il Potere - anno II - n. 5 - maggio 1971

Maggio 1971 Il POTERE fllllllUlllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllffilllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll~llllllllllllllflllllUllfllllllllllllllllUIIIIIIIIIIIIIHIIIIUllllllllllllllllfillllllllllllUOllllillillUlll = = -· == GENOVA REGIO NE = ITTiiilllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllHIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII CON IL VOTO DEL 13 GIUGNO Genova sceglie per gli anni '80 Si deve optare per scelte che abbiano il coraggio insie– me del realismo e delle prospettive ad ampio respiro garantendo il rafforzamento del potere decisionale dei cittadini e delle comunità locali GENOVA sta per designare, col voto, il suo civico governo. Ben cono– sciamo i limiti della nostra democra– zia ed i condizionamenti che il pre– sente assetto sociale e politico esercita sulla effettiva libertà di ciascuno di noi: ma sappiamo anche che le scelte del 13 giugno, se saranno giuste, ci consenti– ranno di costruire una città più umana. Oggi Genova presenta, come è noto, un ritmo di sviluppo economico larga– mente inferiore a quello delle altre gran– di città del Nord. Le tre strutture portanti dell'econo– mia cittadina - porto, aziende di sta– to, edilizia - si trovano dinanzi a svol– te importanti: se non sarà presa tempe– stivamente la strada giusta, alla lentez– za dello sviluppo potrebbe seguire la stasi e l'involuzione. Nei prossimi anni, il porto non potrà più vivere su quella che è stata chia• mata una « rendita di posizione », lega– ta alla sua ubicazione geografica. Do– vrà invece essere in grado di fornire servizi migliori a costi competitivi per evitare che il suo tradizionale hinterland si orienti, almeno in parte, verso il co– siddetto Delta francese, in via di rapido sviluppo. Ciò richiederà un ammoder– pamento profondo dell'orizzonte tecno• logico della realtà portuale. Le indu– strie di stato non potranno essere ulte– riormente disinserite dalla strategia di sviluppo dell'Iri e vivere di erogazioni assistenziali: dovranno avere - per se– de, impianti, prospettive, programmi - un ruolo propulsivo nell'ambito della politica economica nazionale e locale. L'attività edilizia non potrà continua– re a svilupparsi, specie nell'area di le– vante e nelle vicine riviere, attraverso lo sfruttamento indiscriminato delle bel– lezze naturali, né potrà continuare a costellare la periferia urbana di disu– mani quartieri-dormitorio privi di ser– vizi collettivi. Dovrà trovare i suoi spa– zi operativi nella riqualificazione de– gli insediamenti (secondo una più mo– derna logica urbanistica che tenda ad eliminare i quartieri promiscui), in co– struzioni popolari capaci di creare cen– tri residenziali civili e integrati nel ri– sanamento del vecchio patrimonio im– mobiliare in via di deterioramento: tutto ciò nel quadro del nuovo piano re– golatore generale. • TUTTAVIA nell'enunciare i problemi di Genova e nell'indicarne le linee di superamento non possiamo fare di– scorsi astorici. Dobbiamo affermare con chiarezza che l'elemento essenziale della nostra stasi consegue al fatto che Genova e la Liguria sono, in concreto, prive di adeguate possibilità decisionali autonome su due punti fondamentali: l'industria e il porto. La forma imprenditoriale più rile– vante della città è l'lri: l'irizzazione delle industrie genovesi è stato il mo– do in cui il fascismo, secondo la sua ideologia, risolse i problemi del tempo. Da allora abbiamo assistito, a Genova, al fenomeno paradossale di un'iniziati– va economica pubblica che ha allarga– to di forza il suo spazio fino ad ege– monizzare l'economia industriale della città, per procedere poi ad un ridimen– sionamento quantitativo e qualitativo delle strutture in funzione di una poli– tica, volta a volta, di profitto e di po– tenza. Ebbene tutte queste decisioni sono state prese al di fuori di Genova con criteri extra-genovesi: la gestione delle nostre cose è stata affidata troppo spes– so ad altri. Se esiste una dimensione assistenziale e non una strategia di svi– luppo nella politica della mano pub– blica a Genova ed in Liguria, siamo proprio sicuri che tutto ciò risponda sempre ai superiori interessi nazionali, alla necessità della politica meridiona– listica, all'oggettiva carenza degli spazi del nostro territorio? Ne dubitiamo. Ar– zignano non è nel Mezzogiorno. Noi ben sappiamo che la politica dell'im– presa pubblica trova