il Potere - anno II - n. 5 - maggio 1971

pag.2 PERUNA VERADEMOCRAZIA Dal' autonomia all'autogoverno LO sviluppo urbano costituirà l'aspet- to dominante dei prossimi decenni: questa affermazione, contenuta nel pro– getto '80, è ampiamente giustificata dalla constatazione che in Italia si sta inten– sificando, in modo sempre più massic– cio, un fenomeno che ha già modificato l'aspetto urbano e territoriale del Paese. Si tratta di un processo di gravitazione urbana verso un numero ristretto di a– ~e, che tende a svuotare e a impoverire il tessuto cittadino di vaste zone, e a creare, per contro, condizioni di con– gestione nelle aree di afflusso. Se si proiettano nel futuro le attuali tendenze, si può prevedere che nel 1980 il 37% della popolazione italiana sarà concentrata in otto aree metropolitane che complessivamente rappresentano me– no del 4% del territorio nazionale; e che nel 2001 tale percentuale salirà al 45%. Queste previsioni, anche se hanno un vago sapore di « futuribile», si fondo– no su una tendenza che, di fatto, non -– ._ ------ " ..... .può essere in alcun modo contrastata in quanto risponde a precise esigenze della società industriale, e che si verifica su scala mondiale, non esclusi i Paesi del Terzo Mondo. Anzi, in Italia, l'evolu– zione verso grandi aggregati metropoli– tani è cominciata in ritardo rispetto ad altri Paesi, ed anche per questo il pro– cesso si profila più rapido e tumultuoso. Si può, dunque, ragionevolmente cre– dere ai programmatori quando ci dico– no che in un futuro non troppo lontano ci troveremo di fronte a metropoli - co. me Milano, Roma, Napoli - di quat– tro, cinque, sette o addirittura nove mi– lioni di abi!Anti. La stessaarea metro, politana genovese, che rimane emargi– nata rispetto alle grandi direttrici dello sviluppo economico, potrà contare un milione e mezzo di unità, con un grado di densità che si colloca fra i valori più elevati in Italia. Sono elementi questi che da anni sti- molano urbanisti, esperti di pianificazio– ne territoriale, sociologi: sempre più fre– quentemente si sente parlare, e non solo da parte degli addetti ai lavori, di cit– tà-territorio ,., di « città dilatate ,., di « zoning », di « sistemi urbani alternati– vi ». E questo è un bene: è un bene che tutta una certa problematica entri nel patrimonio conoscitivo di vaste catego– rie di cittadini. Ed è un bene che si p1eveda in tempo (e per la verità siamo già in ritardo!) la realizzazione di nuo– vi modelli di sviluppo urbano che ren– dano il processo di ridistribuzione del– la popolazione sul nostro territorio me– no drammatico e costoso. Non possia– mo però nascondere la preoccupazione che si cerchi di risolvere in chiave pre– valentemente tecnica un problema che è prevalentemente politico. Il definitivo superamento dei modelli tredizionali di città deve comportare un superamento, altrettanto definitivo, dei modi di amministrare la città. Se non vogliamo che si aggravino quelle situa– zioni di tensione di conflitto già larga– mente presenti nelle realtà urbane, oc– corre inventare nuove forme istituziona– li che consentano ampi spazi di parteci– pazione del cittadino alla vita comuni– taria. Lo sviluppo urbano ha costituito for– se il fatto più antidemocratico nella sto– ria del nostro Paese. Esso è la risultan– te di co.mpromessitra varie strutture di potere (politico, economico, tecnico-pro– fessionale) e, in quanto tale, non ha ri– sposto se non casualmente alle aspira– zioni e agli interessi degli utenti del suolo urbano. L'unico modo per conte– nere questa tendenza è dare maggiore pe– SC\ e maggiore potere al controllo e alla partecipazione popolare. Intendiamoci: il problema della par– tecipazione riguarda tanto i grandi cen– tri urbani quanto i piccoli comuni. E' vero però che nei