il Potere - anno I - n. 4 - ottobre 1970

Ottobre 1970 LETTERE AL DIRETTORE "L'URBANISTA SONO ME,, Caro direttore, conosci il mio interes– se per la vostra iniziativa editoriale tan• to più quando verifico, te lo ribadisco oggi, la vostra impostazione smitizzante sciolta da vincoli, amante di una rlcerc~ non dispersiva della verità, agente In una direzione che considero assai giusta. quando muove un attacco non eversivo alla classe politica in generale, e a quel• la genovese in particolare. Premesso ciò, consentimi alcune note a margine dell'artico/o • L'urbanista sono me•, firmato da Signorini. __ Anche qui, è necessaria una premessa: c10 che • muove • Signorini è da me con• diviso, e sai bene che non è da ieri che svolgo il tema della partecipazione nel mio c~mpo di lavoro, ben consapevole che esso investe la società nel suo insieme .Trovo dunque che Signorini svolge un ~,scorso giusto in sé, ma piuttosto male mf.ormato, o per lo meno impreciso, per cui molti giudizi sono da modificare, al trl sono appena accennati e meriterebbe• ro ben altra sottolineatura. Inviterei Signorini, e i lettori, a parti• re da una ipotesi di lavoro, che è quella d1 avere una idea sufficientemente chia• ra e precisa di cosa sia, o potrebbe esse• re, una reale partecipazione alle scelte di piano ad un'altra, consistente nell'ave– re un'idea precisa di che cosa è. o me– glio, di cosa dovrebbe essere un piano. Nell'un caso o nell'altro si danno mol– te, diverse ipotesi di lavoro. La mia è che la formazione di un piano è un atto poll• tico che tutta la comunità compie in mo– do così esplicito, da creare di necessità un conflitto di classe. Se tale conflitto non emerge, vuol dire che il meccanismo messo in moto non è vitale, è sterile, ed è quindi tale da non avere nessuna capa– cità modificatrice delle tendenze in atto: cioè, non è un piano. Ecco che allora la partecipazione-mobi– litazione della cittadinanza diventa un fat– to Implicito a questa idea di piano, fa parte cioè del processo formativo del piano stesso. Signorini dice che la città • ha, al li– mite. li diritto di "sbagliare" scegliendo su se stessa e per se stessa, e pagando essa stessa » e quindi soggiunge • pur– ché lo faccia con approfondimento e co– noscenza •. Non capisco, In questo contesto, cosa possa voler dire •sbagliare•. Sbagliare, in ordine a che cosa? Forse ad un qual– che principio astratto di • tecnica • urba– nistica? ta mia opinione è che l'errore non esista, in coerenza alla idea di piano che ho espressa. Ciò su cui occorre in– tenderci sono I'• approfondimento• e • la conoscenza » che si reputano necessari. Signorini ed io chiediamo che la parte– cipazione alle scelte avvenga lungo l'in– tero • iter • formativo del piano, ma for– se non abbiamo le stesse idee in merito alle modalità, e ciò è importante, perché esse riguardano specifici contenuti. Dico • forse • perché i suoi giudizi mi sembrano fuori fuoco. Ritengo infatti che la partecipazione debba avere almeno tre momenti: quello in cui si scelgono le me– todologie (per giungere alle scelte di pia– nificazione), quello In cui si operano le scelte (che informano la formazione del piano) ed infine quello del controllo (sul– l'attuazione del piano). Ecco che allora non capisco l'attacco di Signorini al lavoro della commissione Astengo. Astengo ebbe il torto fondamen– tale di agire come se la classe politica genovese fosse esattamente corrispon– dente al modello di quella che sarebbe necessaria per operare dawero una po– litica di plano. Non certo perché operò • come se il piano regolatore fosse deter– minabile "dall'esterno" soltanto in chia– ve tecnica, senza approfondimenti e scel– te tali da coinvolgere direttamente il cor– po sociale a tutti i livelli •. Il tentativo che fu fatto allora consisteva nella mes– sa a punto di un metodo che Astengo. dopo i primi mesi di attività, illustrò uf– ficialmente a palazzo Tursi. L"amministra– zione comunale non fece altro atto per sollecitare la partecipazione della città a quello che ho definito il suo primo • mo– mento•. D'altra parte, l'illustrazione di Astengo non suscitò alcuna eco degna di nota. Da allora In poi la commissione lavorò avvolta_ nel segreto voluto dagli ammini– stratori, non certo da essa, che più volte sollec_itò la creazione_di un ufficio-stampa per divulgare tutti gli atti inerenti al suo lavoro. Quando si giunse alle soglie del second~ momento di partecipazione, quel– lo relativo alle scolte, la commissione fu liquidata dalla giunta comunale. Astengo aveva tentato di formulare un quadro della situazione di fatto, dal qua– le emergesse un insieme di scelte alter– native • verificabili • in quanto ai risul– tati; fra loro •coerenti-. valutabili al loro interno in termini economici e so– ciali, in modo tale che I cittadini potesse– ro valutarne I benefici, e i costi relativi. Non pensa Signorini che se la commis– sione avesse potuto portare a termine questa fase del suo lavoro, il dibattito, o meglio, la partecipazione del cittadini alle scelte per il futuro della loro città avrebbe potuto essere fondato su una discreta base di • approfondimento e di conoscenza •? Perché qui sta il nucleo del mio di– scorso: i cittadini non solo debbono par. tecipare, ma debbono anche essere mes• si i_ngrado di farlo, al miglior livello pos– sibile di conoscenza e di informazione. Lasciamo dunque alla classe politica v di governo • la responsabilità di aver respin– to la commissione Astengo. Se Signorini vuole, e qui non avrei ~bjezioni, possiamo attribuire responsabi• lita anche alla classe politica • di sini– stra •, che ha difeso Astengo a mio pa– rere su elementi tutto sommato marginali e che soprattutto è stata incapace di mobilitare forze di base e di formare un movimento d'opinione che approfon– disse i termini politici del reale conflitto. Analoghe argomentazioni valgono anche per la • relazione di sintesi • oggi in di– scussione. Se Signorini riflettesse sul fatto che il documento presentato dal– l'amministrazione comunale non contiene elementi sufficienti per poter operare scelte di piano, cadrebbero molti suoi giudizi. Il pericolo più grosso che oggi si corre è proprio quello di considerare la • relazione di sintesi - un documento su cui possono essere basate le scelte dl plano, e Signorini con il suo scritto ten– de Inconsciamente ad avallare tale ipotesi. Sia ben chiaro: la mia posizione sul tipo di partecipazione richiesta oggi dal– la giunta è quella di Signorini. Ma ag– giungo qualche recriminazione, la princi– pale delle quali è la mancata partecipa• zione al primo momento, quella della scatta metodologica awenuta nel febbraio dello scorso anno, con la deliberazione della delibera quadro. Perché qui stavano le premesse di quello che oggi è pun– tualmente avvenuto: per non tediare i let• tori, faccio un rinvio al pezzo redazlona• le • Un nuovo piano per Genova • - L'Espe– rimento - n. 2/3 • marzo-giugno1969. La • relazione di sintesi • non può es– sere considerata la base per le scelte del piano perché ,è un documento parziale (cioè incompleto) non coerente In ogni sua parte, settoriale, non verificabile glo– balmente. Anche a livello tecnico (per cosi dire, ma in realtà politico) stiamo attenti a non compiere • salti in avanti •, nel valuta– re in termini di acritico consenso l'esten– sione dello studio all'area • metropoli– tana •. Astengo muoveva dell'interno per trovare specifiche motivazioni alla ricerca di un'area esterna. Non vi è dubbio co– munque che lo studio avrebbe dovuto ri• guardare un'area più vasta, e ciò non fu fatto. Ma oggi il • salto in avanti • (non dei tecnici, ma dei politici) può essere costi– tuito proprio da questa area metropoli- il POTERE tana 0991 non pianificabile per almeno due ordini di motivi: li primo perché non vi è strumento legislativo che oggi lo consenta, ed il secondo perché Il con– senso delle altre amministrazioni e dei cittadini da queste amministrati è, nella famosa delibera quadro, un problema rin– viato addirittura alla terza • fase • del piano, cioè a plano regolatore urbano già redatto. Fa specie che Signorini citi proprio Hazon perché è stato precisamente lui ad affossare, con un classico • salto in avanti•, il plano Intercomunale milanese (v. Marco Romano - •Urbanistica• nu– mero 50/51 - Ott. 1967 • L'esperienza del piano intercomunale milanese •l. Sono, queste, questioni