il Potere - anno II - n. 4 - aprile 1971

pag. 2 IL CONGRESSO DEL PCUS L'ordine regna a Mosca l L congr':sso del partito comunista sa; v1et1co e stato un successo per 1 suoi dirigenti. Esso ha sottolineato non solo il monolitismo del partito, ma anche la sostanziale egemonia dell'Urss sui partiti comunisti stranieri. Le ragioni di questa egemonia non sono ideologiche. L'Urss ha scelto di essere una grande potenza e di eserci– tare i diritti della grande potenza. Il presupposto di questo sta nel vantaggio in cui l'Unione Sovietica vanta, al presente, sul piano dei missili intercon– tinentali e dei sommergibili atomici nei confronti degli Usa. Il suo approccio alla conquista dello spazio si è rivelato meno costoso ed egualmente redditizio di quello degli Stati Uniti d'America. L'Unione Sovietica è diventata una potenza marittima: in grado di spinger– si innanzi sia sul piano degli arma– menti convenzionali che sul piano de– gli armamenti nucleari. Essa, inoltre, impedisce con il suo ferreo governo della pubblica opinione il diffondersi dell'antimilitarismo di massa, ed è in grado, dunque, unico tra i paesi indu– strializzati, di mantenere un'opinione pubblica nazionalista del tutto simile a quella presente in Europa sino agli anni '40. Mentre gli Usa sviluppano l'equili– brio del terrore, perché non hanno la possibilità di imporre un clima morale e politico adatto allo spirito militare, l'Unione Sovietica è in grado di fare questo. Gli argomenti ideologici svani– scono rapidamente dinanzi all'alleanza dei missili nucleari e dei carri armati. L'Unione Sovietica ha superato Yalta e la divisione di sfere d'influenza. Mentre ]o stalinismo era in funzione del problema della difesa, la direzione collettiva ritiene che l'Unione Sovieti– ca possa difendersi solo espandendosi. La crisi dell'Europa e l'isolazionismo americano aprono possibilità nuove di– nanzi al potere sovietico. Il brusio dei comunisti italiani J L congresso si è svolto in questo quadro: è stato perciò un congresso pragmatico, teso ad elidere e ad emar– ginare i punti caldi ideologici piuttosto che a far leva su di essi per ottenere una egemonia. La relazione Breznev non è stata né antiamericana né anticinese. Non ha po– lemizzato né contro il falso comunismo di Mao né contro il capitalismo al pun– to di fare di tali polemiche il punto di forza del congresso. Non ha sottolinea- COMITATODI REDAZIONE Luciano Faraguti - Alberto Gagliardi Mila Garaventa - Rosa Elisa Gian– goia - Bruno Orsini - Filippo Pe– schiera . Giorgio Rlggio - Ugo Si– gnorini - Gianni Tamburrl - Vittorio Traverso RESPONSABILE Alberto Gagllard! Indirizzo: Casella Postale 1665 16100Genova Aut. del Trib. di Genova n. 14/70 del 4/4//970 Uffici: Salita Pollaiuoli 13/1 Genova Una copia lire 100 Abbonamento annuo lire 1000 Il versamento va effettuato usufruen– do del c/c postale n. 4/6585 intestato a • Il potere. Casella Postale 1665 16100 Genova PUBBLICITA' L. 150 al mm/colonna Distributore: Tardito,via S. Stefano 32 Genova Tipografia: Grafica BI-ESSE- Genova Telefono 58.18.60 to il tema della riforma economica né ha propugnato il centralismo: tutti i temi ideologizzabili si sono stemperati in una relazione piatta che ha mante– nuto tutti i temi tradizionali (sia quelli antistalinisti che quelli antikruscioviani) dandoli semplicemente come ovvi. E', dunque, quasi impossibile dare un rilievo ideologico a questo congres– so che non ne ha avuto alcuno. Il suo punto di pathos è stato l'apologia della invasione della Cecoslovacchia compiu– to dai dirigenti di Praga. I partili occi- ' .