Terza Generazione - anno I - n. 2 - novembre 1953

com'è su considerazioni spesso errate di utilitarismo e sull'ideale pratico dell'uomo attivo e laborioso, sufficien– temente onesto, a cui non può non arridere il successe. mancare l'assegnazione del posto dovuto. Si tratta di attirare lo sguardo del giovane, ancora convinto che una laurea o due braccia siano sufficienti, su quel suo mondo di interessi, di fantasie, di volontà che egli è portato ad accantonare. Per far questo. bisogna far leva sulla sua volontà di maturazione, che si manifesta nella insofferenza verso ogni maniera di affrontare l'inserimento nella società con atti particolari e egoistici. Nella tendenza a ritrovare i propri problemi negli altri c'è in germe la rottura del cc personaggio » e la ricerca del piano di verità: basterà un atto fraterno a disperdere come nebbia al sole le mu– raglie costruite dall'educazione tradizionale, dai gerghi, dagli egoismi particolari. Ma non si buò bretendere che questo avvenga, come risultato di u~a eso-,,tazione morale:- dovrà essere la spon– tanea maturazione di un lavoro sviluppato intorno ai propri interessi più veri, strettamente legato alla con– quista di naturalezza e di sincerità, in definitiva alla sco– perta di se stessi in riferimento al mondo. La coscienza di poter dare un apporto significativo e I generale è stiniolatrice di grandi impeçni e di somme responsabilità: è in questo senso che il sentire di far parte di una generazione e di contribuire alla sua maturazione può divenire una incoercibile spinta a scoprire i propri interessi e a ricercare la brobria individualità al di fuori . . dei personaggi della educazione tradizionale. Se questi interessi si svilupperanno, se troveranno re– spiro e meditazione per diventare problemi impegnativi, potremo allora invitare il giovane a farsi imprenditore di se stesso, a rischiare - cosa che il modello utilitari– stico familiare gli negava - per portare a termine la Jua formazione, per conquistare la sua maturità, il suo piano di verità. Ci sono dei giovani che questa strada potranno ren– derla evidente, chiara e comprensibile con degli atti che abbiano significato per tutti. Sono questi coloro che saranno i capi della generazione, gli organizzatori delle innumeri possibilità di maturazione: coloro che sentono la loro vita legata allo sviluppo degli altri e che non potrebbero trovare altro posto nella società che quello legato a un atto di iniziativa liberante per molti. Atti di iniziativa non spaventosi e negativi, ma libe– ranti e positivi: non il gesto disperato di un anarchico, ma il gesto ideale ed amoroso di un « cavaliere ». D.1 questi gesti, da questi atti, sollecitati da una auto-educa– zione di verità, atti nuovi in cui si concentra il rischio, fatti per tutti e contro nessuno, che promuovano lo spi– rito di comunione fra gli uomini, da questi atti soli si può ragionevolmente attendere la maturazione della nostra generazione. Potremo allora dire che non è necessaria la guerra, .perchè degli uomini si incontrino da - pari a pari, e im– parino a capirsi. A questo punto, nasce un grosso problema: quando si dice atto nuovo, noi non esprimiamo un concetto, 111,a BibliotecaGino Bianco una aspirazione. E se è veramente nuovo in noi, le parole che oggi possediamo, quelle familiari, quelle della cul– tura, quelle della politica, non sono sufficienti e risultano equivoche. Come impedire che la prassi tradizionale non susciti in ciascuno di noi i fantasmi di atti già compiuti, di cose già dette, di gesti tradizionali che solo nelle intenzioni vorrebbero essere nuovi e non lo possono? Come impedire che il politicismo, la crisi del mondo che sembra affogare le nostre possibilità d'azione, la si– tuazione strutturale contro la quale battiamo la testa, non ci riassorbano, non ci vietino di emergere al pelo dell'acqua? Come impedire che le parole che cerchiamo di dire appaiano incomprensibili? Come comunicare una in– tuizione che è in tutti, un atteggiamento morale univer– sale che è in tutti, ma che vive ancora incomunicabile in ciascuno di noi? Possiamo fare delle analogie storiche: paragonare l'atto nuovo che ci maturi come uomini ad altre situazioni sto– riche, e difatti lo facciamo, ma è ancora un'analogia, che ha l'ammaestramento dei fatti, non la comunicabilità di un medesimo sentire. Ciò che fa andare avanti il mondo è il rischio: fino ad oggi il rischio si è espresso nella forma borghese di ini– ziativa privata e nella forma militare offensiva e difen– siva: la gente che vuol rischiare, che sa rischiare, lo può fare in situazioni in cui ci sia da menare le mani o da arricchirsi. E' un rischio che avvantaggia alcuni su tutti gli altri, che premia alcuni, sottomettendo gli altri. E' un rischio che si esprime contro un nemico o un concor– rente, identificabile negli altri uomini. Ma per allargare la visuale del cammino dell'umanità non bisogna presupporre mai il già dato come definitivo. Non è detto q,uindi che non si possano immaginare altre forme di rischio, rivolte non contro gli altri uomini, ma a favore degli altri uomini, forme di rischio in cui l'av– versario non sia negli altri, ma dentro di noi, nelle nostre abitudini sfiduciate. Vi chiediamo di immaginare una inizitiva senza ne– mico: quando avevamo un nemico come ci comporta- 1vanio?Ricordate dieci anni fa, da ttna parte e dall'altra della barricata: uomini d'ordine, vecchi papà, giovani di belle speranze di fronte alla paura, alla morte obbro– briosa, alla miseria, alla fame. Accettavano questo rischio e si comportavano di conseguenza. Immaginate che un potente esercito straniero occupi tutta la terra: ci opprime, distrugge gli stati, la convi– venza e la comprensione degli uomini, mette gli uni contro gli altri, avvelena le comunità. Chi non accet– terebbe di rischiare galera, morte obbrobriosa, miseria e fame? Ma oggi questo esercito esiste, è dentro di noi. Ciascuno di noi è presidiato con mano ferrea: forse non siamo tutti oppressi, uno a cagione dell'altro? Forse che le nostre civiltà non sono impedite di vivere, i nostri stati non si distrttggono, non si rende inumana la convi– venza, le comunità non sono· avvelenate? Perchè dunque non accettare questo rischio, non bor– ghese e non _militarista, ossia non contro altri uomini, ma a favore di tutti? 3

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