Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

guide, necessarie per ,,n risve– glio reale e ordinato del paese. A venti, a trenta chilometri da molte sedi universitarie esi– stono paesi di cui s'ignora il profondo decadimento umano e sociale: le energie che in essi nascono emigrano, quando non restano soffocate: in quei paesi ci sono giovani che magari fre– quentano l'università. Quale oc– casione sarebbe per i giovani organizzare finalmente dei ser– vizi competenti che vadano dal– l'inchiesta sulla reale situazione alle consulenze mediche, lega– li, socio-economiche, tecniche, fino a iniziative di lavoro per l'aumento della ricchezza e del– le possibilità di vita di quel paese. L'Italia non è Roma e Mila– no, ma le sconosciute morte annoiate cento città, e i mille poveri disperati paesi. C'è da compi ere una grande allean– za, una rinnovata unificazione nazionale attraverso la gioventù di questa vera e povera Italia, abbattendo le barriere d' edu– cazione che separano il giovane cittadino dal giovane di paese, il giovane fztturo capo dalle sue forze naturali, il giovane intel– lettuale da tutto il -resto. A que– sta società giovanile, cui, come a un « vitellone ,. è stata tol– ta, con delicatissimi strumenti, la spina dorsale, bisogna rida– re, con l'iniziativa collegata, la possibilità di nuove coesioni perchè le vocazioni di sviluppo e di movimento non si perdano nel gelatinoso limbo delle vel– leità dissociate. E in ogni città ci sono « co– se da fare». Che nè l'iniziativa privata, nè la pubblica, faranno mai: e spesso sono « cose » che potrebbero rappresentare un vero passo innanzi, una occa– sione di lavoro. Attorno a que– sto « da fare» la gioventù può ancora sentirsi unità, può anco– ra sentire la validità del met– tersi assieme, (uno per tutti, tut– ti per uno e ciascuno vale per uno) per tar fare un passo in– nanzi alla comunità. Perché questo avvenga, man– cano oggi i collegamenti, i capi giovanili, le dirigenze. Vale a dire che e facile che l'unità di una generazione si f ot·mi nella trincea: allora le cose sono semplici, l'iniziativa chiara. L'obbiettivo è di fron– te, l'ideale comune è la patria in pericolo: in esso si confon– dono gli afjetti e i ricordi la– sciati dietro le spalle: l' egua– glianza, la comunità di vita fra contadino e cittadino, fra ope– raio e studente è assicurata dal comune uguale incombente pe– ricolo. I capi, i collegamenti, ciò che crea un organismo, si formano subito: coincidano o no con le gerarchie ufficiali. Ala quando non esiste un fatto così preminente e asso– luto come la guerra (o, per b1·eve tempo, le catastrofi nazio– nali) è ben difficile raggiunge– re questa unità: è difficile so– prattutto per la mancanza dei capi giovanili, quelli che con– ducono in porto un'azione con la propria iniziativa, quelli che la gtterra o la rivoluzione fan .. no saltare fuori, ma che in tem– pi «amministrativi> non sanno neppure di esistere. E' difficile, perchè senza di essi non si legano gli uomini all'iniziativa, le iniziative fra di loro, i paesi alle città, i gio– vani agli intellettuali, questi e quelli al filone dei problemi na– zionali. Non si operano cioè i collegamenti, non si manifesta– no le dirigenze. Eppure questi « capi giovani– li », ( o sarebbe meglio chiamar– li imprenditori di iniziative, ini– ziatori? Non sono « capi >, nel senso stretto corrente della pa– rola), esistono ma in una situa– zione che non chiede loro di mettere a frutto queste qualità, vegetano distratti e sbandati. Distratti e sbandati non a ca– so: direi anzi che queste sono le caratteristiche del capo gio– vanile inattivo, conseguenza di– retta delle sue capacità inope– t·ose. Di solito questi elementi sono ricchi di fantasia: è questo che permette loro di immaginare continuamente nuove attività e occupazioni. Sono uomini di, cultura poco rigorosi, seppur assidui: sono sensibili, ai proble– mi culturali, ma considerano la cultura ·1,,01ne un mezzo, per classificare un ambiente, per in– terpretare una situazione in cui muoversi, per controllare un gruppo. Non hanno quindi in– teresse a fondare rigorosamente un problema