurante la giornata), alla scelta dell'albergo per il banchetto, dagli inviti ai regali che gli sposi fanno agli ospiti. Naturalmente, così come nelle agenzie di viaggio, vengono proposti pacchetli matrimonio a prezzi diversi. Ricordo una pubblicità fatta porre da una di queste agenzie sui vagoni della metropolitana di Tokyo, nella quale si offriva alle spose orfane di madre l'assistenza di una "wedding marna", che tradotto significa letteralmente "mamma per il matrimonio", cosl che la sposina emozionata e trepidante potesse avere al fianco almeno una pseudomamma che l'assistesse e consigliasse nei vari momenti della cerimonia. Altre agenzie pubblicizzano, in- .. . . ~ ~ 0Klii:·:06lt Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 11oteca 1no 1anco vece del matrimonio tradizionale giapponese (che in realtà è imbastardito da usi di origine statunitense - potenza della televisione), il matrimoniocattolico. Una pagina pubblicitaria tipica, che ho avuto mododi vedere spesso, rappresenta una incantevole, quasi fiabesca, cappella cattolica dal tetto spiovente, immersa inun bosco, davanti alla quale, gli sposi (lei con un rigoroso abito bianco da "Casa della Sposa", scendono da una carrozza stile '800 scoperta, tirata da cavalli. E' un fenomeno che può sembrare curioso in un paese a larghissima maggioranza buddista, ma si spiega. I giapponesi non hanno un senso religioso moltoforte -un mio cliente sostiene che almeno due terzi dei giapponesi sono di fatto atei- e dato che lacerimonia cattolica è considerata la più spettacolare...! Quello che stupisce è che per sposarsi in chiesa devono essere prima convertiti alla religione cattolica e, evidentemente, i preti accettano queste conversioni pur sapendo che durano poche ore. Pur non essendo io religioso trovo questa pratica estremamente amorale: che lo facciano per far bella figura in Vaticano dimostrando quanto sono bravi a convertire i buddisti? Aproposito, poi,di queste cappelle, preciso che nella stragrande maggioranza dei casi sono usate solo ed esclusivamente per le cerimonienuziali.Recentementeuna società michiese di ricercarearredamento adatto per queste cappelle. Mi chiesero di trovare le panche, le vetrate a mosaico, statue di santi e perfino un organo a canne, precisando, però, che non doveva necessariamente funzionare dato che aveva uno scopo puramente ornamentale e che la musica sarebbe stata diffusa da un impianto stereo. Vivendoinalbergo,hoavutomodo di osservare spesso, sia pure di sfuggita, qualche particolare di cerimonie nuziali. Le signore invitate sono tutte rigorosamente in kimono, mentre gli invitati sono in nero, smoking o, più spesso, frac. Non potete immaginare cos'è un giapponese in frac, ma vi assicuro che possono indossarlo solo perché completamente privi di senso del ridicolo. Il banchetto dura diverse ore, ed alla fine ogni invitato esce con in mano il regalo degli sposi. E' usanza, infatti, che i regali di nozze vengano inviati con un certo anticipo e che gli sposi li ricambino al termine del banchetto. Igiapponesi spendono cifre incredibili per il matrimonio, perché è un momento importante per la creazione di una immagine prestigiosa che influenzerà tutta la loro vita nei rapporti con parenti e amici. Peccato che. una volta su cinque, il dispendioso matrimonio finisca con un divorzio. Proprio sul divorzio viene fuori l'anima maschilistadei giapponesi. La loro legge prevede che una donna non possa divorziare senza il consenso del marito, mentre l'uomo può chiedereed ottenere il divorzio senza che il parere della moglie abbia alcun peso. Se non sono al ripudio tribaleci sono però molto vicini. Questo sistema di divorzio fa sl che la donna divorziata sia considerata con un certo disprezzo e con diffidenza (in genere si attribuisce a lei il fallimentodel matrimonio).Ne consegue che incontra parecchie difficoltà. La famiglia, in genere, non la riprende in casa e spesso viene discriminata nella ricerca di un lavoro. Un giorno intervistai una graziosa signorina che aspirava ad un posto di segretaria. Come di consueto le chiesi dove viveva. In Giappone i datori di lavoro pagano al dipendente il trasporto da casa a