__ - - ~ --- - ----- ~-- dentali hanno mormorato: un brusio lieve, impercettibile si è mosso dalla de– legazione del Pci. Le mani di Berlinguer non si sono mosse ad applaudire Husak: ma ciò non ha tolto fragore all'applauso del Pcus e di ciò che una volta si sarebbe chiamata « l'internazionale di Lenin». Bisognerebbe domandarsi ora qual è il ruolo che il partito svolge al presente ne!la Unione Sovietica. Stalin gli aveva preposto la polizia politica: la direzio– ne collettiva vi ha preposto l'esercito. Le scelte militari sono in Urss le scel– te dominanti. Il partito, nella immobili– tà dei suoi vertici, sembra la cinghia di trasmissione di un apparato di po– tere militare e statale relativamente sta– bile. Perché il partito è ancora indi– spensabile all'Urss? Lo è perché offre un modello di spiegazioni e di giustifi– cazioni interne: lo è, soprattutto, per– ché offre un quadro di legittimazione alla egemonia esercitata nei paesi sa– telliti. Sembra che la direzione collettiva sia giunta finalmente al punto in cui essa può disideologizzare la dialettica poli– tica e costruire un efficiente pragmati– smo. Stalin e Krusciov espressero due linee ideologicamente opposte: la dire– zione collettiva esce dalle ideologie con il pragmatismo, usando dell'ideologia comunista come giustificazione fonda– mentale dello statu quo politico sociale. Un nuovo modulo di organizzazione SOTTO questo aspetto, il congresso sovietico rappresenta un grande suc– cesso e ci mostra una Unione Sovietica che ha definitivamente superato sia la crisi post-stalinista che quella post-kru– scioviana ed ha trovato un nuovo mo– dulo di organizzazione. L'Unione Sovie– tica ha il problema della razionalizza– zione tecnologica nel quadro di un si– stema pianificato. Il XXIV congresso dà ampia autorità ai dirigenti perché essi possano risolvere, senza dialettiche ideologiche tra pianificazione e decen– tramento, tali problemi. La prospettiva di un avvicinamento tra Usa e Cina ripropone ai russi il tema dell'accerchiamento. Germania e d c..; Il POTERE Giappone sono potenze industriali, ma non ancora potenze militari. Per l'Urss è di grande importanza che non lo di– ventino nell'ambito di un sistema poli– tico-militare egemonizzato dagli Usa. Perciò la via della mobilitazione nazio– nale può ritrovare giustificazioni attuali. Sul « Mondo », Ernst Fischer parla di un movimento panrusso, Russtity, autorizzato dal partito ed appoggiato dalla chiesa ortodossa. Il quadro sovietico complessivo è ben lungi dal rendere inattuale una simile iniziativa La società russa vuole evita– re una disgregazione analoga a quella occidentale che affligge la società: la crisi delle ideologie, compresa quella marxista, le impone la necessità di ri– correre ad ogni forza capace di darle compattezza. Il 1984 di Amalrik è lontano: la pro– fezia di una disgregazione dell'impero sovietico sembra irreale e molto proba– bilmente lo è; ma il mondo sovietico ha bisogno di tutto ciò che può sorreggere il suo grande edificio statuale, i cui mo– tivi ideologici sono desueti, ma la cui volontà morale e politica sembra in– tatta. Sergio Romano -- - - -- .. - STORIA E Aprile 1971 E' ARRIVATA LA CINA? Il partito del Manifesto J L « Manifesto » da settimanale è di- ventato quotidiano. E' certamente il primo passo verso la strutturazione del movimento in partito. Ma esiste veramente a sinistra lo spazio per una simile operazione? Le tematiche po– ste dalla contestazione e dalla sinJstra extraparlamentare possono confluire in questa formazione politica? Che il « Manifesto » avesse ambizio– ne di partito lo si poteva leggere a chiare note nell'ultima delle tesi, con– tenute nel documento « Per il comu– nismo», apparso nel settembre '70. Nelle tesi si auspicava la formazio– ne di un movimento politico « capace di unificare, intorno ad una linea pre– cisa, forze in grado di operare politi– camente e incidere nella società: in grado di far precipitare, per la capa– cità egemonica del proprio discorso e della propria pratica, un più genera– le processo di ristrutturazione della sinistra italiana: e quindi in grado di offrire al movimento di lotta, per que– sta via, una espressione politica ade– guata, e di prospettare al paese nel più lungo periodo, una vera alterna– tiva». lilla base di questo testo è facile leggere il concetto gramsciano di ege– n 1 onia, che è un concetto complesso. Esso mira infatti a stabilire il ruolo direttivo del partito, come espressione e come manifestazione del proletaria– to, ma, appunto per questo, capa_ce di un~ operazione propria, di una smtes1 che rende storicamente e operativa– mente prensiva la maturità della _clas– se. L'egemonia è un concetto polltic~. oresente in ogni condizione, nella si– tuazione determinata dalla maturità de11alegge operaia come classe nuova e aspirante