il Potere - anno II - n. 6-7 - giugno-luglio 1971

2 Lo degli ottanta e uno ATTORNO ad ogni leader vi è una frangia di ciientes, non solo fuori ma anche dentro il parlamen– to. Essere deputato è un onore, ma anche un onere. Un onere in– sostenibile senza un patrono. La repubblica ha rinnegato i Savoia, ma non i loro sistemi. I clienti scalpitano. Stufi di esse– re costretti a fare i franchi tirato– ri su commissione, cercano le vie della dignità politica; basta con l'essere apprezzati in segreto e rinnegati in pubblico: • vogliamo la libertà! •. E come negargliela? Non biso– gna essere inumani. E allora essi si sono costituiti in associazione sindacale: il gruppo degli • ottan– ta •. La storia non è nuova. Nei 1952 l'onorevole Fusi ebbe la me– desima idea. Ma l'onorevole Fusi, oltre ad essere stato un valoroso partigiano, era anche un uomo di spirito. Non ne abbiamo più senti– to parlare; pensiamo che non sia più in parlamento. Era cosi libero ... Insomma, l'onorevole Fusi ebbe un'iniziativa simile. Solo la chia– mò con un nome spiritoso, espres– sione di un'autoironia che era e re– sta virtù rarissima. Chiamò il gruppo • bassa macelleria •. Ab– biamo l'impressione che ne abbia fatto parte anche l'onorevole Sa– lizzoni, destinato a diventare poi l'ombra dell'onorevole Moro (ruo– lo del resto ampiamente condivi– so). Ebbene, Valdo Fusi, non ave– va nobilitato il gruppo sindacale: né aveva espresso con chiarezza il concreto problema. I deputati clientes (ce ne sono di tutti i patroni: dorotei, fanfani a– ni, tavianei, scelbiani, colombini, andreottiani, dicono anche morotei) stavolta si sono organizzati in as– sociazione sindacale, attorno alle tesi di • Europa '70 •. Bartolo Cic– cardini ha ambizioni più vaste di quella di essere un deputato clien– te: ma è in una piazza difficile, la piazza del Lazio, la piazza di An– dreotti. E se uno non « può • nel potere, non • può • nei voti prefe– renziali. Le Acli sono passate a sinistra e non gli offrono nessuna seppur modesta legittimazione po– litica. Quindi Ciccardini non emer– ge del tutto dal gruppo dei clien– tes, anche se non sappiamo chi sia il suo patrono, se Colombo, come si dice, o Rumor. COMITATO DI REDAZIONE Luciano Faraguti - Alberto Gagliardi MUa Garaventa - Rosa Elisa Gian– gola - Bruno Orsini - Filippo Pe– schiera - Giorgio Rlggio - Ugo Si– gnorini - Giano.ITamburri - Vittorio Traverso RESPONSABILE Alberto Gagliardi Indirizzo: CasellaPostale 1665 16100 Genova Aut. del Trib. di Genova n. 14/70 del 4/4/1970 Uffici: Salita Pollaiuoli 13/1 Genova Unacopia lire 100 Abbonamentoannuo lire 1000 Il versamentova effettuato usufruen– do del c/c postalen. 4/6585 intestato a • Il potere. Casella Postale 1665 16100 Genova PUBBLICITA' L. 150 al mm/colonna Distributore: Tardito,viaS.Stefano 32 Genova Tipografia: Grafica BI-ESSE - Genova Telefono 58.18.60 Ciccardini ha offerto delle tesi all'associazione sindacale dei depu– tati che non hanno speranza di di– ventare sottosegretari (o ministri, se hanno avuto come Sedati la fortuna-sfortuna di esserlo). Non resta loro che il patriottismo di partito. Ma Ciccardini non si illu– de. Sa benissimo che in fondo al cuore di ognuno degli ottanta bat– te un desiderio: quello di diventa– re sottosegretario. (I sottosegreta– ri sono tanto pochi ...). Nessuno re– sisterebbe a questa offerta. Se il sottoportafoglio venisse loro of– ferto da Donat Cattin, si scopri– rebbero una vocazione sindacale: se glielo offrisse Moro, divente– rebbero degli strateghi dell' atten– zione. Nel frattempo, sfogliano mar– gherite, ascoltano Ciccardini e at– tendono Godot. Il biloneino di Andreotti C Hl ha ascoltato il dibattito Almi- rante-Andreotti sui telescher– mi, o ha letto il resoconto del– !' analogo dibattito tenuto per la televisione francese, si è doman– dato che cosa spinge Andreotti, dopo i buoni rapporti stabiliti con il Pci e anche con il Psi, a ripetere con Almirante la sortita, fatta più di vent'anni fa, quando visitò il maresciallo Graziani ad Arcinazzo. Ma