il Potere - anno II - n. 4 - aprile 1971

MENSILE - CASEUA POSTALE 1665 - 16100GENOVA Lettera a Taviani CARO professore, questa è una lettera per metà politica e per metà • stori– ca •: mi permetterà perciò di rivolgerle l'appellativo che con lei usavamo prima del giugno '46. Del resto fu soprattutto quello il periodo in cui ella mostrò dedi– zione, coraggio e saldezza d'animo: quali– tà che non le sono peraltro mancate nel– la sua venticinquennale carriera politica. Nella storia della Dc genovese, ella è ciò che permane, mentre gli altri passa– no. Certo. la morte naturale ha eliminato rapidamente i vecchi • popolari •: ma Pel– lizzari, Marchi, e persino Cappa erano già stati da lei politicamente battuti prima che si concludesse la loro permanenza tra noi. Sarebbe interessante esaminare la tec– nica di quelle vittorie. Ma ella non mi sembra tipo da redigere memorie. Eppure chi scrivesse la sua storia di leader ci darebbe la biografia esemplare di ciò che è un capo regionale nel nostro presente assetto politico. E sarebbe fati– ca ben spesa. Mi permetterà qualche ac– cenno. Come ha vinto i popolari? Semplicissimo. Essi credevano ancora che il successo elettorale fosse la base dell'egemonia nel partito. Ella invece ha capito che i partiti usciti dalla resistenza - diversamente da quelli prefascisti erano gruppi chiusi, ideologici, che deri• vavano da se stessi, e non dall'elettora– to, la loro legittimità. L'egemonia nel par– tito era il presupposto del successo elet– torale, e, In ogni caso, nel controllo del partito stava la chiave del potere. Con Augusto Solari i laureati cattolici fecero il loro primo esperimento politico. Ella riuscì a dividere i laureati cattolici dal popolari (fu forse il suo capolavoro tattico). per costruire poi la sua sintesi. Il partito si riconobbe in lei. or sono venti anni, il senso dell'opera– zione. Colombo venne dopo, Segni più tardi, Scaglia trascinò Moro all'ultimo momento. Fanfani, dopo il capitombolo governativo del '54, si trovò in mano que– sta fatica d'altri (gli idi di marzo dorotei erano, in ciò, già potenzialmente presenti) e vi scese con degnazione. Iniziativa democratica nacque all'inse– gna degli • impegni dei governanti • e dei • raggiunti e consolidati equilibri •, tipi– ci dell'aulica prosa fanfaniana. Con Fan– fani ella non si intese. Credo mai. Fanfa– ni concepiva li partito come una classe in cui lui era il professore; con il bene– placito di La Pira, dava i voti ed i premi. Ella, proprio, non ci stava. Quando le venne in mente la rivolta dorotea? Ella non entrò nel governo Fanfani-Saragat del ·sa. Segni sì. Colombo sì. Moro sì. Rumor custodiva il partito. E Fanfani cadde po– co dopo. Di chi erano le schede bianche che misero in minoranza il governo? Do– nat-Cattin in un congresso (Firenze '59) accusò Pennacchini, un -pontiere• di oggi. La storia tace ciò che il voto segreto ha nascosto. Ma anche se una sommossa di ignoti mise il •governante• alle corde, iI punto forte della rivolta dorotea fu an– cora lei. Questo molti l'hanno dimenticato. Gli anni '60 non sono serviti a mettere in luce le sue qualità di stratega politico, anche se l'invenzione df una sua cor– rente autonoma, quella del • ponte •, con– cepita e gestita come puro spazio di mediazione tra Moro e Fanfani, fu una brillante trovata che le evitò l'emargina– zione. di fronte al gruppo veneto-lucano (Rumor, Piccoli, Colombo}, ai morotei ed ai fanfaniani. Per contare, nella direzione dc, biso– gnava, e bisogna, essere capocorrente. Ella, professore, lo è. A questo punto si impone un'altra mos– sa. Quale? Le carte sono ancora troppo coperte per poterlo dire. Ella è disposto a confluire in un blocco fanfaniano? O preferisce scivolare silen– ziosamente nella