alla direzione sociale. II partito è dunque un più, rispetto alla classe: la sua capacità di dare forma e disegno politico e civile alla maturità storica della classe, è appun– to, per Gramsci, la sua ege1:1onia. . Il « Manifesto >> si pone nei confronti del Pci, esattamente come questi si pose nei confronti del Psi al congres– so di Livorno: come chi doveva so– stituire. Il ravvicinamento è ancora più si– gnificativo se si tiene conto di un al– tro fatto: il «Manifesto» si colloca nei confronti della rivoluzione cinese esat– tamente nei medesimi termini in cui POLITICA il Pci si configurava di fronte a quel– la sovietica. La rivoluzione cinese, si legge nel documento, per il comunismo rappre– senta la sola alternativa alla crisi del– la strategia sovietica e del movimento comunista, il punto di riferimento or– ganico delle forze rivoluzionarie su scala mondiale. Questo suo valore non deriva dal radicalismo antimperialista e dalla coerenza rivoluzionaria, ma dal dinamismo impresso al suo proprio sviluppo politico e sociale. Ciò signi– fica che la rivoluzione cinese non è soltanto per il «Manifesto» un punto di forza, ma anche un modello. Ma quale forma deve assumere la rivolu– zione in Italia e nel mondo in funzio– ne dell'adozione del modello cinese? Tutta la novità che il «Manifesto » sembra esprimere è la tensione tra il movimento di massa e il partito. Il movimento di massa deve presentarsi con una propria struttura. Questa struttura sono i consigli, cioè organi di espressione unitaria e diretta di gruppi sociali omogenei, politici e sin– dacali insieme, continuamente revoca– bili: non organi di autogestione, né espressioni transitorie in una fase di dualismo di potere, ma forme orga– nizzative che stabilizzano e sviluppano i livelli di coscienza politica delle masse nel vivo di uno specifico scon– tro sociale. Ma è tuttavia nell'elogio del partito che le tesi del « Manifesto » raggiun– gono il lirismo: « ma per l'ambiguità di tutte le forze sociali nella loro im– mediatezza (reminiscenza hegeliana), per la frammentazione del fronte di classe che il sistema continuamente produce, questa crescita esige la pre– senza, nel movimento e fuori di esso (si noti quel « fuori n), di una forza politica: cioè di una teoria e di una organizzazione, prodotto di tutta la storia di classe e della sua dimensio– ne mondiale, memoria delle masse, strumento di coordinamento delle lo– ro lotte. Questo strumento di sintesi continua, senza il quale la spinta an– ticapitalistica risulta subalterna, è il partito». Quale proposta di soluzione dei con– flitti tra movimento di massa e par– tito, quale nuovo tipo di ordinamento reciproco dei rapporti, propongono le tesi? Esse qui tacciono. Esse suppon– gono l'abolizione della democrazia rap– presentativa a pro della democrazia diretta, ma mantengono al partito la decisione politica. E' a un movimento di massa acefalo quello a cui essi re– stituiscono l'autogoverno. Sull' antifascislllo Questa prospettiva è omogenea al livello politico italiano? Non rappre– senta una sottile forma di regresso sotto le scintillanti forme di una de– mocrazia dei consigli? Pub la sinistra extraparlamentare, pub la contestazio– ne, rifluire in questa società pedago– gica sostanzialmente governata dal partito? LE' celebrazioni del 25 aprile hanno costituito un'occasione, largamente colta da più parti, per proporre al Paese una rinnovata unità antifascista. Il discorso, per non essere acritico e st,·umentale,presupponeun'analisi sto– rica adeguata di ciò che fu il fasci– smo italiano e di quelli che sono, og– gi, nel Paese i reali pericoli di avven– ture totalitarie. Come è noto la storiografia marxi– sta interpreta il fascismo in termini estremamente chiari, descrivendolo co– me la risposta repressiva ed autorita– ria dell'oligarchia capitalistica italiana olla crescente pressione popolare che, nel primo dopoguerra, proponeva, con forza, un nuovo e più giusto equili– brio economico, politico e sociale. Tut– to ciò è certamente vero, ma è solo parzialmente vero. Il fenomeno fascista, infatti, ebbe un'altra componente determinante: quella nazionalista-popolare. Essa nac– que dalla fusione di determinate ten– sioni