e ad analizzarlo , ma piuttosto a collocarlo, per Biblioteca Gino Bianco rnezzo dell'intuizione e della sensibilità, con altri problemi, per cercare di costruirsi un si– stema, valido per l'azione. Riescono facilmente a tenere contatti con gli altri uoniini, utilizzano quello che da ciascu– no possono ricevere, per con– quist4re l'attenzione di altri. Corrono continuamente il ;.i– schio di esaurirsi nell'attivismo e nella fantasticheria, quando non si siano assicurati solide basi di rifornimento. Corrono il rischio di essere generici e astratti. Sono sempre dentro cento ini– ziative e non perchè sappiano lavorare in maniera speciale, anzi spesso dal punto di vista dell'esattezza e della puntualità sono un pianto. Ma per essi, il darsi da fare, correndo il ri– schio perfino di sembrare pic– coli arrivisti ambiziosi, ansiosi di mettersi in mostra, non è al– tro che il manifestarsi brado della loro potenzialità di diri– genti. Quando sono molto giovani, la loro attitudine di « capi >, si manifesta con una volontà ti– rannica nei confronti dei com– pagni di classe, liberi da essi solo se nella stessa classe se ne incontrano due, occupatissimi a farsi la guerra per ottenere il voto migliore in storia o in italiano. Placatasi questa « volontà di, potenza >, essi diventano dei, bravi inventori di linee. Nelle associazioni di cui fanno par– te diventano le menti politiche, le eminenze grige, i diplomati– ci. La capacità di fantasia per– mette loro di essere sempre nuovi, con la sensibilità cultu– rale, più che con una vera cul– tura, riescono spesso a dare giu– dizi sulle situazioni e gli am– bienti, e da questi trarre le loro linee d'azione. . Se non hanno potuto studia– re si muovono su un piano di più grande spontaneità: soccor– rono con l'entusiasmo alla cul– tura, con l'intraprendenza rea– gisconl!. ai complessi di inf erio– rità. Messi su di un giusto pia– no di rapporti, rivestiti di una certa responsabilità, sanno trat– tare da pari a pari anche con gli studenti, forti della loro « capacità di potenza ». Quasi sempre giunti a que– sto punto, gli uni o gli altri, si trovano di /,·onte una doppia via. O riescono a trovare un collega1nento nazionale e allo– ra si sviluppano, si quadrano, acquistano vere capacità diri– genti, opp1tre crescendo negli anni, divengono furbastri, tat– tici, dei capi deteriori, fal– liti nel fondo, seppur bravi e attivi, spesso ambiziosi, sleali e trafficoni. Per l'insufficiente rapporto tra fantasia, sensibilità, e possibiU– tà di esprimersi in un'azione effettiva e non illusoria, van– no soggetti a grandi depressio– ni, che li portano ad una pro– blematica irritata e spesso let– terari a. Nell'attuale situazione, pochi giungono in porto. I più, presi per la gola, si accingono a un lavoro qualsiasi. Adulti, vengo– no ttomini sbiaditi, irritati, di– stratti: conservano nella fanta– sia la nostalgia di un'impresa che non hanno realizzato. Senza giovani così, senza la loro fantasia, le loro linee, la loro capacità umana, non si ha iniziativa giovanile. A costoro - prima che a tut– ti gli altri - noi vogliamo of– rire un collegamento, la possi– bilità di ancorarsi a una real– tà nazionale e a un filone cul– turale. Vogliamo collegarli. ai giovani intellettuali che possa– no rifornirli sistematic11mente, vogliamo sprovincializzarli, ad– ditar loro delle mete strate– giche. Vogliamo salvarli d,J, loro destino di iniziatori in un pae– se dove non c'è iniziativa, di, ca– pi in un paese dove non e' è mo– vimento, di imprenditori in un paese dove non e' è rischio nè avventura. E con essi salvare l'iniziativa dei giovani: fare di essi il col– legamento fra giovani intellet– tuali e giovani attivi, in sostan– za il cemento della genera– zione. Perciò chi si riconosce « nei panni» che abbiamo descritto ci scriva, ci proponga le sue idee, le sue « fantasie », ci spro– ni ad affrontare questo o quel problema d'iniziativa. Noi a questo p1,nto non possiamo che fare la nostra richiesta, renden– do pubblico il nostro limite at– tuale: abbiamo bisogno di « capi giovanili >. B. C.

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