manovra morotea? O, infine, guardare ad un candidato non de– mocristiano alla presidenza della repub– blica per evitare l'egemonia nella Dc sia di Fanfani che di Moro? Sarà il futuro a parlare. Caro professore, non intendiamo for– mulare critiche preconcette. Ma non pos– siamo astenerci dal notare che ella non è stato propriamente il padre della patria per la regione di cui è il leader politico. Nei momenti delle crisi genovesi e regio– nali ella è rimasto sempre nell'ombra. Abile nel defilarsi di fronte ai problemi concreti, ella è abilissimo nel mettere in circolazione personalità che gestiscano i poteri genovesi e liguri, senza turbare le sue operazioni nazionali. I leader locali sono, nel suo regime, una sorta di mag– gioranza silenziosa. Il partito è un meccanismo ben oleato e ben disposto a compiti subalterni anche perché i suoi quadri sono da lei selezio• nati con il prevalente criterio della rigo– rosa fedeltà alla sua persona. L'onorevole Cattanei fa il drago sotto i suoi occhi be– nevoli e divertiti. Il ruolo luogotenenziale in cui si è incapsulato lo costringe a diven– tare l'asso pigliatutto ed a trasformarsi In una sorta di • checcus onnivorus •. Cosi ella ha di fatto Impedito un'auten– tica dialettica politica nella regione, an– che con l'aiuto involontario della destra • centrista • che le ha fatto da prowi– denziale, quanto innocua, controfigura, da obiettivo deviante. Al di qua di Scelba, ella ha svolto il ruolo di i.utti trcv:mdo soltanto posizioni subalterne, ma mai del– le autentiche opposizioni. li sistema sino ad oggi ha funzionato. Crede lei che in tal modo possa andare ancora avanti a lungo? Noi pensiamo di no. Nati In politica sotto il suo segno, por– tiamo avanti un diverso modo di fare politica. Ella ritiene che a Genova avremo sem– pre poco potere. Ma il nostro caso è di– verso. Noi non vogliamo pagare al potere il prezzo della solitudine. Non vogliamo un potere separato dalla coscienza e dalla libertà di un popolo, un potere segnato dal continuo ricatto del male minore. Noi vogliamo un potere che nasca dalla speranza della gente. Bruno Orsini Sped. abb. post. gr. l/1 /70¼) - Anno lI - n. 4 - Aprile 1'171 - LIRE 100 LOTTA PER LE RIFORME La sfida sindacale LA politica dei sindacati più rappre- sentativi in ordine al tema delle ri– forme è, specie in questi ultimi tempi, oggetto di critiche asprissime da parte della generalità della stampa conserva– trice. Le obiezioni e le riserve che ad essi muovono appaiono in sostanza di duplice ragione: da un lato si contesta al sindacato la titolarità degli interessi in questione e in subordine si respingo– no le pressioni esercitate a tali fini. Am– bedue le riserve meritano una risposta. Incominciamo dalla prima. Le rifor– me proposte dai sindacati riguardano il tema della sanità, della casa e dei tributi. li problema della salute costi– tuisce forse l'aspetto più indiscutibile del volto classista della società italiana (l'infermo sfornito di beni personali vede pesantemente decurtate le possi– bilità del recupero della salute) come dimostrano platealmente le recenti furi– bonde polemiche col ministro Donat Cattin di determinati settori della clas– se medica preoccupati della perdita di privilegi ormai intollerabili. La riforma della sanità pone perciò una fitta serie di interrogativi; tra essi assume una ri– levanza determinante il momento dello intervento preventivo. In una società industriale, quale la nostra, la tutela della integrità fisio-psichica dell'indivi– duo importa preliminarmente un con– trollo globale di tutta l'attività umana così come essa si svolge nell'agglome– rato urbano e sul posto di lavoro. Un secondo grosso nodo che la ri– forma sanitaria dovrà sciogliere concer– ne la