piccoli comuni la buo– na volontà degli amministratori e favo– revoli situazioni socio-ambientali possa– no dar vita a forme di partecipazione informale e non istituzionalizzata. Diversa è la realtà dei grandi agglome– rati: e da questa realtà complessa e tor– mentata deve scaturire la spinta per un nuovo modo di concepire l'autonomia lo– cale, un nuovo modo per amministrare la cosa pubblica. In realtà questa spinta esiste: è una spinta che si sprigiona dal basso e sta lentamente, con grande fa. tica, guadagnando terreno nei confronti della piramide burocratica e della classe politica più sclerotizzata. Le iniziative di decentramento ammi– nistrativo in atto nei maggiori comuni italiani danno in qualche modo la mi– sura dei fermenti esistenti; cosl come le proposte di legge per una riforma del– l'ente locale,avanzateda vari gruppi parlamentari e persino da amministra– zioni comunali, sono un sintomo dello sforzo della classe politica di non per– dere il passo con i tempi. Rimane il pericolo (e anche di que– sto vi sono chiari sintomi) che le varie iniziative, alcune delle quali piuttosto Il POTERE affrettate, sbocchino in nuovi schemati– smi che lasciano sostanzialmente inva– riato l'attuale rapporto tra amministra– tori e amministrati. Se è vero che occorrono strumenti precisi e formali per dare alla parteci– pazione un contenuto concreto e quali– ficante sul piano politico, amministrati– vo e giurisdizionale, rimane « a monte » il problema di dare un significato nuo– vo all'autonomia locale. In questo senso - ad esempio - l'e– lezione diretta dei consiglieri di quar– tiere, che dopo tante polemiche è oggi unanimemente additata come un obiet– tivo di fondamentale importanza per la vita democratica a livello comunale, di per sé non risolve certo il distacco tra potere pubblico e cittadino. Lo risolve nella misura in cui tali consiglieri non siano solo l'espressione dei partiti poli– tici, ma di tutta quella multiforme rete di associazioni che permeano la vita di comunità e nelle quali il cittadino meglio si riconosce e maggiormente si realizza. Parimenti si può dire che ha un mo– desto significato attribuire determinati poteri agli organi di decentramento, quando la ripartizione delle funzioni si basa, secondo la logica dell'autonomia locale storicamente intesa, su una rigi– d~i elencazione di materie. E' chiaro ormai che l'attuale struttura amministrativa non risponde più alle mutate realtà del nostro Paese: vanno ricercate nuove soluzioni che consenta– no alle tradizionali istituzioni della de– mocrazia rappresentativa di raccogliere e fare proprie le istanze delle nuove e spontanee espressioni di democrazia di– retta. Il discorso è meno utopistico di quan– to possa sembrare: si tratta di avviare degli esperimenti, di fare dei tentativi. Esistono d'altra parte esperienze stimo– lanti. A Bologna, per esempio, dove l'as– sessorato alla pubblica istruzione ha con– dotto un'inchiesta sulla ristrutturazione della scuola di base dietro lo stimolo e con la collaborazione di organismi nuo– vi di fabbrica. Così pure a Milano, do– ve su precisa denuncia di consigli di quartiere si sono chiuse fabbriche che inquinavano l'aria e si è bloccata la co– st;uzione di aberranti insediamenti abi– tativi a favore di ampi spazi per il ver– de attrezzato. Naturalmente si tratta di casi spora– dici, che hanno portata e significato li– mitati: essi dimostrano però che gli e– sperimenti sono possibi1i su un terreno dove c'è ancora tutto da inventare. E' una scelta di coraggio. Sulla strada dell'autogoverno occorre coraggio: co– raggio e immaginazione. Vittorio Traverso J L problema del lavoratori studenti (ol- tre un milione in Italia) al di là della facile retorica che offre spunti patetici ispirati alla promozione sociale, va inqua– drato