Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

Nazionalizzazione .. In Espaiia invertebrada Ortega y Gasset indica nella mancanza di una minoranza scelta, di un'élite, il male secolare del pro– prio paese. « Qui il popolo ha fatto tutto > commenta amaramente, « e tutto ciò che non è stato fatto dal popolo non è stato fatto da alcun altro >. Volendo applicare all'Italia uno schema consimile d'interpre– tazione, fondato sulla coesistenza nella vi– ta sociale di due fattori essenziali, l'élite e la massa, si giungerebbe forse a una con– statazione opposta. Nella nostra storia sem– brano presenti esclusivamente le minoran– ze e non le masse. La cultura, le istituzio– ni politiche e sociali non sono soltanto creazioni minoritarie, ma agiscono tuttora come tali, soggette all'indifferenza o ai fraintendimenti delle masse. L'inadegua– tezza della nostra storia all'intensità della nostra vita sociale è dovuta a questa sepa– razione nettissima sussistente fra le mino– ranze e le masse. Si dovrebbe, in linea preliminare, chia– rire il concetto di minoranza. Tale chiari– mento è invero assai arduo. L'assenza sto– rica della massa rende difficile la determi– nazione del concetto contrapposto. Ossia: noi percepiamo nella storia sia passata co– me in atto la limitazione minoritaria; que– sto però non significa l'esistenza di una mi– noranza determinata. La separazione sul piano storico di massa e minoranza, il fat– to che quest'ultima si sia incamminata per strade dove l'altra non ha potuto seguirla, ha portato alla dispersione della minoran– za stessa (si potrebbe anche capovolgere quest'affermazione e assumere come cau– sa della separazione tra massa e minoranza la dispersione di questa, ma i termini del problema non muterebbero di molto). Ab– biamo così in Italia non una minoranza compatta, ma delle minoranze isolate che operano ciascuna nel proprio campo, senza contatto le une con le altre, e ciò nono– stante con interferenze continue, dal mo– mento che nelle crisi di azione ognuna di esse esce dalla propria sfera di competenza e si arroga gli interessi delle altre, per tra– sformarli o snaturarli secondo la sua visio– ne particolarista. Minoranza di tal tipo sono le cosiddette repubbliche delle lette– re e delle arti, le dirigenze politiche, il cle– ro, la burocrazia, l' high lif e, il corpo uf– ficiali, ecc. In genere l'atteggiamento di cia– scuna di queste minoranze rispetto alle al– tre è assai simile a quello delle masse, per meglio dire si confonde con quello delle masse, con le quali ha in comune la passi– vità in genere e in date circostanze l'azione tumultuosa e sconsiderata; e come quelle del resto si esprime al massimo nella lotta di classe. Si spiegherebbe così come mino– ranze attive nella sfera politica siano del tutto passive nella sfera intellettuale o bu– rocratica e viceversa, come ciascuna in pra- . tica sia monade all'altra. Ne consegue sul piano storico che la creazione non sia sol– tanto minoritaria ma particolare. D'altra parte se la compenetrazione tra le mino– ranze e tra queste e le masse non avviene sul terreno storico-sociale, cioè ai fini del- 8 i ll.,U delle • 11111101~a11ze la cooperazione comunitaria e nazionale, si realizza però sul piano interindividuale, che è naturalmente al livello minimo, il livello massa. Nelle relazioni tra indi– vidui non è esistito in Italia e non esiste tuttora un problema di comunicazione. Le minoranze sono entro certi limiti, certo assai più che in altri paesi, ceti aperti. L'incontro tra individui non è in Italia irrigidito in schemi precostituiti; giovano in questo sen– so la tendenza tra gli individui delle classi inferiori a travestirsi da membri delle clas– si superiori e per contro la tendenza tra molti individui appartenenti alle minoran– ze, specie intellettuali e politiche, ad ac– centuare per demagogia le proprie ascen– denze rurali od operaie, ad esibire genea– logie popolaresche, ecc. Infine la stessa in– clinazione all'ostentazione vivissima nel ti– po umano italiano è vizio di socievolezza, non di solitudine. Indubbiamente il Risorgimento