necessità di un intervento della pubblicà autorità che razionalizzi le spinte che in maniera disordinata pro– vengono sul mercato delle aziende pro– duttrici e distributrici di farmaci. e! nostro Paese il 40% del fatturato (la stima non è recentissima) e il 90% della produzione di base è controllato da 20 aziende che usufruiscono pertan– to di una condizione di monopolio; non si dimentichi inoltre che su questo mer– cato la presenza del ca11itale straniero è rilevante. Nel 1966 su 199 miliardi di fatturato ben 118 erano imputabili a centri di interesse finanziario stranie– ro, in buona parte americano e olan– dese. La rilevanza degli interessi in gioco e la precarietà delle difese del potere politico mostrano in maniera inequi~oca come oggi in assenza di una pressione sindacale il problema della salute rien– trerebbe all'istante nel novero delle spe– ranze deluse. Passiamo al problema della casa. Gli interrogativi di fondo sono molteplici e riguardano anzitutto: I) l'alto livello della rendita fondiaria urbana (negli ul– timi tre anni su un investimento totale 11 mila miliardi ben 4 mila sono stati destinati ad acquisti di aree). li disor– dine edilizio che ne è derivato è stato a _sua volta causa di disordine sociale come provano i ghetti popolari che ne sono derivati, la scomparsa del verde, la congestione urbana, l'inquinamento atmosferico e così via. 2) La mancanza di abitazioni: secondo una stima del 1969 in Italia 300 mila persone vivono in abitazioni improprie (termine eufe– mistico che ci riporta alle baracche, agli scantinati, eccetera), mentre 900 mila italiani vivono in abitazioni prive di servizi essenziali. 3) L'alto livello degli affitti che al momento incidono sul salario per il 25% in media. A fac– cia di questi problemi il potere politico ha fatto fiasco; le soluzioni adottate, quella del prelievo fiscale (che ha le– gittimato la rendita, lasciando del tutto inalterati i termini della questione), quella della legge numero 167, l'inter– vento diretto (progettazioni insoddisfa– centi ma contemporanea lievitazione dei prezzi dei terreni viciniori) hanno per buona parte aggravato la situazione. Per converso l'unica strada razionalmente utilizzabile, quella della riforma urba– nistica, è stata più volte tentata, ma sempre ne è riuscita bloccata (con buo– na pace dello Stato di diritto e dei suoi inguaribili estimatori). Se così è le pressioni sindacali potranno appro– dare a qualche risultato soltanto nella misura in cui non lasceranno al potere politico spazio ad alcuna manovra di– versificatrice. J L terzo problema che investe la politi- ca sindacale è, infine, quello della riforma tributaria. Intanto conviene sgombrare il campo dalla battuta or– mai generalizzata sul piano della pub– blica opinione secondo la quale oggi la pressione fiscale avrebbe raggiunto dei limiti decisamente invalicabili; se è ve– ro che oggi nel nostro Paese il prelievo fiscale sul reddito è del 19,7%, è al– trettanto vero che nella vicina Francia esso ha raggiunto la quota del 24,4%, mentre in Inghilterra ha toccato il tetto del 29,4%. Abbandonando la sinistra dc nel '46 e diventando vicesegretario di Piccioni, ella si preparò il posto di capolista ligure, anche in termini di preferenze, nelle ele– zioni del '48. Ma le elezioni del '48 fece– ro del poco noto leader della minoranza monarchica, il professor Lucifredi, un de– putato. Lucifredi era un cattolico liberale, e pensava prefascita: con la sua attività diligente, instancabile, anche se di circo– scritte prospettive. egli divenne una po– tenza in regione. DOPO IL CONSIGLIO NAZIONALE DC Ciò premesso vediamo quali sono i termini della questione. Intanto per quanto concerne i modi del prelievo conviene che il lettore abbia