che, come ve– di, andrebbero trattate con assai maggio– re estensione ed Impegno: cosa cul io ora mi sottraggo, per non tediare troppo i lettori. Per concludere, ritengo che Signorini abbia fatto male a riservare all'argomen– to della • sensibilità particolare al proble– mi della diretta partecipazione civica e della democrazia di base • da parte del– l'assessore all'urbanistica del comune Il solo spazio che si dedica alla chiusa •brillante• dell'articolo. Se avesse son– dato tale argomento, avrebbe potuto me– glio ricostruire le circostanze storiche dell"• impasse • urbanistico di Genova, che ha visto l'ingegner Ferrarl protagoni– sta di tutte le sue più rilevanti fasi. Ciò gli avrebbe consentito non solo una più attenta lettura per Interpretare li passato, ma anche per guardare al fu– turo. visto che il citato personaggio rico– pre oggi l'incarico di assessore all'urba• nistica di quell'ente regione Liguria su cui si fondano le comuni speranze. Bruno Gabrlelll BANCO DI NAPOLI ISTITUTO DI CREDITO DI DIRITTO PUBBLICO Fondato nel 1539 Fondi patrimoniali e riserve: L. 94.294.650.546 DIREZIONE GENERALE - NAPOLI 493 FILIALI IN ITALIA SEDE DI GENOVA: Via Garibaldi, 1 • Tel. 20.97 Telex 27111 • 27145 NAPGENOA AGENZIE DI CITTA': N. 1 Via Gramsci, 85 r. - Tel. 292.983 N. 2 Via XX Settembre 123 r. - Tel. 52.994 - 581.432 N. 3 Via F. Avio, 22 r. - Ge-Sampierdarena Tel. 457.150 - 459.921 N. 4 N. 5 N. 6 N. 7 N. 8 N. 9 Corso Buenos Aires, 51 r. - Tel. 581.990 589.965 Via Orefici, 48 r. - Tel. 298.057 - 298.075 Via L. Pinelli, 4 r. - Tel. 589.772 Via G. Rossetti, 19-G r. - Ge-Ouarto - Tel. 395.584 Via Milano, 147 r. - Tel. 683.984 Via Parma, 23-25 r. - Ge-Pegli - Tel. 439.263 Filiali all'estero: Buenos Aires - New York Uffici di rappresentanza all'estero: Bruxelles - Buenos Aires - Fran– coforte s/m - Londra - New York - Parigi - Zurigo Corrispondenti: in tutto il mondo bibliotecaginob1anco pag. 5 Il fronte popolare IN casa Machiavelli fervono i preparativi per la festa: il me– nu sarà ricchissimo, degno della tradizione del clan. Antipasto di salumi, ravioli, cappone, arrosto, macedonia, torta, barbera. Perché tanta voglia di festeggiare? Per– bacco, non siete informati: sta per tornare alla casa paterna il figliol prodigo, colui che si era allontanato sprezzante, abbacina– to dagli splendori delle cattive compagnie romane: « u Franco », il cocco, ovvero - al secolo - il senatore Francesco Fossa, sotto– segretario alle regioni. La notizia, incerta sino a pochi giorni fa, è ormai di pubblico do– minio. Il 4 novembre - anniver– sario della Vittoria - «u Franco», insieme al suo gruppo di amichet– ti scapestrati e birichini, salirà con passo sicuro le scale di casa Machiavelli. Dito infilato nel pac– chetto di zuccherini di Romanen– go («Sono per mamma»), suone– rà il campanello guardandosi la punta delle scarpe. Invece del con– sueto maggiordomo, gli aprirà il Paolino Machiavelli col vestito del– la domenica. « Ah, sei tu! ». « Ehm, si», fa il Franco Fossa, raschian– do in gola. « Beh, che stai a fare lì impalato, vieni dentro». E la pace è fatta. Agape fraterna, be– nedizione del Pippo e abbracci dal gruppo dei fedelissimi. Alla fine, tutti, eccitatissimi, gri– dano « Di-scor-so! Di-scor-so! ». Il Paolino fa tintinnare il coltello sul calice: «Ssst, parla Pippo». Il Pip– po si tira il pizzo e comincia: « Compagni (applauso), cari com– pagni, il nostro Franco è di nuo– vo da noi, fedele come sempre, pentito delle sue scappatelle. E' con gran piacere che lo riconfer– mo candidato al senato per il pri– mo collegio di Genova ». Baci, ab– bracci, pianti, sotto un enorme dagherrotipo raffigurante Adelchi Baratòno. Questa storia, come tutte le sto– rie commoventi, ha anche una mo– rale: coi collegi senatoriali non si scherza. Pensate un po' che cosa sarebbe successo se, poniamo il caso, il presidente della camera Pertini, avesse voluto passare al laticlavio nel 1973? Oppure se la stessa cosa l'avesse desiderata il Pippo delle finanze? Tempi duri per « u Franco». Per questo, s'è ravveduto al momento utile, la– sciando - come era nei patti - Antonio Canepa fuori della porta, pardon della stanza dei bottoni. G