nella dimensione della frequenza di scuole· serali da parte di chi dopo 7/8 ore di fabbrica o di ufficio è costretto a tra– scorrerne altre 3/4 sui banchi scolastici. Se è Inutile soffermarsi a descrivere le brutali condizioni di disagio che compor– tano tali situazioni, è peraltro opportuno soffermarsi, sia pur brevemente, sulle varie proposte, sia a livello legislativo sia sul piano di rivendicazione sindacale, in– tese a dare una soluzione del problema GLIOPERAI SUI BANCHI DI SCUOLA o perlomeno una sua razionalizzazione. Le proposte attualmente all'esame del parlamento (da quella del dc Azlmontl a quelle Pci-Psiup) pur con diversi toni, che vanno da una riduzione dell'orario di la– voro alla retribuzione perlomeno parziale (2 ore) della frequenza ai corsi scolastici, non si pongono nella visuale di una radi– cale riforma che garantisca Il diritto allo studio cosi come previsto dalla carta co– stituzionale. Il sindacato, invece, ritiene di avere individuato nell'abbattimento del– la scuola serale il nodo da sciogliere per awiare a soluzione il problema. In realtà nel corsi serali (da chiunque gestiti: Stato, enti vari, istituti privati) si riproducono aggravate tutte le notevoli lacune e contraddizioni della scuola tra– dizionale. In particolare la scuola serale si configura come la scuola per esclusi L'educazione ed è tipicamente una scuola di classe, dove si qualifica o riqualifica una forza– lavoro con criteri efficientisti (scuole aziendali o Internazionali e scuole di ad– destramento professionale) o nozionistici. Del tutto assente è infatti un discorso formativo che investa globalmente la fi– gura del lavoratore nella sua dignità di uomo pensante, che stimoli e favorisca il sorgere e lo svilupparsi di un senso cri– tico che permetta di superare gli schemi autoritari ai quali tuttora si ispira la scuoia e favorisca l'ansia di partecipazio– ne ad una cultura vissuta in una comuni• tà educante . E qui si Inserisce tutta la tematica re– lativa ai programmi di insegnamento ed alle metodologie didattiche, che trasfor– mino una scuola avulsa da ogni contatto con le esigenze reali della società contem– poranea, anacronistica dispensatrice di una falsa cultura selettiva ed emargi– nante. b1b10ecag1nobianco permanente A monte, ma intimamente connesso ad ogni riforma della struttura, sta tutto il discorso relativo agli addetti al lavori, al personale docente, allo stato attuale as– solutamente impreparato ad assolvere I compiti che gli competono. E' tutto il discorso dell'educazione permanente che porta la cultura, quella vera, in campo aperto in un lavoro costante e quotidiano di raffronto e di verifica, di continua ana– lisi critica e sperimentazione. L'esigenza dell"educazione permanente investe infat– ti tutti, docenti e discenti, al di la del- 1·occasione contingente del momento sco– lastico istituzionalizzato. Questa prospettiva resta al fondo di tutto il problema come Impegno per una scelta di civiltà, ma in via immediata sono di urgente soluzione per I lavoratori stu– denti gli aggravi psico-fisici del loro sta– tus (che toccano punte altissime per I pendolari), i costi dell'iscrizione ai corsi e dei libri di testo, l'obbligo della fre- Maggio 1971 CAOS NELL' ASSISTENZA ITALIANA L'emarginazio dichi non produc GLI scandali scoppiati recentemente, dai Celestini di Prato alla Villa Azzurra di Torino, dall'Omni di Roma alle lotte dei ricoverati negli ospedali psichiatrici e alle rivolte nei riformato– ri, hanno chiaramente dimostrato che il caos regnante nel settore assistenziale non è dovuto al fato né agli sbagli burocratici di questo o quell'ufficio, di questo o quell'operatore sociale, ma è invece dovuto al tipo di organizzazio– ne oggi vigente nella nostra società. Sono le leggi della produzione e del