presente il seguente riquadro sui rapporti che attualmente collegano l'imposizione di– retta con quella indiretta: Lucifredi capì che la provincia era im– portante, che in provincia si davano pre– ferenze più numerose e più sicure che in città: che in provincia l'organizzazione elettorale ed il controllo delle sezioni potevano andare di pari passo. Ma Luci– fredi non capì che occorreva essere qual– cuno nel partito a Roma per avere uno stabile potere a Genova. Ella si. Lucifredi non seppe fare una politica nazionale: si limitò a fare scelte di affi– nità ed a combattere battaglie di retro– guardia. Si chiuse in un gruppo, e fece di quel gruppo una bandiera. Risolse sta– ticamente i suoi rapporti nazionali. Lei non fece questo errore. La Dc, essendo al centro di un equilibrio instabile, generava in se stessa equilibri instabili. L'unico modo per rimanere stabilmente al potere centrale era il movimento: un movimento dosato, attento, ma costante. Era una quadriglia e al momento_giusi_obiso_gnava cambiare dama. Scandal1zzars1per I suo, giri di walzer sarebbe, alla fine, morali– smo astratto. Tutti hanno fatto , loro giri di walzer, persino Scelba, pe~sino Scalfaro, persino le sin_istre. Ma sinistre e scelbiani sono aree d1 coerenza in con– fronto al centro del potere, cioè alla cor– rente di • iniziativa democratica • cui ella approdò nel 1951. Ne fu uno dei fondatori, forse quello che, sin dall'inizio, aveva le idee più chiare sulla natura _e la. consi– stenza dell'operazione. Il ritiro d1 Dos: setti e l'emarginazione di De Gaspen aprirono la via a questo blocco anòdino e moderato, aperto ad ogni sollecitazione, la cui unica prospettiva era quella d, du– rare. E durò. Si spezzò, ma durò. Si spez– zò per durare. Da allora i rapporti chiave della classe di governo passano tra • ini– ziativisti democratici •. Fu lei il primo, con Rumor, ma più di Rumor, a capire, b1b1otecag1no La logica dorotea . LA logica dorotea ha parlato al- l'ultimo consiglio nazionale dc per bocca di Forlani: a poche set– timane dalla consultazione eletto– rale, la situazione politica sembra avere assunto contorni più precisi. Donat Cattin, a ragione, ha detto che questa sessione del consiglio nazionale è stata la più arretrata degli ultimi anni. Forlani ha infatti ammesso due cose. La prima è la « rivelazione n del vizio d'origine del centro-sinistra, che consiste in que– sta breve formula: il Psdi è la con– dizione dell'incontro politico fra De– mocrazia cristiana e Partito socia– lista; in altri termini: la riduzione della Dc e del Psi ad un comune denominatore socialdemocratico è la condizione necessaria della loro collaborazione. Questa è stata la linea di Pietro Nenni: quella che ha visto l'unità dei sociaHsti con i socialdemocrati– ci (cioè la socialdemocratizzazione del Psi) come la premessa e il frut– to del centro-sinistra. La seconda ammissione del segre– tario dc è la conseguenza della pri– ma: arroccatosi sulla linea di forza socialdemocratica. Forlani offre un disegno alternativo al centro-sini– stra. Su questo punto il discorso è rimasto volutamente oscuro: eviden– te però è stata l'allusione ad un possibile governo monocolore dc, che dovrebbe condurre il Paese alle elezioni presidenziali in una posi– zione di oggettivo ricatto verso il Psi: o avallare il monocolore o mo- 1anco strare nei fatti che esiste una mag– gioranza alternativa. A questo pun– to il gioco moderato potrebbe farsi aperto e spregiudicato e ipotizzare un ritorno ad un neo-centrismo il– luminato da un ulteriore spaccatu– ra a destra del Psi (la sterzata filo– governativa dell'ultimo congresso li– berale rappresenta una valida pez– za d'appoggio l. Non fa meraviglia che, salvo For– se nuove e Granelli, il consiglio