ufficio e viceversae, quindi, è importante sapere a che distanza vive dal posto di lavoro. Mi rispose dicendomi, tra l'altro, che viveva sola, ma affrettandosi a soggiungere che, però, non era divorziata. Quando le dissi che per quel che mi interessava potava avere due mariti o essere divorziata cinque volte senza che questo facesse alcuna differenza, la vidi alquanto sconvolta. Una delle cause di divorzio è probabilmente l'adulterio (dati ufficiali non ne ho mai trovati). Ma anche qui le cose cambiano a seconda del sessodel- !' adultero, come pure della posizione sociale qella coppia. Prendiamo adesempiouna coppia altolocata. Per il giapponese che riveste un ruolo di prestigio nella propria società e nel mondo degli affari. avere l'amante, da mantenere magnificamente, è praticamente un obbligo, in quanto essa, che viene spesso esibita in occasioni pubbliche, gli apporta un prestigio tanto maggiore quanto più i suoi abiti ed i gioielli che esibisce sono costosi. I più ricchi scelgono l'amante tra le geishe, costosissime ma alquanto prestigiose, dato che godono di grandissima considerazione. Con queste premesse è evidente che nessun tribunale civile giapponese accetterebbe l'amante del marito come causa per concedere il divorzio alla moglie che, del resto, è consapevole di come devono andare le cose e quindi tace, appagandosi della posizione sociale che gli deriva da quella del marito. Nelle coppie più standard, invece, è la moglie che spesso tradisce il marito. Qualche anno fa in Giappone si parlò seriamente, per un certo periodo di tempo, di un problema sociale inconsueto: la scarsa frequentazione sessuale dei mariti nei confronti delle mogli. Passarono, in televisione, interviste a mariti che dichiaravano tranquillamente di far l'amore con la moglie circa una volta al mese od ogni due mesi, convinti che fosse il massimo che ci si poteva aspettare da loro. Dibattiti su dibattiti evidenziarono che la causa del problema risiedeva nello stress da lavoro. Come ho già spiegato in un precedente articolo, il giapponesemaschio che inizia a lavorare ha una carriera già programmata, purché rispetti le aspettative del datore di lavoro. Questo, condito con la lotta per la sopravvivenza condotta contro i colleghi, porta ad un accumulo di stress, tanto più elevato quanto più è alta la posizione ricoperta, che lo porta a trascurare anche sessualmente la consorte, almenodopo averla resa madre, generalmente due volte (raro vedere una signora giapponese in giro con un figlio solo). Il concetto di famiglia, poi, per i giapponesi rimane qualcosa di vago. Il marito esce di casa la mattina presto per andare a lavorare, rientrando il più tardi possibile, per le ragioni che ho spiegato nel mio articolo sui giapponesi e il lavoro. I figli escono presto per andare a scuola e ci restano fino al tardo pomeriggio. La moglie sta a casa ad annoiarsi, dato che, con le case piccole che hanno (7,5 metri quadrati a testa in media), non devonoperderetroppotemponelle faccende domestiche. Vivono insieme la domenica e i pochi giorni di ferie.Si potràobiettarechemolte famiglie italiane vivono pressapoco in questo modo, ma rimangono pur sempre una minoranza, quindi nonrappresentano la regola come accade in Giappone. Per concludere, aggiungerò che in Giappone, al di fuori delle grandi città, è ancora inuso il matrimonio combinato. In ogni città di provincia, per non parlare dei borghi rurali, ci sono persone(generalmentedonne),che in accordo con le famiglie dei giovani inetà di matrimonio, si danno da farepercombinaredellecoppie. Intendiamoci, visto che il medioevo, anche se da poco, è finito anche in Giappone, non accade più che gli sposi si conoscano solo il giorno delle nozze. Una volta che i rispettivi genitori sono convinti che il partner proposto per il figlio o la figlia corrisponde alle loro aspettati ve, i giovani vengono presentati, solitamente durante una cena alla quale partecipano gli aspiranti suoceri, poi se son rose fioriscono. Insomma, questi giapponesi ce la mettono tutta per farsi del male, e il matrimonio non sfugge alla regola. Stefano Guidi UNA CITTA' 13

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