spesso motivazio– ni complesse dietro lo schermo di un apparente disinteresse e di un'asserita neutralità. • J N ogni caso, paradossalmente, alcune industrie private sono certamente più legate all'humus sociale che le ha espresse che non alcune aziende Iri. La Fiat ha, di fatto, maggiori legami con Torino che non l'Italsider con Genova. Tutto ciò pone perentoriamente il problema del collegamento e del con– fronto sistematico tra i legittimi poteri locali ed i centri che esercitano poteri bibliotecaginobianco effettivi sulla nostra economia indu– striale. Il recente forfait dell'Iri al convegno sulle partecipazioni statali indetto dalla regione è un eloquente segno della mi– sura dello sforzo che Genova e la Li– guria devono compiere per « contare » nella determinazione del loro destino. Anche per il porto, che è condizio– nato pesantemente dal potere statale, si pongono gli stessi problemi: è neces– sario un maggior peso decisionale del– la realtà civile genovese. Naturalmente occorre che Genova e la Liguria affrontino i problemi del lo– ro presente e del loro futuro con auten– tiche a valide capacità di progettazione globale, superando l'antico vizio di ab– bandonarsi alla strategia difensivistica, al rivendicazionismo, alla pura prote– sta, alla vocazione per le battaglie di retroguardia. JN questo quadro va vista la cosiddet- ta « prospettiva metropolitana» che decentri e razionalizzi le attività produt– tive, non inseribili negli attuali confini amministrativi della città, in un ambi– to territoriale più vasto. Ciò presuppone comunque la realizzazione di una poli– tica moderna e civile di trasporti pub– blici che non faccia pagare ai lavorato- n, m termini di pendolarismo, il prez– zo della più razionale utilizzazione del territorio. E' inoltre evidente che, co– munque, Genova, in tempi medio-brevi, non può rinunciare all'armatura indu– striale della sua economia. Noi non crediamo alla perentorietà del dilemma, troppe volte paralizzante, tra sviluppo industriale all'interno del– la città e della regione e insediamenti industriali extra-appenninici. Intendia– mo evitare sia le fughe in avanti che le piccole operazioni di piccolo cabotag• gio tali da compromettere l'avvenire: optiamo per scelte che abbiano insie– me il coraggio del realismo e delle pro– spettive ad ampio respiro. I problemi di Genova, come del re• sto quelli del paese, possono trovare soluzioni pacifiche e positive soltanto in un quadro politico che - nella sicu– rezza democratica - realizzi un deperi– mento del carattere oligarchico che la struttura del potere va sempre più as– sumendo. Il rafforzamento del potere decisionale dei cittadini e delle comuni– tà locali è la principale questione istitu– zionale. Solo una robusta rete di autogoverno locale, che vada dal quartiere alla re– gione, può garantire il valore civile del– la libertà ed il suo significato reale. Bruno Orsini pag. 3 Aspettando il sindaco (microdramma) Una scena costituita da uno sfondo bianco smaltato: sullo sfondo, un al– bero nero, stilizzato. Soltanto l'attenuarsi della luce dovrà dare l'impressione del tempo che passa. Lo spettatore dovrà, però, avvertire il meno J)Osslbile questa impressione; l'effetto della commedia dovrebbe essere questo: il testo, con le medesime battute, può ricominciare in ogni momento, nella vita e sul palcoscenico. I personaggi sono quattro: Coso_.che s1 stupisce di tutto, e i tre clown: Giuseppe il Filosofo, Piombo e l'Ufficiale Francesco. SCENA I (Coso, vestito di poveri stracci, solo, sotto l'albero. Poi entra il Filosofo, avvolto in una lunga cappa nera, ma al posto del cap– puccio ha un colletto da mari– naio). COSO - Hi! Hi! Hi! come so– no triste! FILOSOFO- Che hai, buon uo– mo, da piangere così? COSO - Hi! Hi! Hi! (piange più forte). FILOSOFO - Suvvia, non esa– geriamo. Non c'è nulla nella vita che meriti tanta ambascia. Que– sto è il migliore dei mondi pos– sibile, come ha detto Leibniz. Hai mai letto Leibniz, figliolo? COSO - Leibniz ... Ah, forse è lui... (ci ripensa). Forse, no. FILOSOFO - Lui chi? COSO - Lui, quello che aspe/• to, quello che aspettiamo tutti. FILOSOFO - Non capisco (ti– ra fuori un taccuino e prende ap• punti). Lo voglio scrivere a Gio• litti. Ma Machiavelli non lo deve sapere. COSO - (con stupore) Oh, uno studente! FILOSOFO - (si volta di scat- to) Dove? COSO - Dico a te. FILOSOFO - A me? COSO - Sl, te non sei studen– te? Ti ho sentito: Giolitti, Machia– velli; non