profitto, primariamente, che, riducen– do l'uomo a un semplice ingranaggio della forza-lavoro, isolano, respingono ed emarginano chi non produce (bam– bini abbandonati, handicappati, an– ziani) o chi non si adatta alle regole del sistema (disadattati, « malati di mente»). Accade cosi che chi non è più assi– milabile al ruolo di forza-lavoro è un « indesiderato sociale » e viene perciò segregato nelle varie istituzioni: in ca– se per ritardati mentali, in case di ri– covero per anziani, in cronicari, ospe– dali psichiatrici e in altri istituti. Basta andare, per una verifica, in uno dei tanti quartieri periferici delle grandi città (e per Genova basta an– dare a Cornigliano, nella Val Polcevera, nella Val Bisagno o in qualche isola de! centro storico o di alcuni centri residenziali dove la gente meno prov– veduta si trova a vivere) e si vede su– bito che accanto alle abitazioni spesso malsane e senza servizi non esistono spazi utilizzabili per i bambini, per il verde, mancano gli asili, le scuole. In queste zone, abitate per lo più da immigrati si constata che quando il capo-famiglia lavora regolarmente il salario non gli permette di far fronte in termini civili al vitto, all'alloggio, al vestiario, al riscaldamento. Quando ii capo famiglia è disoccupato o si tro– va in uno stato particolare (salute pre– caria, assenza di qualificazione, apatia e mancanza di impegno che risalgono ad antiche condizioni di sottosviluppo), pressato dai bisogni quotidiani, è co– stretto a ricercare delle soluzioni al problema della sopravvivenza magari mandando i figli, che non hanno an– cora compiuto l'obbligo scolastico, a la– vorare; la madre, pur avendo dei figli piccoli, cercherà una occupazione che la.scerà irrisolto il problema della loro educazione. In una situazione del genere tutto diventa drammatico: dalla malnutri– zione deriveranno facilmente casi pa– tologici e di insufficienza fisica, da ge– stazioni difficili e da parti senza assi– stenza adeguata si avranno certi tipi di handicap (come negli spastici, ad e– se mpio). I genitori infine, nel migliore dei ca.si, ricercheranno aiuto negli al– tri p er procedere giorno per giorno e delee:heranno totalmente ad altri la lo– ro funzione di guida. D'altra parte l'assistenza pubblica non riconoscendo ai genitori la loro preminente funzione educativa prefe– risce. ad esempio. il ricovero In Istituto piuttosto che dare un sussidio econo– mico adeguato alla famiglia disagiata. E sl sa come si vive negli istituti di solito sovraffollati, senza personale a– datto. vere isole di segregazione, inac– cessibili a qualsiasi controllo, da dove i ragazzi escono completamente disa- quenza, il problema dei trasporti. In realtà è anche il problema finanziario una delle cause precise che ostacolano il progredire della scolarizzazione alme– no fino ai 18/19 anni di ·età impedendo di fatto alle famiglie meno fortunate di accedere alle scuole normali ai più alti gradi, sotto la spinta del bisogno che i giovani (o i giovanissimi) percepiscano al più presto un reddito quale che es– so sia. Il diritto allo studio v~ perseguito in questo senso come obbiettivo primario ed inteso come pretesa effettiva alla solle– cita rimozione di quegli ostacoli che di fatto impediscono che il precetto della Costituzione si realizzi in tutta la sua ampia portata. Solo cosi si potrà parlare di promozio– ne sociale non meritocratica (quante in– giustizie e discriminazioni vengono Ipo– critamente celate sotto la formula • capa– ci e meritevoli•). ma intesa globalmen– te all'assunzione cosciente e meditata dei compiti e delle responsabilità che le competono. Anche se l'importanza che riveste la battaglia di una scuola per tutti, sfugge ancora all"attenzione dei lavoratori, una loro sensibilizzazione in tal senso non è