AMBOLATO, segretario della federazione del Pci di Geno– va, ha fatto una cosa molto brut– ta: s'è messo contro Giorgio Daria, capogruppo comunista a Tursi. Meno male che Daria è partito a/l'arrembaggio - abitudine di famiglia - e l'ha conciato per le feste. Il comportamento di Gam– bolato è davvero inqualificabile. D'accordo, lo sanno tutti, che Gambolato e Daria non si posso– no vedere e che trovano tutte le occasioni per bisticciare, ma così non si fa. Peccato però che il col– tello dalla parte del manico ce l'abbia proprio Gambolato che s'è già accordato con i capi del suo partito per fare fuori il marchese fastidioso. Daria contesta a Gam– bo/a/o di essere troppo tenero con il centro-sinistra e addirittura de– sideroso di entrare nella maggio– ranza. Gambolato, invece, fa i suoi conti: Daria ha fatto la battaglia di sinistra per mandar via Garro– ne e il partito ci ha rimesso un bel po' di voti in Valpolcevera, ha fatto la guerra alla Shell e all'E– ridania e ha procurato al Pci la antipatia di molti, ha fatto la guer– ra a via Madre di Dio e s'è procu- rato l'opposizione degli operai e– dili che pensano ai loro interessi immediati. Gambo/alo queste co– se le utilizza e ha detto: « Basta con 'sto marchese. Se caso mai di– venta sindaco, è peggio di quelli del "Manifesto" ». E progella una giunta conciliare che piaccia anche alla borghesia. I perché deidissesti idrogeologici Bébert LA recente e dolorosa esperienza del- l'alluvione che ha colpito la nostra città e l'entroterra dovrebbe Indurre l'opi– nione pubblica e la classe politica a me– ditarne le cause. Quando la montagna assume lmprowi– samente una terribile vitalità, apparendo non più un complesso di inerti strutture, ma un organismo senza posa attivo, ricco di forze nascoste e di energie sconosciu– te, e quando esse, da chissà quanto tem– po preparate e modellate, si riversano sui centri abitati con tutto il loro potere distruttivo, allora l'uomo scopre - o me– glio, ricorda - l'esistenza di forze anti– chissime, sbadatamente o volutamente ignorate, ma pur vecchie come il mondo, che egli non ha ancora saputo piegare, ma di cul potrebbe almeno prevedere e disciplinare I sussulti. Esiste una scienza, la geologia, che si propone di risolvere tali problemi: ma co– me accade in tante altre cose, la menta– lità del risparmio, la presunzione degli in– competenti, la fiducia che deriva dall'igno– ranza del pericolo, fanno sì che all'opera dello specialista si ricorra tardivamente o non si ricorra affatto. E' sempre •dopo• che gli italiani ap– prendono con sorpresa che certe cata– strofi potevano essere in gran parte evi– tate. Inizia allora la corsa alle inchieste ed alla ricerca di responsabilità: però, poco a poco, tutto si placa e ricade nell'abitua– le silenzio. Invece basterebbe svolgere una un'indagine di carattere geologico sulle cause dei frequenti e rovinosi disastri per avere risposte scientificamente valid~ e socialmente utili. In Liguria la presenza di rocce scisto– se, alterate da vicende geologiche, deter– mina rischi gravi per la possibilità che strati intermedi di natura meno resisten– te, sotto l'azione dell'acqua, si lubrifichino e formino un piano di scivolamento per gli strati soprastanti. A ciò bisogna anche aggiungere un complesso di circostanze ambientali co– me la pendenza accentuata delle nostre valli, Il recente abbandono della monta– gna. l'indiscriminato disboscamento, l'incu– ria dei corsi d'acqua. Come rimediare dunque a tali dissesti e come prevenirli? In primo luogo, evitando gli interventi dannosi dell'uomo, vietando il disbosca– mento incontrollato compiuto di solito per creare spazi alla speculazione edilizia, impedendo la costruzione di strade a mezza costa sui ripidi pendii che facilita– n_ofrane e smottamenti, controllando con– tinuamente la pulizia degli alvei dei tor– r~nt_i ed eliminando ogni possibile causa d, 1mped1mento al libero flusso delle acque. Bisognerebbe avviare quindi un vasto e organico prngramma di opere pubbliche tali da eliminare le cause dei dissesti idrogeologici utilizzando le acquisizioni scientifiche della geologia. Aldo Carmine

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