stai preparando l'esa– me di storia? FILOSOFO - (si stira i baffet– ti) Oh, oh, oh! Uh, uh, hu! che ingenuità colombina! Che sempli– cità. Bene, forse fai al caso mio. Vedi, io sono ... ehm ... anzi io con• sorzio ... COSO - Cosa vuol dire con– sorzio? FILOSOFO - Deriva dal ver– bo consorziare; ma se non con• sorziassi, ebbene, forse, sindache– rei. Ecco. COSO - Io sindacherei, tu sin– dacheresti, egli sindache ... FILOSOFO - Egli! Di quale egli parli? COSO - Non lo so, lo aspetto, lo aspettiamo tutti sotto quest'al– bero da tanto tempo. Da sempre, credo. FILOSOFO - E lui viene? COSO - Lui mqi, V mgonode– gli altri. Quello giusto mai. SCENA II (Un rumore di zoccoli al galop– po, improvviso, si ode da destra. I due si abbracciano spaventatis– simi. Entra al galoppo Piombo, alto e grosso, bardato da giumen– to, con paraocchi, pennacchi, morso e briglie. Le briglie sono lunghissime. Piombo attraversa tutta la scena e scompare oltre la quinta a sinistra. Si vedono solo le briglie, sinché arriva un giova– ne ufficiale della cavalleria su– dista, con stivali a cosciale e gra– di di luogotenente). UFFICIALE - (tira le redini) Eh, eh, Alt! (si sente il rumore di Piombo che cade) Facciamo una sosta. COSO - Buongiorno! UFFICIALE - (tira a sé le re– dini per recuperare Piombo) Bian– cofiore, biancofiore, sei l'emble– ma dell'amore ... (fischia). FILOSOFO - Questo buon gio– vane ha detto buongiorno . UFFICIALE - Ah! (termina di recuperare Piombo che rientra in scena camminando a/l'indietro. L'ufficiale lo rigoverna sommaria– mente. Gli dà una pacca sulla schiena e lo libera dal basto. Gli lascia però il paraocchi). Anche stavolta ti sei portato un po' trop– po a sinistra, briccone. Va be'. Vai a brucare un po' d'erba. Piombo va a brucare sotto l'al– bero). FILOSOFO - Buongiorno si– gnor luogotenente, bella giornata. UFFICIALE - Così e così. FILOSOFO - Anche voi aspet– tate ... UFFICIALE - (allarmato, met– te mano al revolver) Chi sta per arrivare, santi numi! FILOSOFO - Eh; calma, qui non siamo in Sicilia! UFFICIALE (tremando) - Di– temi la verità: non siamo in Si– cilia? FILOSOFO - Ne sono certo, perché lo segna la mappa di Mer– catore (tira fuori dal mantello un enorme plico). Eh! Eh! Me la so– no portata via dal Consorzio: era la più nuova. COSO - (mentre i due scruta– no la carta, cantilena) Io consor– zio, tu sindacheresti, egli lappa... FILOSOFO e UFFICIALE (insieme) Chi lappa... Lapi al consorzio? dov'è? chi è? COSO - No, non avete capito, chi lappa è lui (indica Piombo). Lappa l'erba. FILOSOFO - Che paura! (si asciuga la fronte con un fazzolet– tone bianco e rosso). UFFICIALE-Piombo lappa so. lo quello che gli permetto io. COSO - Mi sembra molto do– cile. UFFICIALE - Docilissimo. Me l'ha garantito il suo primo padro– ne che me lo ha venduto. FILOSOFO - Perché glielo ha venduto? UFFICIALE - Perché lui vole– va così. COSO - Allora quel padrone comanda a tutti, anche a lei che è un luogotenente? UFFICIALE - Purtroppo sono soltanto un luogotenente ... COSO - Allora è lui, quello che aspettiamo! FILOSOFO - Lui chi? COSO - Ma il padrone di Piombo ... UFFICIALE - No, non è lui, lui qui non viene mai, non gli im– porta nulla di noi, di questo pae– se. In genere lascia che io mi sbri– ghi tutte le faccende. COSO - E voi le sbrigate? UFFICIALE (sconsolato) Mai, sono troppo solo. FILOSOFO - « Solitudo ,, è un concetto oppure è un valore. No, forse è una forma. Valore e for– ma. La forma è un ap-porto. Por– to. Porto e consorzio ... COSO - Io consorzio, tu con– sorzi, egli consorzia ... UFFICIALE e FILOSOFO ... Noi sindacheremmo, voi con– sorziereste, tutti lappano. UFFICIALE - Anche questo del lappare andrebbe sistemato. COSO - Non arriva ... Hi! hi! hi!... non arriverà mai, perché non siamo degni, perché non siamo puri ... FILOSOFO - Cosa c'entrano i Puri. Non è il caso. I puri non so– no sostanze, ma ... purissimi acci– denti. UFFICIALE - (guarda in alto; la luce s'è affievolita; l'albero get– ta un'ombra sul proscenio) E' notte. COSO - Dovremmo dormire. FILOSOFO - Io credo d'aver sempre dormito. UFFICIALE - (si avvicina a Piombo; a bassa voce) Dormia– mo qui anche noi; non voglio per– derli di vista; quel filosofo non mi piace (Piombo mastica una ca– rota e annuisce). FILOSOFO - (si stira e si sdraia sotto l'albero) Il cielo stel– lato sopra di me e la legge mora– le scolpita in me ... (Continua alla pagina seguente)

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