al Iora, si capiva, c'erano tra l'altro di mezzo i cattivi rapporti tra il maresciallo ed il Msi. Oggi è più difficile capire l'uti– le. Ma per comprendere qualcosa, bisogna tenere conto che Andreot– ti ha sempre l'occhio al suo colle– gio elettorale: il Lazio. Andreotti ha detto chiaramente di ritenere l'avanzata missina un fenomeno nazionale e ne sconta il ripetersi alle prossime politiche. Ora il collegio di Roma - Civita– vecchia - Viterbo - Latina - Frosi– none è sensibile al richiamo del– l'estrema destra. Andreotti rischia di vedere perduti una parte dei suffragi democristiani e anche par– te del suo cospicuo tesoretto pre– ferenziale se si presenta come l'amico delle sinistre. Occorre bi– lanciare le cose e presentarsi, pur con formule ampiamente de– mocratiche, come l'amico delle de– stre. Almirante e il Msi, perciò, non potranno sparare a zero sull'uomo che li ha così benevolmente in– trattenuti a cordiale colloquio e che ha contribuito a dar loro una bibiiotecag inobianco il POTERE rispettabilità in Francia, nazione loro cara in chiave pompidouista. Ma cosi Andreotti ha rischiato di compromettere il suo destino po– litico? In realtà, non ha compro– messo nulla. Intanto il tempo pas– sa veloce. E poi i missini comin– ciano ed essere riconsiderati an– che da esponenti democristiani ad essi un tempo (moderatamente) av– versi. Crediamo che - per il Qui– rinale - il senatore Fanfani non abbia voti tanto sicuri (dopo quel– li dell'onorevole Forlani, dell'ono– revole Gioia e del senatore Bosco) quanto quelli dei deputati del Msi. Don Giulio parla alla televisione, ma ormai quanti parlano di Almi– rante e con Almirante in luoghi as– sai più riservati. .. Andreotti ha giocato la carta mis– sina con tempismo e spregiudica– tezza. Ma come ha osato? E allora altri oseranno? Del resto, Almirante si rifà una verginità politica con Di Lorenzo che è un ex partigiano: ab– biamo letto anche questa battuta. E Andreotti avalla la livrea • ri– spettabile• del Msi. Togliete dal ghetto i voti missini ed essi sa– ranno la salvezza della destra dc. Scelba e Taviani fanno devoti discorsi antifascisti: ma certo in cuor loro invidiano la spregiudica– tezza di don Giulio. Essi « filistei •, per usare l'apprezzamento disprez– zativo di Marx, non ne hanno il coraggio. Forse Scelba non ha nemmeno capito: Taviani (non gli facciamo torto). invece, si. Ma, non osa. ..J..- ~d.~. C; ~dle~~ Via Carducci 1 A • Tel. 590.757 Lavoratore, Studente, Intellettuale IL DANTE D'ESSAI è il tuo cinema Clcll di registi Incontro con attori Problemi sociali nel cinema mondiale Rassegnedi cinematografie nazionali In collaborazionecon le associazioni c u I tu r a 11 democratiche cittadine La programmazione più qualificata della città Giugno-Luglio 1971 LA J!INE DEL PAPA' STATO Il eoro estinto Il potere non può più essere quello che sceglie ma quello che aiuta a scegliere: per questo le istituzioni sono chiamate a promuovere un potere che non solo nasca dal basso ma che vi rimanga NELLA civiltà precedente a quel- la in cui viviamo, e che è fi– nita meno di un decennio fa, lo Stato risolveva i conflitti sociali. Oggi possiamo dire: c'era una vol– ta lo Stato. Lo Stato aveva un pedigrée illustre. S'era chiamato nazione, monarchia costituziona– le, monarchia di diritto divino, sacra corona, sacro romano im– peratore, imperatore, console, ec– cetera. Il re era il simbolo terre– no della vittoria sul caos origina– rio, il fecondatore dell'Egitto, il garante delle stagioni, il vero vin– citore del solstizio d'inverno. Oggi questo illustre antenato ci ha lasciato. Non è più tra noi. Ma noi non vogliamo abbando– narlo. Tutti gli anni, il 2 giugno, facciamo sfilare i soldatini davan– ti a un signore anziano e un po' impacciato (si chiami Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat), convin– ti che il defunto esista ancora. Qualcuno, nonostante tutto, si commuove; si ricorda che, insom– ma, non sono passati tanti anni da quando il defunto era illustre, potente, vitale. Nei