anarco - massimaliste (confusa– mente presenti nello stesso Mussolini) con l'ipotesi che i problemi sociali ita– liani fossero risolvibili da una politi– ca imperialistica. La grande guerra '15-'18 aveva dato consapevolezza dei valori nazionali e della problematica sociale alle masse contadine, sino a quel momento di fat– to estraniate dalla realtà politica ita– liana. Il combattentismo fascista riu– scì a collegare istanze sociale e senti– menti nazionalisti: « la maggior gran– dezza della Patria» avrebbe dato pane e lavoro ai suoi figli. Del resto la seconda guerra nwn– diale, la guerra fascista, fu giocata in auesta stessa chiave ideologica: la guerra delle nazioni povere contro le nazioni ricche, tra l'Italia « proletaria e fascista » e le demoplutocrazie: « Con– tro l'oro, sarà il sangue a far la sto– ria», cantavano i << battaglioni M ». Il fascismo è incomprensibile nella sua totalità se, accanto alla sua com– ponente repressiva di conservazione so– ciale non si coglie anche quella nazio– nal-popolare e anarco-massimalista. Il fascismo fu Volpi, Balbo, Ciano, ma fu anche Delcroix, Federzoni e persino Bombacci. Cosa resta nell'Italia di oggi della componente nazionalista ed imperiali– $ICI del fascismo? Chi crede ancora di risolvere i problemi economici e soda– li del paese in termini di espansione territoriale? Oggi la situazione è radicalmente di– versa. Esiste, certo, una struttura o– ligarchica e spesso corrotta del po– tere, ma questo potere non è solo quel– lo dell'imprenditoria privata: è anche quello dei vertici della « mano pubbli– ca». quello delle centrali politiche ver– ticizzate e statiche, persino quello di certe sclerotiche aristocrazie pseudo– sindacali. In questa realtà, la nostal– gia tragicomica di alcuni sopravissuti è politicamente irrilevante. E' invece significativo che, laddove esiste un disinserimento radicale delle masse dallo Stato, laddove il nostro assetto di potere è più cinico e disu– mano, la protesta popolare fornisca occasioni politiche a movimenti che sembrano richiamarsi al passato. A Reggio e all'Aquila la pura prote– sta può anche assumere simboli e at– teggiamenti parafascisti. Sulla base di tale analisi, possiamo affermare che il tentativo in atto di identificare semplicisticamente l'antifa– scismo con la concezione marxista del– la lotta politica è storicamente arbi– trario e politicamente strumentale. Tutto ciò ci induce a riaffermare che i rischi di involuzioni antidemocrati– che si superano, in Italia, liquidando le concentrazioni di potere, accrescen– do il peso politico effettivo dei lavo– rai.ori e dei cittadini nella determina– zione della vita collettiva, favorendo - ovunque sia realisticamente possi– bile - l'aflermarsi di effettive forme di autogoverno. Soltanto la costituzio– ne di una robusta e articolata rete di potere democratico effettivo, che vada dal quartiere alla fabbrica, alla regio– ne, può garantire il valore civile ed il significato reale della libertà. B. O. Per il «Manifesto» all'ambizione del– le prospettive corrisponde la vaghez– za delle soluzioni: esso sembra dun– que destinato a precipitare nel limbo politico in cui già si trova il Psiup ed a cui si avvia il laborismo (mpl). II ruolo di « partito della Cina» può essere appagante? Lo sciovinismo di grande potenza non è anch'esso un aspetto cinese? Come spiega il «Manifesto» l'appog– gio dei cinesi al governo pakistano, proprio nel momento in cui esso re– prime duramente l'autogoverno del Bengala? Non sarebbe già questo, per i « ma– nifestisti », un analogo del patto Rib– bentrop-Molotov? La politica estera cinese può svilupparsi dall'era del ping-pong a quella dei buoni rapporti con gli Usa: che diranno I « manife– stisti? ». Si troveranno superati dai comunisti ufficiali sul loro stesso ter– reno: persino psiuppini e Iaboristl sa– rebbero avvantanggiati nei loro con– fronti. E allora? « Una rigenerazione sociale» dicono le tesi essere Io scopo del «Manifesto ». Ma un tale scopo, che tutti oggi vogliamo, non merite– rebbe qualcosa di niù di una semplice rimanipolazione della tematica partito– consigli, vecchia di cinquant'anni? *

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