più procrastinabile perché la lotta per una scuola a misura di uomo va intrapresa anche e principalmente al di fuori delle mura scolastiche. Tito Di Genova dattati, con gravi turbe e paurosi ri– tardi, pronti, in molti casi, dopo brevi esperienze di libertà, ad essere rinchiu– si nuovamente, magari nei riformatori. In questo modo, invece di aiutare le fa,. miglie più povere si dà loro il colpo di grazia disgregandole definitivamente e rovinandone i figli. E il sistema do– po essere stato la causa diretta di mas– sima parte di handicap fisici, psichici e sensoriali, anziché provvedere alla riabilitazione, al recupero, al reinseri– mento della persona nella società la emargina e la condanna. La logica in fondo che guida ancora oggi l'assistenza è quella di difendere il tessuto sociale da quegli elementi <<parassitari» che potrebbero turbare l'ordine pubblico e la tranquillità dei cittadini. La pratica costantemente attuata è stata, ed è tuttora, quella di non preoc– cuparsi minimamente di prevenire le cause del bisogno. Così è avvenuto che man mano che si individuava una si– tuazione di tensione nasceva un ente e si faceva una legge. Gli enti assistenziali, in Italia sono circa 40 mila e ingoiano oltre 800 mi– liardi all'anno elargiti dallo Stato. I servizi non sono nati come rispo• sta ai bisogni reali ma si definiscono in funzione dello stato giuridico e ri– spondono più alla logica e agli interes– si degli enti che ai diritti e ai bisogni delle persone. E' più comodo, in que– sta realtà, creare nuove categorie e nuovi enti che mettere in discussione i valori e i disvalori di una società che crea milioni di emarginati. E i contributi arrivano agli enti senza che niente cambi: il povero rimane povero, il disadattato rimane disadattato, nes– suno ritorna ad essere cittadino. La legislazione assistenziale è caoti– ca e inadeguata. Basta pensare che l'u– nica legge organica è la legge Crispi del 1890, quella sulle opere pie. Poi e– sistono leggine particolari per ogni ti– po di handicappato (ciechi, sordomuti, invalidi civili, invalidi di guerra). La costituzione italiana negli articoli 3, 4, 32, 34, e 38 contiene una serie di principi che enunciano la pari dignità dei cittadini senza distinzione alcuna (art. 3), l'impegno della repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine econo– mico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della per– sona umana (art. 3), il diritto alla sa– lute (art. 32), il diritto all'assistenza sociale (art. 38) e cosi via; ma questi principi sono di fatto rimasti parole; parole sulla costituzione, parole sulle leggi, parole nei comizi, parole nei pro– grammi elettorali. Premesso che gli handicappati psi– chici, fisici e sensoriali, i disadattati e le persone che per qualsiasi natura r età, cultura, indigenza) vengono po– ste ai margini della vita sociale sono cittadini come gli altri, indipenden– temente dalle loro condizioni, è neces– sario affermare con forza che le per– sone handicappate non hanno bisogno di istituzioni speciali. Esse hanno biso. gno di « interventi specializzati » all'in– terno delle strutture di cui si servono tutti i cittadini e in cui si svolgono i comuni rapporti dl vita sociale; sono necessari, prima di tutto, interventi preventivi che individuino il più pre– cocemente possibile l'handicap e sia– no efficaci per limitarlo e guarirlo sen– za che l'individuo :venga deportato in istituti speciali. Bisogna cambiare profondamente. Al– la logica del sistema e degli enti si de•,e sostituire la logica del diritto al– la libertà dal bisogno e della sicurezza sociale, la logica dell'uomo. Il che si– e:nifica lotta contro tutte le situazioni emarginanti. Ricerca di un progresso umano, prioritario su quello econo– mico. Giuseppe Garofalo

RkJQdWJsaXNoZXIy