nazionale della Dc si sia racco! to tutto attorno alle posizioni fanfa– niane. Rimane, però, il silenzio di Moro. Rimane il gioco coperto di Andreotti. Rimane la sorpresa del discorso (< moroteo ,, di Mariano Ru– mor. Tuttavia è ormai dato pensare che l'ora della verità è alle porte: l'ora della discussione (e della ri– velazione) della vera natura del centro-sinistra nelle intenzioni della maggioranza doroteo-fanfaniana che lo promosse. Nel Psdi tutto è chiaro: si vive in atmosfera da grande attesa. Tanassi sta riportando il partito alla poli– tica del sorriso verso il Psi, in pre– parazione del ritorno di Giuseppe Saragat. Non importa se gli amici di Ferri ingombrano ancora qual– che stanza: « Lui » ritorna. Nel Psi si concretizza il fenomeno di rispondenza verso i socialdemo– cratici: anche Mariotti, accodando– si a Mancini, polemizza con De Martino e annuncia di riporre gran– di speranze nel ritorno di Saragat, « grosso uomo politico», alla guida del Psdi. L'emarginazione di De Martino e il ritorno dei socialisti alla linea « autonomista» è il gros– so obbiettivo. Ma se questo obbiet– tivo, come probabile, fallisce, anche la manovra moderata all'interno della Dc fallisce. J N realtà i grossi giochi sono an- cora da farsi: nella Dc come nel Partito socialista. Il disegno di portare Fanfani alla presidenza del– la repubblica sembra ignorare la realtà, anche numerica, del parla– mento e le sorprese che riserverà la nuova logica assembleare: sem– bra ignorare il ruolo pesante che nell'elezione presidenziale avrà il Partito comunista. Il silenzio di Moro al consiglio nazionale potrebbe rappresentare un indice della sua sicurezza: di avere in tasca i voti di tutta la sinistra parlamentare per l'elezio– ne a presidente. L'intervento « avan– zato» di Rumor sarebbe una ga– ranzia ulteriore. La manovra fan– faniana al consiglio nazionale, per contro, indicherebbe l'ennesimo ten– tativo drammatizzante per indurre Moro a spaccare a destra e, addi– tandolo come candidato dei soli comunisti, riequilibrare una situa– zione da tempo compromessa. Se il silenzio del ministro degli esteri si protrarrà fin oltre il turno elettorale del 13 giugno, la sua si– curezza potrà dirsi certezza. Alberto Gagliardi Anni 1800 1865 1939 J958 1967 Imposizione diretta 46,1 50,5 39,3 30,5 28,5 Imposizione indiretta 53,9 49,5 60,7 69,5 71,5 Un prelievo così poco incisivo per la via diretta prova al di là di qualsiasi dubbio che nel nostro Paese il potere politico non intende tassare la ricchez– za e preferisce invece gravare diretta– mente sulla generalità dei consumatori; non a caso un quinto del salario oggi viene assorbito dalla imposizione indi– retta. Se infine si presta fiducia a quan– to hanno denunciato recenti statistiche dell'lstat, secondo le quali nel nostro Paese fra le varie categorie di contri– buenti sarebbero solo i lavoratori di– pendenti ad assolvere il debito di im– posta senza alcuna evasione, la intolle– rabilità del vigente sistema tributario appare in tutta la sua chiarezza. In definitiva nella misura in cui si riconosce come sulle classi lavoratrici gravano i temi della salute, della casa, della pressione fiscale, se ne dovrà de– durre come la soluzione degli stessi ap– partenga incontestabilmente alla politi– ca sindacale. In altre parole al potere politico, alla cui colpevole inerzia si debbono squi– libri così profondi della società italiana, non resta che raccogliere la sfida sin– dacale. Ogni ulteriore tentennamento riapre vuoti sempre più pericolosi nel contesto sociale. I tempi nei quali era possibile ri– spondere all'urgenza delle riforme con passi all'indietro sono definitivamente scomparsi. Filippo Peschiera

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