paesi si cele– brano ancora le feste dei coscrit– ti: ma si promettono loro soltan– to ragazze belle, rese più proclivi dal fascino della divisa, dal legge– ro profumo dello Stato. Ma è tut– ta una storia. Forse la vita comu– ne delle caserme può ecci tare del– le fantasie: ma non fa rimbalzare vivo lo Stato dal mondo dei ri– cordi. Se tornasse, tutte le cose diven– terebbero più facili. Se potessimo ancora illuderci che esiste un po– tere paterno e autorevole, che as– segna con imparzialità diritti e do– veri, garantisce l'equità, o almeno attutisce i colpi della sorte, gri– deremmo tutti ancora: viva lo Stato! Ma ci è tolta questa illusio– ne. Siamo diventati grandi. Anche se non lo vogliamo, siamo diven– tati liberi. IN una società statica, tutto può essere risolto con la legge. La sapienza viene dal passato. Ma oggi tutto corre vorticosamente, la realtà si trasforma sotto i nostri occhi. E la maggior difficoltà è proprio quella di imparare a guar– dare il presente con gli occhi del presente, a non rendere più dif– ficili i problemi di oggi sovrappo– nendo ad essi quelli di ieri. Lo Stato ha tutelato la civiltà. Ma tutelare la civiltà ha spesso significato tutelare i più intelli– genti, i più furbi, i più sapienti. Eppure, da due secoli, il problema di coloro che sono e che hanno meno è all'ordine del giorno. Ora, però, tutto ciò cessa di essere w1a idea per diventare un fatto. Per paradossale che fosse, l'idea di don Milani che fondava il privi– legio degli ignoranti, rispondeva ad un'esigenza storica. Questo problema suona paradossale ai nostri orecchi. Per noi non è sta– to sinora l'industrioso, lo zelante, il preparato la vera figura positi– va, il fondamento dell'ordine so– ciale? Niente, la storia passa dal– l'altra parte; è difficile accorger– sene, ma alla fine è così. La storia ha deposto i potenti dalle sedi e ha esaltato gli umiliati. Il Magni– ficat si realizza sotto i nostri oc– chi, ma è come se quella parola non fosse mai risuonata ai nostri orecchi. La meritocrazia è un valore del– la società borghese ratificato da quella socialista: la meritocrazia è, infine, il principio stesso della differenza sociale, contestato si– nora nei suoi effetti, ma non in se stesso. Contestare la merito– crazia è varcare i confini dell'or– dine abitudinario per entrare nel– lo spazio incredibile di utopia. Inutile immaginare che cosa si– gnifichi una società non merito– cratica: la realtà trascende sem– pre la fantasia. Probabilmente si– gnifica una società senza sbarre, senza mandarini, una società at– tenta all'uomo, a ciò che nasce in ogni uomo che viene a questo mondo. Una società fondata su un rispetto religioso dell'uomo. Ma non vogliamo ora seguire questa strada. Sottolineando solo che essa è l'unica strada che esi– ste: la nostra riluttanza a percor– rerla la rende più difficile, non però evitabile. COSA possiamo risolvere, oggi, a colpi di legge? Poche cose: e in genere ogni legge diviene, nel– le circostanze attuali, il fonda– mento di un privilegio legale. La cosa migliore è che ciò che rima– ne di struttura statuale favorisca l'autogoverno realisticamente pos– sibile dei cittadini, e si ponga co– me mediatrice piuttosto che co– me legiferante. Il potere non può più essere quello che sceglie, ma quello che aiuta a far scegliere. L'emersione della comunità di base è una lenta fatica, ma è la tappa storica cui siamo giunti. Le restaurazioni sono impossibili: quando riescono, separano dalla linea maestra della storia il po– polo che le ha adottate. Il van– taggio della presente situazione italiana è che essa è una situazio– ne libera. La dimensione creativa che questa libertà può sollecitare è offerta dalla crescita dell'auto– governo, dal proporsi di comuni– tà di base in una spinta popolare di libertà. Questo è il metro su cui si giudicano i partiti, le for– ze culturali, le istituzioni: pro– muovere un potere che non solo nasca dal basso, ma che vi ri– manga. *

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