se non giunse a una vera fusione delle minoran– ze nell'intento dell'impresa comune, vi ar– rivò assai vicino. Tuttavia esso riunì sì le minoranze attive, ma non tutte le mino– ranze e ad esse trasmise impulsi diversi. Non è senza significato il fatto che il cor– po ufficiali che pur aveva dato con i moti del '20 e del '21 l'avvio al movimento co– stituzionale non seppe nelle guerre d'indi– pendenza crescere alla pari delle dirigenze politiche (Garibaldi non fu un militare nel senso proprio della parola, nè esercito fu mai quello da lui comandato, condottiero e volontari furono espressione della fecon– dità della classe politica risorgimentale). Che il Risorgimento non sia riuscito a de- •J, . ;. • l .. , . /. - . ; ~ 4 :o - • <"-,~ e'>~ kl\Mt\#........,._,1" .. ,, , - . . .. '( ~) ;I> I "' tp,ç• ?> ✓ 1' _:; ~~ "!~, -1 b. ~ ol/> compiti DUOVI terminare l'unità delle minoranze ed a com– piere l'esperienza di un inserimento non sovversivo e anarcoide delle masse popo– lari nella vita nazionale, lo dimostra fra l'altro il fallimento della politica esterna e interna di Crispi, che tentò da una par– te la partecipazione dell'Italia alla politica delle grandi potenze, togliendola dall'iso– lamento e salvandola dalle minacce fran– cesi, la risoluzione del problema coloniale, e dall'altra parte la conciliazione e il pri– mo disegno di un socialismo nazionale. Lo dimostra più recentemente l'esperienza fa– scista che esaspera il contrasto risorgimen– tale tra le minoranze attive e le minoranze passive e perde il controllo, con una te– matica di importazione, di larghe sfere mi– noritarie, dagli intellettuali all'alta borghe– sia, senza riuscire peraltro a eliminare la frattura con le masse. Il fascismo, sì, è vi– cino alle masse nell'impresa d'Etiopia. Essa desta profonde risonanze nell'animo del popolo cui le strade lanciate arditamente sull'altopiano abissino a poche miglia dalla linea del fuoco sembrano aprire un oriz– zonte di speranze, un da fare concreto. Ma il fascismo si allontanò ben presto dal pun– to di sutura, abbagliato dai miti teutonici dell'imperialismo fine a se stesso, appesan– tito dalle sovrastrutture idealistiche che ne snazionalizzarono lo spirito originario. Ora risiamo da capo alla questione. Ve– diamola dal punto di vista delle masse. La caratteristica comune alle masse italiane è il regionalismo. Non si fa certo una scoper– ta dicendo che i modi di vita, i costumi, la religione stessa cambiano profondamente da regione a regione. Ma allora come spieghia– mo l'uniformità delle minoranze? ce la spie– ghiamo come dato puramente superficiale. In realtà, tanto per esemplificare, non si · sbaglierebbe di molto scrivendo invece di una storia della letteratura italiana, una storia delle letterature italiane. Questo va- le anche adesso: c'è per esempio una fon– damentale differenza persino di linguaggio tra gli scrittori toscani (i Papini, i Palaz– zeschi, i Soffici, i Cicognani e altri) e quel- li triestini (Svevo, Moravia) tra quelli na– poletani o meridionali (Rea, Marotta, Alia– nello, Bernari) e quelli piemontesi (un esempio, Pavese). Lo stesso cosmopolitismo che vedremo caratteristico degli intellettua- li, è un tentativo di affrancarsi dal provin– cialismo, inteso più come limite umano che come limite artistico. D'altra parte, non per questo l'Italia di- ,,, viene un fatto puramente geografico. Dirò di più: tipicamente italiano è il fatto che la convivenza di tali diversità regionali non abbia dato luogo a traumi violenti, o a movimenti permanenti (dopo l'unificazione il separatismo siciliano è stato un episodio meramente postbellico e costituisce attual– mente per l'Italia un problema senza dub– bio minore di quello che potrebbe consi– stere per la Francia il separatismo bretone) salvo che a recriminazioni campanilistiche più divertenti che gravi. Importante è an– che il fatto che l'uso della lingua nazio– nale sia stato accettato dappertutto, salvo che nelle zone di confine, anche in regioni come la Sardegna ove il dialetto ha digni- 43

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